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Lucie Berelowitsch dirige dal 2019 il Préau, Centre Dramatique National de Normandie-Vire. Si è formata come attrice a Mosca e alla scuola di Chaillot. Nella stagione 2015/2016 ha messo in scena a Kiev un’Antigone, che ha poi portato in Francia.

Dal materiale per la stampa reperibile in rete traduciamo alcune considerazioni dell’artista su quella messa in scena, che si è avvalsa delle musiche e dell’interpretazione del collettivo femminile Dakh Daughter: il gruppo è fuggito dalla guerra e si trova adesso ad Amsterdam. Oggi diamo voce a quel che Lucie Berelowitsch ha dichiarato nelle note di regia e in alcune interviste di qualche anno fa, che risuonano però di una stringente e dolorosa attualità. Torneremo presto su quest’Antigone franco-russo-ucraina con alcune nostre considerazioni (S.F.)

 

 

Ho molto da fare, oggi:

Bisogna uccidere fino in fondo la memoria,

Bisogna che l’anima si pietrifichi,

Bisogna di nuovo imparare a vivere…

Anna Akhmatova, Requiem

Nell'aprile 2014 mi è stato offerto di partecipare a un viaggio organizzato a Kiev con altri registi teatrali. Erano trascorsi pochi giorni dalla rivolta del Maidan, sulla piazza stavano ancora le barricate, gli edifici incendiati, le tende dove i rivoltosi continuavano ad accamparsi. Ma la vita a poco a poco riprendeva. La domenica la gente si recava a passeggiare con i bambini tra le macerie. Ovunque c'erano piccoli altari eretti nel ricordo di coloro che erano morti, fiori, fotografie... mi chiesi come è che si devono onorare i morti, com’è che si supera il lutto, che posto bisogna dare alla memoria, giorno dopo giorno, e che posto invece deve subito essere concesso al dovere di continuare a vivere.

Mentre mi ponevo queste domande, mi fu chiesto di mettere in scena un dramma a Kiev. Prendere un testo contemporaneo e parlare direttamente della situazione allora attuale sarebbe stato troppo ambizioso e d’altro canto non potevo mettere in scena qualcosa che ignorasse quello che era accaduto e che stava accadendo. Allora ho riletto l’Antigone, una tragedia in cui si sentono risuonare con forza domande del tipo: cos’è una guerra fratricida? Cosa accade ai morti di una guerra civile? E se si distrugge tutto, come si potrà dopo ricostruire tutto daccapo? Nell’Antigone si parla di rivolta, di legge, di giustizia, di come funzioni il potere. Temi più attuali che mai.

Mi resi conto che l’Antigone in Ucraina assume un significato enorme: la tragedia di Sofocle mi permise di parlare di quel che stava accadendo con un linguaggio universale, il linguaggio del mito. L’Antigone, infatti, mi sembrò rispecchiare la situazione dell’Ucraina, ossia lo stato di un paese distrutto ma che voleva ricostruirsi, che aveva tutte le possibilità per sperare in una società migliore. Ma quel paese veniva fuori da una guerra fratricida e ne portava tutte le ferite: un riferimento implicito, naturalmente, alla guerra russo-ucraina.

Incontrai allora le Dakh Daughters, un gruppo di ragazze che fanno parte della sola troupe di teatro indipendente ucraino, contemporaneamente attrici, cantanti e musiciste. Andavano ad esibirsi spesso sul Maidan, erano delle Antigoni della nuova Ucraina, avevano preso apertamente posizione durante le manifestazioni. Quest’incontro, insieme alle mie prime impressioni di Kiev, mi convinse definitivamente a lavorare a un progetto artistico sull’Antigone. Le Dakh Daughter rappresentano infatti una nuova generazione di donne ucraine che rispettano le loro tradizioni, il loro folklore, la loro cultura, hanno voglia di valorizzare tutto ciò; ma d’altra parte queste ragazze sono completamente moderne, europee. Rappresentano un ponte tra il passato e il futuro.

Ho proposto a questo collettivo di donne di interpretare sia il ruolo del coro, sia quello di Antigone: ogni intervento del coro è stato riscritto insieme a loro, che hanno perciò composto delle musiche originali, adattando alla musica un testo in ucraino, lingua che ha un suo proprio ritmo e una sua energia.

Inoltre volevo restituire centralità al coro della tragedia, come è nell’originale greco. Nel coro si esprimono tutte le ansie di rinnovamento di chi prendeva parte allo spettacolo tragico, l’aspirazione collettiva alla rinascita. La musica è un linguaggio che fa appello al corpo, al movimento, che sollecita emozioni più del ragionamento e delle parole.

La musica e il canto sono forse divenuti gli elementi più importante della nostra Antigone.  Qui si può sentire e vedere il canto corale a Eros. Un canto di rivolta, ma anche di liberazione dionisiaca, di scioglimento delle energie represse.

Abbiamo lavorato sull’Antigone  di Sofocle e sull’Antigone  di Brecht, ispirata dalla traduzione di Hölderlin. Quest’ultima mi è apparsa più realistica, più politica. Il Creonte di Brecht è chiaramente il tiranno, che manda alla rovina il suo popolo e sé stesso. Ma non abbiamo adottato nessuna interpretazione della tragedia, abbiamo voluto farci un’idea da noi stessi, rileggere il testo e discuterne.

Così il montaggio tra questi due testi si è arricchito di una vera e propria riscrittura avvenuta in scena, scaturita dalla discussione con gli attori, discussione che aveva per argomento la tragedia di Sofocle e quel che le sue tematiche evocano oggi. La nostra lettura ha finito per vertere soprattutto sul ‘fuori campo’, su ciò che nella tragedia non si vede, ma che è fondamentale per comprendere la vicenda.

La nostra Antigone può perciò essere definita un’Antigone in negativo, un’Antigone ‘fuori campo’, ed è nel ‘fuori campo’ che si costruisce la storia. Ci siamo chiesti: com’è che Antigone è diventata Antigone? Quali sono le premesse per la sua ribellione allo Stato, cosa è accaduto perché diventasse un personaggio tragico? Ho cercato di richiamare sulla scena tutto ciò che viene prima dell’azione della tragedia, ad esempio mostrando il sangue del fratricidio oppure la Sfinge che poneva l’enigma risolto da Edipo: Antigone non diventa Antigone d’improvviso o per una scelta consapevole, su di lei pesa tutta una storia che dobbiamo conoscere.

Qualche mese dopo la rivoluzione del Maidan, a Kiev regnava la contraddizione: come ho detto, restavano le barricate costruite con i bidoni e tutto ciò che era stato distrutto, bruciato. Però era primavera, splendeva il sole sulle macerie e tutti quei fatti sembravano già essere sprofondati nella storia, nel passato. La città si chiedeva cosa fare con la sua memoria, come onorare i morti, come ricostruire a partire dalle ceneri, come ricominciare a vivere.  

La nostra Antigone si situa in quel momento, un momento di passaggio, ma non necessariamente verso il meglio, verso la pace. Si spera che cominci la pace, ma l’Antigone è piuttosto un dramma sospeso tra una guerra finita e un’altra che può arrivare, anzi che alla fine sembra imminente. L’azione della pièce ha luogo tra due guerre.

Il dramma comincia con la notizia (prematura) della vittoria di Tebe e finisce con il presentimento che la guerra ricomincerà. È un momento di passaggio, di sospensione, di fragilità. Come si può festeggiare la vittoria, in questa condizione? Si rischia di tenere un Banchetto durante la peste, come suona il titolo di una pièce di Puškin; pensiamo anche a The City of the plague (1816) di John Wilson. Di questo genere, come festini durante un’epidemia, apparivano in Ucraina i festeggiamenti delle vittorie nel passato, a cui era seguita la guerra civile e ancora altre guerre. Se, come ha dichiarato di recente papa Francesco, stiamo assistendo ad una terza guerra mondiale smembrata in varie parti della Terra, allora questa può essere la situazione, l’atmosfera emotiva dell’Antigone: l’atmosfera cioè che si respira in società che sono, per così dire, esitanti, divise tra un modello sociale ormai vecchio e un mondo futuro che deve essere ancora inventato.

Sullo sfondo della scena della nostra Antigone, ci sono delle icone ortodosse, come se fosse l’interno della villa del Presidente ucraino, Viktor Janukovyč, che si dimise dopo la protesta. Stanno a significare la profanazione del sacro da parte di Creonte. L’interno del palazzo che qui si svela mostra il lusso e la corruzione morale che lo accompagna. Eppure Creonte è il personaggio più umano della pièce, quello che si evolve maggiormente in scena: divenuto Re senza essere preparato, alla fine si confronta con i suoi errori e la sua hybris.

Chi è invece Antigone? Come personaggio si evolve molto poco durante la pièce; è sicuramente un’intransigente. Questo la rende vicina, troppo vicina, alla morte. Già quando la tragedia comincia, è una figura di morte, lo dichiara lei stessa alla sorella: ‘la mia anima è morta, non mi resta altro che servire i morti’. Il confronto con Ismene è un confronto tra due diverse visioni del mondo, quasi un’allegoria. Antigone si vota alla morte, Ismene invece vuole vivere, vuole ricominciare. Resta la domanda se ricominciare significa necessariamente dimenticare il passato, ma non è così, anche perché il passato non è mai davvero passato, ritorna sempre. E questo il mito lo racconta attraverso la storia di una maledizione che pesa su tutta una famiglia.

Antigone viene dalla famiglia dei Labdacidi, una famiglia con legami incestuosi, che considera l’altro uno straniero, un assassino, uno che provoca disordini e guerre. All’inizio della pièce, Antigone torna dal viaggio che ha fatto con suo padre che è morto: Antigone ha officiato alla sua morte per quel che ha potuto, ha sepolto il padre. Ma non lo ha dimenticato e non ha sepolto la maledizione che accompagna la sua famiglia. Antigone ripara la perdita dei suoi affetti creando un suo proprio mondo immaginario, mette fine alla maledizione familiare mettendo fine alla famiglia. Questa aspirazione alla morte, questo rinunciare alla vita per la morte, non può valere come esemplare. O almeno, nel momento in cui con Antigone si identificano i giovani che si ribellano, si pone la questione se tale ribellione debba arrivare al sacrificio della propria vita.

L’attrice che interpreta Antigone, al contrario del personaggio di cui ha il ruolo, non intende però rinunciare alla vita e dice: «Noi [la gente di Maidan] ci siamo uniti contro l'aggressore, contro la corruzione e ora dobbiamo costruire insieme il nostro futuro. Se non ora, quando? E chi può farlo, se non noi?»  

Un’altra questione dell’Antigone, ed estremamente attuale in Ucraina, è quella del suo registro linguistico, o meglio il conflitto tra una lingua destinata a relazioni private, la lingua degli affetti e dell’amore, e quella del potere e della sua imposizione.

Ho lavorato con degli attori ucraini per adattare il testo. Sono partita dal francese, per tradurre Sofocle e da Brecht, poi si è lavorato ancora su un testo russo-ucraino. Mi sono resa conto che, rispetto alla lingua, si passava inconsapevolmente dall’ucraino, una lingua di famiglia, che si parla in cucina con la mamma e il papà, al russo, una lingua più sociale, la lingua della città, degli incontri ufficiali.

Il passaggio da una dimensione intima alla dimensione politica, cioè della città, è una delle problematiche dell’Antigone, e ho trovato interessante lavorare su questo problema: perciò i passi più intimi della pièce sono in ucraino, invece quando l’ambientazione diventa più ufficiale si parla in russo. Così abbiamo tematizzato anche il bisogno degli ucraini di riappropriarsi della loro lingua, dato che il russo è stata per molto tempo la lingua ufficiale.  

Il personaggio di Antigone si situa proprio al confine tra la lingua russa e quella ucraina. Tiresia, invece, colui che parla agli uccelli, parla francese, una lingua straniera. Tiresia è il testimone di una religione avvertita come estranea, talora asservita al potere.

La nostra è un’Antigone polverosa, oscura. Non è un’Antigone greca.

Non c’è sole mediterraneo in questa Antigone di Kiev, ma ombre, una terra nera, un clima umido e un’atmosfera violenta.