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Vedere un Edipo alla Schaubühne di Berlino non può che riverlarsi un’esperienza esaltante. Un po’ per il fascino di questo leggendario teatro che svetta, con le sue forme architettoniche sinuosamente curvilinee, nel cuore del quartiere di Charlottenburg, circondato dai lussuosi palazzi del Ku’damm.

E un po’ per le reminiscenze storiche che si ricollegano a questo luogo sacro della cultura teatrale europea, anche e soprattutto di quella legata alle messinscene di tragedie attiche. Fu proprio qui, alla fine degli anni Settanta, che Peter Stein e Klaus Michael Gruber allestirono i drammi del loro “Antike-Project” – Baccanti e Orestea – rivoluzionando le prospettive di regia consuete. Tanti anni dopo è in cartellone un ödipus, scritto proprio così, con l’iniziale minuscola, rivisitazione moderna del testo sofocleo, riadattato alla luce dell’attualità.

E in effetti Sofocle c’entra poco o nulla con questa tragedia del XXI secolo, scritta da Maja Zade, e messa in scena da Thomas Ostermeier, uno dei più originali e celebrati registi tedeschi viventi, che da oltre due decenni dirige la Schaubühne insieme con la coreografa Sasha Waltz. Questo ödipus dei tempi nostri, già presentato in estate al Festival di Epidauro, conserva solamente lo scheletro della trama sofoclea, e ignora volutamente anche la ricezione freudiana e tutte le implicazioni che ne sono seguite. Il protagonista, che si chiama Michael (Renato Schuch), non soffre di nessun complesso edipico.

Appare come un giovanotto spensierato e ingenuo, che si gode la vacanza in Grecia con la moglie Christina, la Giocasta del caso (interpretata da una Caroline Peters in stato di grazia), parecchio più anziana di lui e incinta. Dal primo marito, Wolfgang, deceduto in un incidente automobilistico, Christina ha ereditato la proprietà di una fabbrica chimica, che gestisce insieme col giovane marito e col fratello Robert (Christian Tschirner), freddo e razionale uomo d’affari.

La scenografia (disegnata da Jan Pappelbaum) è essenziale ed efficace: una modernissima e superaccessoriata cucina a isola di color nero, il cui spazio è incorniciato tridimensionalmente da tubi al neon che emanano una luce fredda. Attorno a questa cucina, come fosse l’altare di Dioniso di un teatro antico, avvengono i dialoghi tra i personaggi e gli svelamenti più sorprendenti. Tra tostapane, frullatori e spremiagrumi si nota la statuetta di una sfinge, piccola ma significativa concessione all’eredità del mito, che a un certo punto, per un gesto di rabbia, finirà frantumata in mille pezzi. Sul pavimento c’è sabbia (siamo in Grecia dopotutto, in una moderna villa sul mare); sulla destra un barbecue, un tavolo, delle sedie da giardino. Sullo sfondo uno schermo proietta a intermittenza immagini di quanto accade fuoriscena. E di tanto in tanto, nei momenti in cui la tensione si acuisce, sopraggiunge una telecronista che punta la videocamera sul volto di un personaggio e ne trasmette in diretta il primo piano in formato ingrandito.

 

Se l’Edipo sofocleo inizia con un’epidemia di origine divina, in questo ödipus è successa una disgrazia ecologica: delle sostanze chimiche (pesticidi) sono finite nelle falde acquifere di un villaggio della Bassa Sassonia provocando problemi respiratori nei bambini e un aumento dei casi di cancro tra i residenti della zona. La responsabilità dell’incidente ricade sulla ditta di famiglia e il rischio è quello di essere condannati a pagare danni ingenti.

Che fare, dunque? Mentre il cinico Robert, il Creonte di turno, vorrebbe gestire la questione facendo in modo di scagionare l’azienda e dunque insabbiando lo scandalo, l’ingenuo Michael ha già commissionato un’indagine per scoprire le cause e il colpevole del danno ambientale. Vorrebbe esprimere una nuova visione aziendale che al guadagno antepone la coscienza ambientalista. Gli preme più di tutto conoscere la verità di come sono andati i fatti. Non sa, ovviamente, di essere lui stesso il colpevole. Ma tutto cambia con l’apparizione in scena di Theresa (Isabelle Redfern), alias Tiresia, che in questo contesto è una donna, amica di Christina, al corrente dei tanti misteri di quella disgraziata famiglia (uno stupro subito, un bambino abbandonato in fasce all’orfanatrofio etc.).

Non ci sono gli dèi in questo moderno “Edipo della porta accanto”, non ci sono oracoli e profezie; non c’è nessuna verità rivelata che da Delfi possa dare un senso al destino. E neppure un coro che suggerisca una qualche chiave di lettura. C’è solo il caso col susseguirsi fortuito di eventi e coincidenze. E c’è un uomo fragile abbandonato a sé stesso. Alla scoperta della verità (parricidio e incesto), Michael si dispera, si abbandona a reazioni furiose, distrugge le suppellettili della casa e si chiude disperato in camera sua. Solo l’immagine di un’ambulanza proiettata sullo schermo fa intendere allo spettatore qual è stato l’esito dello sconvolgimento emotivo. Subito dopo scorrono sullo schermo le immagini di varie catastrofi ambientali degli ultimi anni: inondazioni, esplosioni, intossicazioni e quant’altro.

 Soprattutto nella sovrapposizione costante di recitazione e filmati si può rintracciare la cifra stilista della regia di Ostermeier che trasforma il dramma di Edipo in un appassionante Kammerspiel psicologico, un dramma di famiglia con qualche spunto bergmaniano. In una recente intervista, alla domanda sul perché non avesse finora mai messo in scena tragedie greche, il regista tedesco ha risposto di non essersi mai cimentato in quel campo «perché non credo nel concetto di destino». E infatti questa regia, come pure il testo della Zade, punta tutto sulla colpa dell’uomo, poco importa se volontaria o meno, responsabile diretto, distruttore del pianeta. La pandemia di Covid-19 e i vari disastri legati al cambiamento climatico di quest’estate – dalle inondazioni in Germania alle ondate di calore mortali in Canada fino agli incendi in Grecia – sono il presupposto obbligato di questa rilettura del tema edipico, una rilettura che si riaggancia per molti aspetti a quella di un altro recente adattamento edipico tedesco, Anthropos, Tyrann (Ödipus) del regista Alexander Eisenach, andato in scena “virtualmente” nel febbraio 2021 in un altro storico teatro berlinese, la Volksbühne (pubblicheremo la traduzione italiana del testo messo in scena da Eisenach in un fascicolo speciale della rivista 'Visioni del tragico', ma ne abbiamo già parlato qui)

 All’inizio di questa recensione ho scritto che l’ödipus di Zade-Ostermeier ha poco a che fare con Sofocle. A pensarci bene non è esattamente così come l’autrice e il regista vorrebbero far credere. Se tutto è diverso quanto a personaggi e situazioni, è però vero che il filo drammaturgico si dipana attraverso una progressiva scoperta della verità. A poco a poco, per una serie di circostanze fortuite e con un susseguirsi di colpi di scena, Michael scopre la propria colpa di assassino del padre e marito della madre. Scopre di essere un Edipo fragile e impotente, anche lui simbolo di quanti sono annichiliti dal destino. E da questo punto di vista la struttura drammaturgica di ödipus riproduce perfettamente quello dell’Edipo re sofocleo, una “macchina infernale” che Schiller, in una lettera a Goethe del 1792, definiva appropriatamente come una “tragische Analysis”, una “analisi tragica”.

 Resta un’ultima osservazione conclusiva: non c’è solo l’ödipus di Ostermeier nel cartellone della Berlino teatrale del settembre 2021. Sarà per una circostanza casuale, o per un qualche disegno imperscrutabile, ma è incredibile notare come la stagione teatrale della capitale tedesca, dopo due anni di programmazione bloccata dalla pandemia, sia ripartita all’insegna dell’eroe greco antico. Alla Komische Oper l’opera lirica Œdipe di George Enescu in una surreale regia del kazako Evgeny Titov. Alla Deutsche Oper, o meglio nel parcheggio all’aperto del teatro, Greek di Mark-Anthony Turnage, per la regia del giovanissimo Pinar Karabulut: un’opera comica vivace e sboccata che trasporta Edipo (qui Eddy) da Tebe alla Londra thatcheriana. E ancora un Oedipus al Deutsches Theater, con traduzione di Hölderlin e regia di Ulrich Rasche, che rilegge il dramma sofocleo in una chiave ritualistica. È indubbiamente lui, Edipo, il personaggio tragico per eccellenza, quello su cui proiettare le pandemie e le catastrofi contemporanee.

 Le foto sono di Gianmarco Bresadola. Nel ritratto il regista Thomas Ostermeier.