Siracusa, estate 2022. Dopo gli anni bui della pandemia, torna il Festival di teatro greco.
Per oltre un mese e mezzo si registra il tutto esaurito, con in totale 150mila presenze. Come altri festival di teatro, anche questo fu celebrato nel segno della rinascita e della ripresa. Non è un caso che la tragedia di punta del festival di Siracusa 2022 sia stata l’Edipo Re di Sofocle.
Durante la pandemia, non solo in Europa, la trama dell’ Edipo Re è servita da specchio per illustrare lo smarrimento di una comunità politica in preda a un morbo dalle ragioni inspiegabili e per sottolineare la responsabilità immensa di chi governa, sia nel prendere le decisioni del momento, sia nel riconoscere la propria colpa rispetto a una politica dissennata, irrispettosa della natura e delle proprie ‘origini’, quale è quella dei potenti del mondo negli ultimi cinquant’anni. La sapienza di Tiresia, allora, facilmente è stata accostata alle previsioni della scienza, all’allarme lanciato sulla malattia incurabile di un pianeta ormai definitivamente infetto e in declino.
Il problematico post-pandemia ha adottato l’ Edipo Re anche come tragedia emblematica della ‘rinascita’: da una parte, ogni ‘rinascita’ ambisce a tornare alle ‘origini’, e l’Edipo Re per vari aspetti, non solo la pesante tradizione aristotelica, è considerata la tragedia greca per antonomasia, dunque all’origine della tradizione della tragedia. Inoltre l’Edipo Re prospetta una soluzione e una ripresa, perché il presunto colpevole del morbo è punito e viene esiliato dalla città. La polis e la sua comunità può così ricominciare a vivere.
La regia della tragedia di Sofocle è del canadese Robert Carsen, che nelle sue note di regia sottolinea l’importanza del coro, il “secondo personaggio dello spettacolo”. È nel coro, infatti, che la comunità teatrale deve rispecchiarsi, deve anzi riconoscersi, e questo viene amplificato nella messa in scena siracusana dalla scenografia e dai costumi.
Questi ultimi, pur nella loro semplicità, sono contemporanei ma fanno chiaramente appello alla tradizione mediterranea in senso lato, greca e dell’Italia meridionale nello specifico, identificando la comunità a cui si rivolgono nell’immediato (il costumista, Luis E. Carvalho scrive di essersi ispirato in primo luogo al libro The death rituals of rural Greece della fotografa spagnola Cristina Garcia Rodero, da cui sono tratte le immagini sotto). D’altro canto, i costumi alludono ad un’identità più latamente europea e occidentale, e a una ripresa della ‘normalità’ che significa invero mancanza di diversità: gli uomini sono in giacca e cravatta nera, le donne in gonna e blusa nera,con il capo velato. Anche la scena è bianco e nero, il che provoca un effetto vintage che risulta a sua volta rassicurante, richiamando le radici, il passato recente. Però se il bianco richiama certamente la calce che riveste le case nei centri storici dei paesi greci e dell’Italia meridionale, ma è anche il colore che ingloba tutti gli altri colori, il colore dell’assenza e dell’uniformità. I costumi sono come delle divise, e questa monotonia rende impossibile differenziare socialmente chi sta in scena.