Durante la pandemia di Covid, il regista e drammaturgo Alexander Eisenach ha prodotto per la Volksbühne di Berlino un dramma monumentale, trasmesso nel marzo 2021 in streaming. In quella pièce intitolata Anthropos, Tyrannos (Ödipus), Edipo divenne figura allegorica dell’uomo (anthropos) che si erge a misura di tutte le cose, dunque in particolare dell’uomo occidentale erede della Rivoluzione Industriale, diventato ‘tiranno’ del pianeta intero e dissipatore mai soddisfatto delle risorse della natura.
Il mitologico Edipo, dunque, forniva il fascinoso, arcaico e compassionevole volto del despota assoluto dell’antropocene, l'attuale era geologica. Il dramma di Eisenach aveva come scopo denunciare gli effetti catastrofici dell’ incontrollato dominio umano sul pianeta terra. Attraverso la rivisitazione del più celebre dei miti della tradizione europea, il teatro tornava ad essere politico, a sollecitare riflessione e partecipazione. Accanto all'archetipo tragico, andavano in scena relazioni di scienziati e testimonianze museali, che raccontavano la storia della terra e mostravano con dati alla mano gli effetti letali degli ultimi secoli di antropizzazione sul pianeta e sulle sue risorse.
E tuttavia l'uomo, il contemporaneo Edipo, credendosi uguale a dio, continua a peccare di hybris e nonostante i moniti degli scienziati si avvia follemente verso l’annientamento suo e del mondo che lo circonda. Il suo accecamento è dunque metaforico, perché Edipo non vuol vedere quel che segni tangibili ed evidenti gli suggeriscono.
Dal punto di vista drammaturgico, la tecnica usata da Eisenach in Anthropos, Tyrannos (Ödipus), il cui copione abbiamo tradotto in italiano, è quella del collage di testi e di immagini: così il video interagisce con una scenografia imponente, in cui convivono elementi ‘classici’ con altri di sapore avveniristico o fantascientifico. I versi di Sofocle si alternano alle lezioni di una nota biologa marina, Antje Boetius. Le parole angosciose di Hölderlin sono accostate a fondate dissertazioni sui pericoli dei cambiamenti climatici e sulla genesi delle crisi ecologiche e sanitarie.
Quando Anthropos, Tyrannos (Ödipus) è andato in scena, si stava tutti in pieno lockdown, reclusi in casa, attaccati agli schermi dei computer come ad una realtà che temevamo di perdere per sempre.
Internet ci permise, tre le altre cose, anche di andare virtualmente a teatro: per mezzo della web cam, potevamo osservare da vicino gli attori, renderci conto della grandezza delle macchine sceniche, attraversare tutto lo spazio teatrale, inquietantemente vuoto, spazio nel quale ci si poteva muovere a 360 gradi con il telecomando o il mouse. Attraverso internet partecipammo ad eventi di ogni tipo, anche all’evento teatrale, e tale partecipazione divenne un atto catartico, liberatorio e in fondo di resistenza ad un male che non comprendevamo. Il teatro, atto collettivo e partecipativo per antonomasia, restò ancora possibile, nonostante i teatri chiusi e a dispetto del distanziamento e della solitudine che ci era imposta.
L’eccezionalità della situazione fornì l’atmosfera emotiva adatta per l’esperimento drammaturgico di Eisenach: ci sentimmo comunità con tutti gli altri spettatori, che non avremmo mai guardato negli occhi né conosciuto di persona; ma eravamo vicini anche al regista, alla compagnia, agli altri ideatori del progetto. In quella stagione, tutti erano raggiungibili per mail, anche chi normalmente non ha tempo nemmeno per rispondere ai messaggi. Allora organizzare un incontro zoom divenne facilissimo. Credo che mai conferenze e dibattiti siano stati così pieni di ascoltatori, virtuali e non in presenza, ma attivi e partecipi.
La versione di Edipo di Eisenach andò in scena in un momento in cui la tragedia di Sofocle veniva nuovamente riscoperta nella sua esemplarità. I versi di Sofocle riuscivano a parlare per tutti, l'invocazione dei cittadini di Tebe a Edipo perché li salvasse dalla peste divenne la nostra invocazione ai potenti, agli scienziati, a Dio: ci sentivamo più uniti che in qualsiasi altra manifestazione pubblica di massa precedente. Scoprimmo il senso della parola com-passione, del soffrire insieme. I versi antichi non risultavano mai troppo remoti o declamatori, ma oscuramente e sinistramente profetici. D'altro canto, il discorso scientifico nudo, preciso, accademico, si intrecciava alla dizione poetica con un effetto di continuità e non di straniamento. Abbiamo creduto, anche con una certa commozione, al progetto di Eisenach. A quell’opera, innovativa nella tecnica e nel tema, abbiamo perciò dedicato un intero fascicolo di Visioni del tragico, oltre che un incontro on-line con il regista e autore che si può vedere sulla nostra pagina Facebook.
Sono passati due anni, lunghissimi. La stessa tecnica di lavoro e lo stesso tema è adesso affrontato in una specie di sequel di Edipo, intitolato Anthropos Antigone, in cartellone in questi giorni a Kassel. Ma la pandemia è finita, o almeno così ci dicono: allora eravamo in obbligata reclusione, oggi stiamo vivendo un periodo di sfrenata socializzazione. Città, strade, monumenti, e anche i teatri, sono tornati ad essere gremiti, spesso insostenibilmente gremiti.
In questa situazione storica ed emotiva radicalmente mutata, Eisenach porta in scena Antigone, come continuazione della vicenda mitologica iniziata nel precedente dramma. Non è certo l’unico caso in cui un tema tragico greco viene portato in scena come se si trattasse di una 'serie' televisiva con diverse 'stagioni', e lo stesso Eisenach aveva voluto per il dramma su Edipo far uso della narrazione seriale. Questa Antigone vale dunque come la 'stagione 2' della 'serie' Anthropos.
Si legge nella presentazione dello spettacolo:
Antichità for Future! Dopo che Anthropos, l’essere umano, ha trovato il suo ultimo rifugio nel bosco sacro delle Eumenidi a Colono, l’orrendo Creonte ha preso il potere a Tebe. Grazie alla geo-ingegneria e allo scatenamento delle potenze del mercato, cerca ancora di difendere il ‘divino’ predominio dell’uomo sul pianeta.
Ma Creonte trova nella figlia di Edipo, Antigone, un'avversaria accanita, che lotta per una politica del pianeta e si confronta con le ambizioni di potere assoluto dell'uomo economico. Antigone cerca di trasformare nuovamente il pianeta in una risorsa disponibile gratuitamente.
Nel conflitto tra Antigone e Creonte si fronteggiano due principi. Per Antigone una cosa è chiara; sino a che Anthropos avrà di vista solo i propri interessi e ferirà continuamente gli interessi di tutte le altre creature terrestri, sarà sempre in guerra con gli dei. Una guerra che può solo perdere. Riuscirà Antigone a imporre una nuova politica planetaria e a far intravedere un futuro su questo pianeta? E noi infine riconosceremo le leggi superiori e saremo capaci di vivere insieme? La risposta a queste domande sta al centro della lotta politica finale.
Antigone, insomma, come Greta Thunberg, un paragone già un po’ abusato, a capo di un gruppo di attivisti di ‘Ultima generazione’. Niente di particolarmente nuovo: tra poco avrà finalmente la sua prima a Gent l’attesissima Antigone in Amazzonia di Milo Rau, l’antesignana di tutte le Antigoni ecologiste, i cui lavori furono interrotti proprio dal lockdown, e il cui messaggio annunciammo per primi ai tempi della pandemia proprio in questo blog.
Anche se non più originalissimo, encomiabile resta l’intento di Alexander Eisenach, coadiuvato dal Theater des Anthropozän animato da Frank Raddatz; a proposito di Edipo, abbiamo studiato ed evidenziato la novità nella drammaturgia generale e anche e soprattutto negli spazi extra-teatrali dei quartieri periferici di Berlino. Il progetto che sta alla base di questa Antigone, va ancora molto oltre la performance teatrale, perché fa parte di un impegnativo lavoro interdisciplinare, che coinvolge ben sette musei, l’Università di Kassel e altre istituzioni scientifiche e culturali, e che porterà ad una mostra interdisciplinare tra 2023 e 2024 e a riflessioni comuni sull’esaurirsi delle risorse planetarie.
Un lavoro meritorio, dunque, in cui arte e scienza si danno la mano; si tratta di una nuova forma di attivismo teatrale e di sperimentazione e contaminazione di linguaggi, di un’intelligente possibilità di guardare al futuro attraverso esempi antichi, senza retorica o classicismi. Ciò non toglie che lo spettacolo possa risultare fagocitato da tutti i messaggi che si vogliono veicolare.
Questa nuova puntata della saga tebana rischia infatti di essere ripetitiva e di sminuire la novità del contenuto di protesta e soprattutto della drammaturgia. La tecnica del collage, in cui a maschere e costumi alla greca si mescolano video clip, nonché la giustapposizione di discorso scientifico ‘serio’, discorso politico, e gergo giovanile tipico dei social e della rete, diventano forse in questo caso troppo. Il risultato rischia di sortire un effetto grottesco. Troppo è anche, a nostro parere, attualizzare il mito lasciando fondare ai giovani, Emone, Ismene, Antigone e Polinice, una ‘Lega di resistenza terrestre’ che compie atti di sabotaggio contro il regime neoliberale del vecchio Creonte.
In alcune inserzioni, si scade nella (involontaria?) parodia, ad esempio quando c'è un rituale collettivo di adorazione di un micelio da parte degli adepti della nuova religione ecologista, oppure nel bagno di gruppo in un mare di plastica, ossia nelle miriadi di confezioni dei prodotti ‘buoni e a buon mercato’ che finiscono nei rifiuti e inquinano l'ambiente (dunque chi non può permettersi costosi prodotti biologici è il vero killer della Natura? – così si è chiesta Katrin Ullmann, che ha recensito lo spettacolo per Nachkritik.de, forse esagerando nel sarcasmo, ma certo con qualche ragione).
C’è comunque abbastanza per épater le bourgeois e suscitare sincera indignazione nei confronti del vecchio e scettico Creonte, il cui volto campeggia nel video a tutta scena, che reagisce con un annoiato ‘ah si?’ alle accuse e alle giuste recriminazioni del figlio Emone. ‘Ah si?’ – non viene in mente nient’altro a questo Creonte dai capelli bianchi, un caparbio signore perbene che indossa un cappotto col collo di pelliccia, che crede ancora ciecamente al futuro, coerente all’idea che la natura vada saccheggiata e usata in nome del progresso scientifico e tecnologico. Creonte pensa del resto che l’uomo finirà per trasformarsi in dio, liberandosi, grazie alla scienza, della malattia e della morte: e allora i problemi dovuti ai cambiamenti climatici, le catastrofi naturali e le epidemie, ma anche le perduranti guerre, non ci saranno più. Creonte insomma è un inguaribile e stupido ottimista, ma i giovani rischiano di apparire solo saccenti moralisti. Quando Emone spiega a Creonte che l’uomo e il pianeta non hanno prospettive di sopravvivenza, quando mostra a Creonte in cosa ha sbagliato, allora il vecchio sbadiglia e dalla sua bocca vien fuori solo, in una specie di ghigno, la domanda incredula: ‘Ah si?’.
Il ricco materiale a supporto dello spettacolo, reso disponibile sulla pagina web del teatro di Kassel, merita di essere studiato e contestualizzato da tutti coloro che si occupano della ricezione del mito di Antigone e sicuramente ci torneremo. Per ora constatiamo come Antigone torni anche in questo 2023 ad animare i teatri occidentali.