Ci voleva una regista anticonformista e visionaria come Emma Dante per fare dell’Ifigenia in Tauride di Christoph Willibald Gluck uno spettacolo appassionante e vivace, che cattura l’attenzione del pubblico dal primo all’ultimo minuto.
Vista al Teatro Grande di Brescia lo scorso 7 novembre, questa Ifigenia risulta essere molto più di un melodramma settecentesco. Si tratta di una vera e propria «tragedia basata sull’amore e sulla fratellanza, sui sentimenti selvaggi in cui il destino è più forte di qualsiasi scelta», come ha spiegato la regista siciliana motivando il proprio entusiastico interesse per l’opera di Gluck, la quale si basa del resto molto fedelmente sull’omonima tragedia euripidea (anche se il titolo greco suona più precisamente Ἰφιγένεια ἡ ἐν Ταύροις, ovvero Ifigenia fra i Tauri).
La prima assoluta dell’Iphigénie en Tauride di Gluck, articolata in 4 atti, andò in scena dieci anni prima della Rivoluzione Francese, il 18 maggio 1779, all’Opéra di Parigi; e in quello stesso anno Goethe compose in prosa la sua Iphigenie auf Tauris, successivamente rielaborata in versi. Due anni dopo, nell’ottobre 1781, l’opera di Gluck fu rappresentata in una versione tedesca al Nationalhoftheater di Vienna, e quindi, in italiano, con libretto di Lorenzo Da Ponte, al Burgtheater della capitale austriaca. Il segreto di tanto successo nella Mitteleuropa di fine Settecento stava senza dubbio nel fascino dell’ambientazione barbarica della vicenda, la remota regione abitata dai Tauri, corrispondente all’odierna Crimea, dominata da aspre montagne e tradizioni ancestrali violente, dove perfino il sacrificio umano è praticato come normale rituale di purificazione.
Ebbene, proprio l’ambientazione barbarica è lo sfondo su cui punta l’immaginifica regia della Dante fin dal principio: il prologo musicale è ‘commentato’ visivamente con enormi tendaggi rossi che si agitano impetuosamente sul proscenio evocando sangue e passione, a suggerire i moti tempestosi nell’animo della protagonista e al contempo un universo arcaico e crudele. Ma questo immaginario che potremmo definire “dionisiaco” si alterna con visioni più classicamente “apollinee”: il tempio della Tauride è una sorta di Eretteo con bianche colonne ioniche e sei cariatidi viventi che ne reggono il tetto. Le sacerdotesse di Artemide (che nel testo di Gluck è latinizzata come Diana) compongono il coro indossando pellicce e corna di cervo, sempre pronte a scoccare frecce e respingere assalti per difendere il cervo scheletrito che fa da totem al santuario.
In quello scenario che dà immagine alla mitica Tauride, troviamo la protagonista Ifigenia (Anna Caterina Antonacci), nel ruolo di sacerdotessa di Diana. Ifigenia vi era stata portata per sfuggire al sacrificio ordinato dal padre Agamennone, e nulla sa delle disgraziate vicende occorse alla sua stirpe, sebbene in sogno le appaiono le crude visioni dell’omicidio di Agamennone e della successiva morte di Clitemnestra). L’arrivo in Tauride del fratello Oreste (Bruno Tiddia) con il fido amico Pilade (Mert Süngü) anima l’azione scenica: tutti gli stranieri che giungono in Tauride devono essere sacrificati. L’ordine del re Toante (Michele Patti) è perentorio: sarà proprio Ifigenia a condurre il sacrificio dei due giovani greci.
Tutto funziona a meraviglia in questa messinscena, co-produzione dei teatri di Opera Lombardia: la direzione d’orchestra di Diego Fasolis, l’eccellente interpretazione del soprano Anna Caterina Antonacci con quella del baritono pavese Bruno Taddia nei panni di Oreste. Ma a lasciare il segno e a miscelare il tourbillon delle note e delle parole è senz’altro l’allestimento firmato da Emma Dante, con le scene di Carmine Maringola, i costumi di Vanessa Sannino e le luci di Cristian Zucaro. Tra le trovate più ingegnose si segnala quella di esplicitare la passione omoerotica di Oreste e Pilade, ben più che fraterni amici, ma veri e propri amanti che non esitano a tenersi per mano e baciarsi, giurandosi amore eterno quando vengono incappucciati e poi legati alle colonne. In una scena particolarmente efficace i due continuano ad avvicinarsi l’uno all’altro, mentre i sacerdoti e le guardie tirano le rispettive catene in senso opposto. E la scena in cui Ifigenia offre a uno dei due la possibilità di salvarsi, con Oreste che opta per la salvezza dell’amico-amante, è trasfigurata in una bucolica altalena floreale in cui la sacerdotessa si dondola dolcemente.
Se l’agnizione conclusiva, che Aristotele giudicava la migliore del teatro tragico, avviene all’ultimo secondo utile, in modo del tutto repentino e imprevedibile, così da scongiurare il sacrificio di Oreste, la scena finale rievoca una tumultuosa battaglia in cui Greci e gli Sciti della Troade si fronteggiano senza esclusione di colpi. A mettere fine alla contesa è la stessa dea Diana (Marta Leung), che da statua si fa dea ex machina per annunciare il ritorno nella patria greca di Oreste e Ifigenia. A scandire il finale, le sacerdotesse vestite fino allora con tuniche bianche, si vestono a lutto e dall’alto cascano drappi neri che risucchiano il tempio nel vortice delle tenebre.
Dopo l’esordio al teatro Fraschini di Pavia (29 e 31 ottobre), l’Iphigénie en Tauride di Gluck e Emma Dante – una coproduzione dei Teatri di Opera Lombardia – è andato in scena al Teatro Grande di Brescia (5 e 7 novembre), e successivamente sarà al Teatro Sociale di Como (19 e 21 novembre) e al Ponchielli di Cremona (3 e 5 dicembre).
l’Iphigénie en Tauride. Tragedia lirica in quattro atti.
Libretto di Nicolas-François Guillard, tratto dall’omonima tragedia di Euripide.
Musica di Christoph Willibald Gluck.Prima rappresentazione: Parigi, Opéra, 18 maggio 1779
Regia: Emma Dante
Scene: Carmine Maringola
Costumi: Vanessa Sannino
Luci: Cristian Zucaro; coreografo e maestro d’armi Sandro Campagna
Maestro concertatore e direttore d’orchestra: Diego Fasolis
Maestro del coro: Massimo Fiocchi Malaspina
Orchestra: I Pomeriggi Musicali di Milano
Coro di OperaLombardia
Direttore: Massimo Fiocchi Malaspina
Personaggi e Interpreti: Iphigénie (Anna Caterina Antonacci), Oreste (Bruno Taddia), Pylade (Mert Süngü), Thoas (Michele Patti), Diane/Una donna greca (Marta Leung), Prima Sacerdotessa (Luisa Bertoli, Miriam Gorgoglione), Seconda Sacerdotessa (Erica Rondini, Chiara Ciurlia), Uno Scita (Alessandro Nuccio), Ministro del tempio (Ermes Nizzardo=, Attrici (Viola Carinci, Chiara Chiurazzi, Federica D’Amore, Silvia Di Giovanna, Marta Franceschelli, Silvia Giuffrè, Francesca Laviosa, Sabrina Vicari, Marta Zollet).
Le foto sono di Alessia Santambrogio