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Of the Nightingale I envy the Fate: ‘ah, la sorte dell’usignolo canoro’, esclama la Cassandra di Eschilo (Agamennone, 1146) rispondendo al Coro che la compiange:

‘Ah, Sei una folle invasata dal dio,/e intoni su te stessa un canto dissonante,/come un usignolo dal trillo acuto,/insaziabile di grida, ah!, che con animo incline al lamento/sempre piange…’ (traduzione di Enrico Medda).

Da quest’immagine, che alla base un mito tremendo di solitudine e tradimento femminile, quello delle sventurate sorelle Procne e Filomela, trae il titolo l’ultima performance che i Motus, Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande, hanno dedicato alle figure femminili della guerra di Troia.

Presentato alla Triennale di Milano un anno fa, è approdato lo scorso fine settimana a Roma, presso il Teatro Quarticciolo.

@Andrea Macchia, Motus, Of the nightingale I envy the fate, 2022

Tutto brucia ( su cui leggi qui), ispirato alle Troiane di Euripide, esprimeva la dimensione plurale della tragedia, poneva in primo piano il corpo vulnerabile delle donne del mito e consegnava lo spazio del canto corale alla voce e alla musica di R.Y.F.. In questo nuovo lavoro dei Motus, tutta la nostra attenzione, il nostro sguardo e il nostro ascolto, è concentrato su Cassandra, interpretata virtuosisticamente dal corpo in movimento di una giovane danzatrice, Stefania Tansini.

Lo spazio è raccolto: il pubblico è sul palcoscenico, seduto lungo l’area rettangolare disponibile, definita da una lunga striscia di carta plastificata che scende dal soffitto srotolandosi da un lato e disegnata dal gioco di luci e ombre, che investono lateralmente la danza di Cassandra e la proiettano in movimento attorno a noi. La percezione del corpo e dei suoi movimenti, perfino del calore che emana quando si avvicina o ci passa accanto, costituisce la sostanza dello spettacolo, l’esperienza di noi spettatori.

Cassandra è un uccello. I suoi fischi e i suoi versi, dal trillo al grido, si confondono animaleschi con la base sonora, a tratti selvaggia. I movimenti e i gesti, a cominciare da quelli degli occhi piumati di rosa, dicono lo spavento di un corpo in perenne allarme. Un’esistenza braccata. E l’impossibilità di esprimersi, se non attraverso un unico chiaro NO, disegnato per terra con il sangue.

Un NO esplicito, necessario, all’origine della sofferenza che scuote Cassandra.

@Lorenza Daverio, Motus, Of the nightingale I envy the fate, 2022

Le poche battute intellegibili – dove mi trovo?... è questo che chiamate vittoria?... devo dunque morire – ci riportano alla tragedia di Eschilo, ci ricordano il racconto mitologico cui appartiene il personaggio che abbiamo di fronte e la denuncia radicale della guerra e della violenza che esprime. Ma non è il richiamo al mito a prevalere: il nostro coinvolgimento è catalizzato dal corpo della donna, quasi nudo, quasi ferino, dalla sua disperata impotenza, dalla sua evidente costrizione nel ruolo di chi è destinato a morire.

Gli oggetti e gli elementi di scena che man mano entrano in gioco sono superflui, irrilevanti, troppi, rispetto alla forza che esprime da solo il corpo nervoso di Stefania Tansini.

Lo spettacolo, che dura poco meno di un’ora, culmina infine nella voce registrata di Audre Lorde, poeta statunitense nota per l’impegno per i diritti delle minoranze e in particolare delle donne nere, che recita la sua Litania per la sopravvivenza, tratta dalla raccolta The black Unicorn, del 1978. All’ingresso, gli spettatori ricevono la traduzione in italiano:

… per quelle di noi che sono state marchiate profondamente dalla paura…

La comune esperienza di una paura appresa “con il latte di nostra madre”.

La parola inascoltata di Cassandra è perfettamente riconoscibile:

E quando parliamo abbiamo paura che le nostre parole non verranno udite

O ben accolte

Ci siamo tutte in questa paura.

Ma quando stiamo zitte

Anche allora abbiamo paura

Perciò è meglio parlare

Ricordando

Che non era previsto che noi sopravvivessimo

 @Lorenza Daverio, Motus, Of the nightingale I envy the fate, 2022

We were never meant to survive: il verso finale è scritto sul pavimento del palcoscenico. Si tratta di un’iscrizione che resta anche dopo gli applausi, mentre ce ne andiamo.

Ci volevano morte. La biografia di Audre Lorde, attivista nera e lesbica, dà una consistenza cruda e violenta alla frase.

E noi, qui? In che modo ci riguarda tutto questo?

La Cassandra del mito, la battaglia per i diritti delle minoranze nella New York degli anni Settanta del Novecento, ci consegnano provvisoriamente coraggio, speranza, e la necessità di un impegno, ci consegnano un testimone da portare avanti correndo senza fiato.

Ma un disagio prende forma, mentre usciamo.

Siamo in un piccolo teatro che si propone come ‘impegnato’, in un quartiere periferico di Roma. Una scelta significativa, per uno spettacolo che parla di marginalità.

Fuori, macchine affastellate lungo strade strette, tra palazzine popolari malmesse, gruppi di ragazzi agli angoli che parlano forte in arabo. Niente ragazze.

Lungo la Palmiro Togliatti, venendo, abbiamo visto tante prostitute, giovani, in piedi, illuminate dai fari, corpi esposti, lunghe gambe con gli stivali, stranamente e inconsapevolmente simili alla nostra Cassandra.

Bisogna ammetterlo: c’è un abisso fra la piccola comunità di spettatori che è entrata a teatro, che parla di diritti umani e di Palestina, e il mondo là fuori. Due universi paralleli, che non si incontrano.

Rileggo allora le parole della Litania della sopravvivenza:

Per quelle di noi che vivono sul margine

Ritte sull’orlo costante della decisione

Cruciali e sole

Per quelle di noi che non possono lasciarsi andare

Al sogno passeggero della scelta.

 

@Lorenza Daverio, Motus, Of the nightingale I envy the fate, 2022

 

 

Le foto: @ Lorenza Daverio @Andrea Macchia sono tratte dalla pagina web della compagnia: https://motusonline.com/projects/of-the-nightingale-i-envy-the-fate/