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In cosa consiste il tragico nell’esistenza umana se non nell’andare contro tempo o nell’opporre inutilmente resistenza alla corrente del tempo, nell’illusione di progredire mentre invece si resta sempre sullo stesso posto, come camminando su un tapis roulant?

Cosa accade quando ci si rende conto che il nostro percorso esistenziale assomiglia a una spirale che si avvita su sé stessa e alla fine ci soffoca, che la forza del passato spegne ogni possibilità di futuro, che si è vittima di un meccanismo perverso, l’iterazione dell’identico? Cosa succede quando si prende consapevolezza che ogni nostra decisione non ha deciso nulla, che ogni nostra scelta era basata su precondizioni ignote o inconsce, che nulla è dipeso davvero da noi, nel bene come nel male? Questi interrogativi trovavano una realizzazione scenica nell’Edipo di Ulrich Rasche (ne abbiamo parlato qui) e ora ritornano nell’Agamennone del regista tedesco, nella traduzione di Walter Jens,  spettacolo di punta del Festival di Epidauro nell’estate 2022 (vedi qui). Lo spettacolo va in scena in questa stagione al Residenztheater di Monaco di Baviera e promette di segnare una tappa significativa nella storia della ricezione e della messa in scena della tragedia greca nel XXI secolo. Dal sito del teatro monancense traduciamo un’intervista del drammaturgo Michael Billenkamp al regista Ulrich Rasche.

M.B. La prima tragedia della trilogia Orestea di Eschilo non dovrebbe intitolarsi “Agamennone”, ma “Clitennestra”. È Clitemnestra, infatti, la vera protagonista dell’opera ed Eschilo la ritrae qui come una delle figure femminili più grandiose, ma anche più controverse, della storia della letteratura. Per alcuni è la “peggiore di tutte le donne”. Pensi che abbia meritato questa fama?

U.R. In effetti, proprio all’inizio del dramma Eschilo mostra il personaggio di Clitemnestra nei suoi lati più ripugnanti. Dopo dieci anni di guerra contro Troia, Agamennone, che è suo marito, ma è anche il re di Argo, ritorna a casa, e lei lo accoglie come se avesse pensato apposta per lui una messa in scena. Lo saluta sulla soglia del palazzo, lusingandolo con ogni tipo di onore e di augurio. Invece vuole solo attirare Agamennone in una trappola. Una rete nella quale, una volta preso, è reso impotente e trucidato. Il discorso d’accoglienza di Clitemnestra verso Agamennone costituisce senza dubbio un apice della letteratura drammatica europea. Ma proprio grazie a questo discorso, il pubblico penetra nel desiderio incondizionato di vendetta della donna e della sua perfida precisione con cui deve aver pianificato l’assassinio. Tuttavia, chi non conosce la storia che precede l’Orestea, riconoscerà nell’atto mostruoso dell’omicidio la violenza degli abissi insondabili dell’animo di questo personaggio. Clitennestra, però, aveva anche buoni motivi per vendicarsi del marito Agamennone

M.B. Tu alludi da una parte alla maledizione che grava sull’intera famiglia degli Atridi e che richiede nuovo sangue per ogni goccia di sangue versata. Ma d’altra parte, ti riferisci all’uccisione di Ifigenia da parte del padre Agamennone.

U.R. Sì: Agamennone non aveva forse sacrificato sull’altare la figlia Ifigenia alla dea Artemide contro la volontà di Clitennestra? Lo aveva fatto per placare l’ira della dea, da una parte; e dall’altra, perché la dea gli fornisse venti favorevoli per la sua flotta, così che potesse salpare Troia. Se facciamo attenzione ai motivi che hanno spinto Agamennone, il ragionamento di Clitennestra appare in fin dei conti comprensibile. Nel discorso finale che fa per giustificarsi, la donna mette in relazione il suo gesto con la cecità e la cattiveria di Agamennone, sia rispetto alla vita della figlia, che rispetto agli obiettivi militari legati al sacrificio di Ifigenia. Eschilo si dimostra qui un grande pensatore e drammaturgo: l’essere umano può scendere infinitamente in basso, ma il drammaturgo riesce a dar conto delle motivazioni che stanno alla base di ogni azione. Per lo spettatore non è facile giudicare chi abbia ragione e chi torto.

M. B. Hai appena menzionato il sacrificio della figlia Ifigenia da parte di Agamennone. Tuttavia, in Eschilo, Agamennone non è accusato di questo omicidio; invece torna a casa nella veste del migliore tra i generali, il vincitore di Troia. Perciò il suo popolo lo celebra come un eroe. Eroe o assassino: cos’è Agamennone per te?

U.R. Sappiamo che ha ucciso sua figlia; sappiamo che lui e i suoi soldati hanno commesso crimini di guerra durante il saccheggio di Troia – fatti abominevoli, a cui accenna anche il messaggero nel suo resoconto. Perciò ci sembrava sbagliato portare Agamennone in scena come un eroe vittorioso. La guerra durò dieci anni e la maggior parte dei suoi soldati e compagni, compreso il fratello Menelao, non tornò con lui. Ci sembrava poco convincente mettere in scena un eroe, il cui carattere non fosse stato segnato da queste perdite, e senza le cicatrici visibili delle sue azioni in guerra. È interessante che anche Eschilo nel suo dramma esprima dubbi sul comportamento di Agamennone. Subito dopo il suo arrivo in città, viene accolto dal coro con domande insistenti sul senso e sui motivi delle sue azioni. Anche nell’opera di Eschilo, quindi, è un eroe dai lati oscuri.

M.B. Linguaggio, ritmo, movimento e musica sono gli elementi centrali del tuo lavoro. Perché tu e il tuo compositore Nico van Wersch avete deciso di lavorare solo con strumenti a percussione, fatti da materiali diversi, per “Agamennone”? Questa scelta è dovuta anche al luogo della ‘prima’, ossia il teatro di Epidauro?

U.R. Epidauro ha sicuramente svolto un ruolo importante. Nico ha inventato e fatto costruire i suoi strumenti per la nostra produzione di “Agamennone” al Festival di Atene-Epidauro 2022. Insieme ai suoi musicisti, utilizza travi di legno non trattato che ricordano un’antica marimba, ma sovradimensionata. La forza arcaica che emana dal suono del legno sembrava appropriata per il teatro antico di Epidauro e per l’opera di Eschilo. Il gesto performativo, ossia i colpi alle percussioni, sono come il cuore pulsante di tutta la serata. I musicisti si trovano al centro del palcoscenico su una pedana rotante, che trasporta il coro e i personaggi della tragedia e li tiene in costante movimento. Per me era importante creare qualcosa che si avvicinasse alla prassi esecutiva originale di un coro greco, che canta e danza. In effetti, tutta la mia estetica teatrale deriva dalle origini del culto dionisiaco e doveva realizzarsi a Epidauro, che è uno dei luoghi sacri e originari del teatro europeo. Perciò avevo timore della reazione del pubblico di Epidauro. Dopotutto, è la loro cultura che ho usato come fonte di ispirazione e modello nel corso degli anni. Sono stato quindi molto contento che la reazione del pubblico greco al nostro lavoro sia stata alla fine molto positiva.

M.B. Hai appena menzionato il termine “coro”, una parola fondamentale. Il coro gioca un ruolo decisivo in tutte le tue produzioni. Hai anche detto che con questo lavoro hai voluto avvicinarti alla prassi performativa antica. Il teatro ai tempi di Eschilo non era solo un evento sociale, ma aveva anche un importante significato politico. Che ruolo ha per te il coro nell’ “Agamennone”?

U.R. Abbiamo letto l’“Agamennone” come un modo per superare una guerra vissuta da una collettività nel suo insieme. Per quasi tutta la prima metà dell’opera, il coro di Eschilo racconta le proprie paure e speranze, che sono direttamente collegate alla guerra. Affronta anche le conseguenze che derivano dalla guerra, le tensioni sociali che genera, il fatto che le sofferenze della guerra non sono mai equamente distribuite tra tutti gli abitanti. Chiunque abbia un marito o un figlio che torna da Troia in un’urna di cenere non è disposto a capire e ad accettare perché il suo vicino non abbia subito la stessa sorte. Il coro fa venire così alla luce, per sé stesso e quindi anche per il pubblico, le emozioni represse per anni, ad esempio la rabbia che ribolliva sotto una superficie apparentemente calma e che viene a galla con la fine della guerra. Eschilo ha combattuto come soldato in entrambe le guerre persiane. Nel coro dell’“Agamennone” trovano dunque espressione le sue esperienze dirette. Abbiamo provato “Agamennone” più di un anno fa, poco dopo l’inizio della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Già allora il coro rappresentò per noi una cassa di risonanza, in cui trovarono espressione la nostra disperazione, la nostra rabbia e le nostre paure. In questo momento, siamo ancora una volta attoniti di fronte alle atrocità commesse in Israele e anche rispetto alle dolorose conseguenze indotte dalla difesa di quel paese[1]. In analogia con il teatro antico e con la sua funzione sociale nel V secolo a.C., oggi il teatro corale ha una funzione sociale molto importante. Dopo tutto, in quale altro luogo abbiamo l’opportunità di far venire fuori le nostre esperienze traumatizzanti se non a teatro? Seduti davanti ai nostri schermi, leggiamo, ascoltiamo e vediamo continuamente sofferenze umane indicibili e non riusciamo a fare i conti con tutto quello che veniamo a sapere. Il rendere visibili, a teatro, le nostre emozioni represse, ha un valore incommensurabile.

 Le immagini sono tratte dalla Mediateca del Residenztheater: https://www.residenztheater.de/mediathek/media/agamemnon/playlist-stuecke

[1] Questa è naturalmente l’opinione di Ulrich Rasche. Io ad esempio non credo che quello che sta accadendo a Gaza sia da considerare una ‘conseguenza’ naturale e anzi dovuta dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023. Anche le reazioni rispetto al perdurare della guerra in Ucraina non sono necessariamente quelle che descrive Rasche. Su questi argomenti interverremo quando recensiremo lo spettacolo.  (S.F.)