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Il mito della ragazza ribelle, che si oppone allo Stato, che scardina con la sua stessa esistenza tutte le convenzioni familiari e sociali, rispecchiò archetipicamente negli anni Settanta del secolo scorso lo stupefacente protagonismo delle donne che presero parte alla lotta armata.

Perciò il mito di Antigone si diffuse nell’immaginario degli ‘anni di piombo’, specialmente in Germania, tanto che la stagione teatrale 1977/1978 fu definita l’‘anno di Antigone’ per lo straordinario ricorrere sulle scene tedesche della tragedia di Sofocle. Ad esempio porterò qui un noto prodotto artistico di quella stagione, il film di Margarethe von Trotta, il cui titolo, Anni di piombo (1981), ha finito per connotare un’epoca. Il film esprime un punto di vista femminile su quelle vicende, diverso da quello sino allora abituale: una donna, in particolare, diviene protagonista attiva degli accadimenti e non passiva, e il film intende sviscerare la sua consapevolezza ideologica e le ragioni storiche del suo agire, filtrate attraverso il racconto della sorella.

 

La von Trotta ripercorre infatti nel film, attribuendole il nome di Marianne, la vita della terrorista della RAF Gudrun Ensslin, morta suicida il 18 ottobre 1977 nel carcere di massima sicurezza di Stammheim, insieme ad Andrea Baader e Karl Raspe. Il padre di Gudrun Ensslin aveva disperatamente cercato un posto per seppellire la figlia e i suoi due compagni, ma aveva ricevuto solo rifiuti. L’opinione pubblica si ribellava all’idea che si potessero seppellire all’interno della città coloro che dalla società e dallo Stato si erano esclusi con la violenza stragista. Solo all’ultimo momento il sindaco di Stoccarda diede il permesso perchè i corpi dei tre terroristi fossero sepolti in un cimitero periferico.

A caldo, il film collettivo Germania in Autunno (1978) cercò di raccontare l’episodio incastonandolo in un più ampio contesto di storia tedesca e riconducendo esplicitamente la questione morale aperta dalla sepoltura negata al tema dell’Antigone di Sofocle. Nell’episodio più lungo del film, sceneggiato da Heinrich Böll per la regia di Volker Schlöndorff, si immagina che la redazione di un’emittente televisiva abbia timore di mandare in onda una messa in scena dell’Antigone di Sofocle. La trasmissione viene giudicata equivocabile dall’opinione pubblica per le patenti analogie, politicamente inopportune in quel momento, tra la ribellione di Antigone e quella delle terroriste, nonchè tra Creonte e lo Stato di polizia: perciò i responsabili dell’emittente decidono di censurare il programma e di rinviarlo a data da destinarsi. L’ultimo episodio dello stesso film Germania in autunno mostra invece le riprese documentarie dei funerali dei terroristi, seguiti da una numerosa folla di simpatizzanti, che alza i pugni come saluto estremo ai compagni, quindi si disperde tra mille controlli della polizia.

Durante quegli anomali funerali, Margarethe von Trotta incontrò la sorella di Gudrun Ensslin, Christiane, che le raccontò la storia della sua famiglia. Figlie di un severissimo pastore protestante, Christiane era stata ribelle durante l’adolescenza, mentre Gudrun aveva giocato il ruolo della figlia diligente e prediletta, legata al padre da un amore profondissimo. Poi i ruoli si erano ribaltati. Christiane aveva continuato a lottare per una società migliore, scrivendo per una rivista femminista; Gudrun era passata invece alla lotta armata, con un apprendistato tra i terroristi arabi di al Fatah. Su tutte e due le sorelle aveva pesato il trauma originato dalla colpa dei crimini commessi sotto il nazismo.

Negli anni Cinquanta vigeva un clima di intimidazione nei confronti di chi avesse voluto indagare sul passato: da qui la necessità, alla fine degli anni Sessanta, da parte delle generazioni nate durante o dopo la guerra, di scavare criticamente nella memoria.

Christiane e Gudrun Ensllin furono segnate nell’adolescenza dalle immagini terribili, filmate al momento della liberazione nei campi di concentramento, proposte al grande pubblico nel documentario Notte e nebbia (1955) di Alain Resnais, primo vero atto di denuncia mediatica della Shoah. Il documentario era stato mostrato dal padre alle sorelle Ensllin: le due bambine avevano reagito con un incontrollato pianto a dirotto. Quella visione deve considerarsi un punto di svolta nelle loro esistenze ed è infatti il nucleo centrale della finzione filmica e ne spiega il titolo.

Il padre delle sorelle Ensslin, nella ricostruzione della von Trotta, ha un ruolo determinante, chiaramente con risvolti edipici. La storia delle sorelle che scelgono due vie diverse richiama il conflitto tra Antigone e Ismene,

come ha esplicitamente dichiarato la von Trotta e segnalato la critica.  Nel film si rappresentano prima i dubbi di Christiane/Ismene (nel film si chiama Juliane, interpretata da Jutta Lampe), la cui ragionevolezza consiste nel rifiuto della lotta armata. Ma poi Christiane si trasforma a sua volta in un’Antigone, che lotta in difesa della dignità umana della sorella in prigione, interpretata da Barbara Sukowa, ed infine per una sua sepoltura pietosa.

Il tema di Antigone trapela infatti anche nell’inumanità delle condizioni carcerarie in cui la Ensllin fu tenuta, nella condizione di ‘sepolta viva’ alla quale era negato qualsiasi contatto con il mondo. La questione del carcere come tortura di Stato scosse più volte le coscienze in quegli anni e pare ancora irrisolta: a Stammheim, struttura di massima sicurezza, nel 1976 fu per prima trovata impiccata ad una cella Ulrike Meinhof, la nota ideologa della RAF, la cui figura martirizzata, che apparentemente aveva preferito la morte alla disumanità delle condizioni carcerarie, richiamò a sua volta l’archetipo mitico di Antigone. L’immaginario collettivo identificò allora in Creonte uno Stato, quello tedesco nella fattispecie, che non occultava la sua maschera autoritaria e guerrafondaia, collaborando intanto al massacro in Vietnam. Si trattava della stessa maschera, mai dismessa, indossata dal potere durante il regime di Hitler, tempo di cui il popolo tedesco ipocritamente rimuoveva le colpe e le correità.

L’apparato istituzionale che si fregiava del nome ‘democrazia’ continuava inoltre ad annientare, come durante il regime totalitario, gli oppositori: ad esempio il compagno della Ensslin, Bernward Vesper, una specie di controfigura di Emone, poeta di valore figlio di un celebre poeta nazista, che si suicidò nel 1971. Nel film della von Trotta, il figlio di Ensslin e Vesper, abbandonato dal padre, viene irrimediabilmente sfigurato da un incendio doloso provocato da estremisti di destra: diviene dunque a sua volta una vittima del terrore e le sue ferite sono filmicamente messe in parallelo con le ustioni da napalm sui bambini vietnamiti.

Nella battuta finale del film, Christiane afferma che la sorella era stata una «donna eccezionale», intendendo dire ‘fuori dal comune’: una battuta che al festival del cinema di Venezia suscitò scalpore. Era il 1981, in Germania il terrorismo, con la liquidazione della banda Baader-Meinhof, sembrava debellato; in Italia invece le Brigate Rosse operavano ancora: perciò l’eroizzazione di una terrorista, oltre a turbare la visione maschilista del terrorismo, turbava le coscienze. Il film vinse comunque la palma d’oro (prima della von Trotta, era stata attribuita solo ad un'altra regista tedesca, Leni Riefenstahl).

‘L’età del piombo’, un’espressione tratta da un verso di Hölderlin, che per la von Trotta connotava l’età del silenzio sui crimini nazisti durante gli anni ’50, passò invece a significare gli anni bui del terrorismo. La von Trotta stabilisce con il film una linea di continuità tra la resistenza al nazismo e il terrorismo, come se il secondo fosse una conseguenza diretta della prima, una sua continuazione morale, in cui l’errore era consistito nelle modalità, non nei principi. Se Antigone era servita da controfigura alle resistenti tedesche sin dal riadattamento brechtiano del 1948 ed ancora nel racconto del 1964 di Rolf Hochhuth L’Antigone di Berlino, la sua ombra riaffiorava adesso a proposito delle terroriste. Un corto circuito che compare altrove nei ripensamenti letterari di quegli anni, ad esempio nei romanzi di Grete Weil, Mia sorella Antigone, 1980, e Generazioni, 1983. Ma che si connota ancora per malinconia e consapevolezza del fallimento: per ragioni dissimili e opposte, le Antigoni resistenti contro il potere avevano fallito, e la loro massima realizzazione, invece che nell’azione, si era avuta nella morte.

 

(Le pagine riportate sopra sono l'adattamento, senza apparato bibliografico, di alcuni contenuti che si trovano nel libro di cui qui si riproduce la copertina, disponibile presso l'editore a questo indirizzo web).