1.Al centro della scena, avvolta nel buio completo tranne che per una luce frontale che le illumina il busto, c’è una donna sola.
Racconta una storia in inglese, in prima persona. Come la propria madre, la propria nonna e la propria bisnonna, è nata, cresciuta e vissuta nel piccolo villaggio ucraino di Jablonka, in una famiglia numerosa: “Sono una vera aborigena"[1]. Indossa un lungo cappotto scuro fuori misura e degli stivali. Seguendo l’iconografia occidentale degli ultimi sessant’anni, e ancor di più il funzionamento semiotico della memoria collettiva (Violi 2014), è inevitabile intravedere un rimando ai profughi e ai deportati della Seconda guerra mondiale. A questo proposito, è significativo un aneddoto emerso dal racconto del drammaturgo e regista Valeryi Simonchuck nell’intervista a noi concessa nell’ ottobre 2023 [2]: anche nel dibattito post-rappresentazione a Kiev il pubblico ha immediatamente collocato lo scenario della rappresentazione nel XX secolo, mettendo in atto un vero e proprio dispositivo dissociativo di rimozione post-traumatica.
In effetti, i collegamenti storico-culturali con il secolo breve sono tragicamente necessari.
Quelli che dovevano morire sono morti. Quelli che credevano una cosa e poi quelli che credevano il contrario – anche quelli che non credevano niente e si sono trovati presi nella storia senza capirci niente. Morti uguali, tutti, stecchiti, inutili, marciti. E quelli che ancora vivono cominceranno dolcemente a dimenticarli e a confondere i loro nomi. È finita.
Con queste parole si conclude l’Antigone scritta nel 1941 da Jean Anouilh (traduzione di Andrea Rodighiero in Ciani 2020, 37): una riscrittura della tragedia, nata nei tempi più bui della Seconda guerra mondiale, che ancora non ha finito di parlare al nostro presente[3]. Nel 1948 sarebbe andata in scena a Chur per la prima volta l’Antigone di Bertolt Brecht, in cui diventare disertori diventa una forma di resistenza, davanti all’insensatezza dell’orrore perpetrato dalla guerra[4]. Come scopriamo ben presto, tuttavia, la scena che ci troviamo ad osservare nel video (Simonchuk 2022) dello spettacolo andato in scena diciotto mesi fa a Kiev è ambientata nel 2022. Jablonka, infatti, era il nome del villaggio che a partire dal secondo dopoguerra si è esteso divenendo sede di scuole, fabbriche e squadre sportive, fino a diventare nei primi anni 2000 una città di oltre 30.000 abitanti, con il nome di Bucha, nell’Oblast’ di Kiev.
2.All’inizio della tragedia, Bucha è un “luogo della memoria” (Nora 1984). Nel 1941, come racconta la donna che emerge lentamente dal buio del palcoscenico, il villaggio era stato occupato dai soldati tedeschi: “Ironia della sorte, all’epoca non ci fu neanche un morto”. Anzi, la madre della narratrice, caduta in uno stagno, fu salvata da un giovane soldato tedesco, che si tuffò vestito mentre stava rischiando di annegare. Due anni più tardi, nel 1943, Bucha sarebbe diventata il quartier generale del 1° Fronte Ucraino da cui partì la liberazione di Kiev.
A partire dalla Rivoluzione russa, il territorio ucraino è stato sottoposto a cinque anni di guerra civile, a cui seguì la suddivisione non pacifica del paese in Repubblica Nazionale dell’Ucraina Occidentale, Repubblica Popolare Ucraina e Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Durante la Seconda guerra mondiale, subì due anni di occupazione militare tedesca, vissuta in modo tutt’altro che univoco dalla popolazione. Sono seguiti quarant’anni di Unione Sovietica. L’Ucraina indipendente del XXI secolo ha avuto una storia altrettanto travagliata, a partire dalla Rivolta arancione del 2006, seguita dalla crisi Euromaidan e l’annessione della Crimea alla Russia (2013-2014), dalla cosiddetta Guerra del Donbass e dall’inasprirsi del conflitto russo-ucraino, fino all’invasione del Donbass da parte dell’esercito russo il 24 febbraio 2022.
Nel marzo 2022, l’antica Jablonka è tragicamente tornata a far parlare di sé per di quello un vero e proprio massacro, in cui sono morti almeno 458 civili, di cui 9 bambini, come attestato dalle autorità locali. I media presenti sul posto durante l’occupazione hanno documentato esecuzioni sommarie, fosse comuni, cadaveri di corpi torturati e abbandonati lungo le strade[5].
Molte potenze sono tremende ma nessuna lo è piú dell’uomo. È lui che la parola e il pensiero simile al vento ha imparato e l’impulso che porta alla legge e a fuggire gli strali tremendi dell’inabitabile gelo sotto l’etere aperto. Ovunque s’apre la strada, in nulla s’arresta. Cosí affronta il futuro. Da Ade solo non ha escogitato scampo, per quanti rimedi abbia inventato a inguaribili mali.
La donna sulla scena sussurra adesso questi versi dal primo, celeberrimo, stasimo dell’Antigone (qui nella traduzione di Massimo Cacciari). Sta di profilo, mentre la luce si affievolisce.
“Quando abbiamo visto le strade di Bucha cosparse di cadaveri abbandonati e i sotterranei della città occupati come rifugio dai sopravvissuti, allora abbiamo trovato in Antigone un’opera necessaria da mettere in scena. Davanti a un mondo al contrario, in cui la città è lasciata ai morti e Ade è abitato dai vivi”, spiega Valeryi Simonchuck[6], raccontando le ragioni della sua Antigone. POST-MORTEM, in cui post mortem è tutt’altro che tautologico, bensì un modo per inserire il massacro nel titolo della tragedia e collocare la scena nel contesto di un trauma individuale e collettivo allo stesso tempo. Oltre alla desolazione e alla distruzione, infatti, gli attacchi di marzo hanno avuto come drammatica conseguenza per la popolazione la difficoltà nel ritrovare i propri morti e dare loro una degna sepoltura.
“Sì, buongiorno, sono il numero 500731, sì, posso attendere in linea. Sì, ho preso contatto con il luogo di deposito e nessuno sa dove potrebbe essere la persona che cerco, voi lo sapete?” è il refrain ripetuto dalla donna durante l’intero spettacolo, in un ossessivo crescendo. Ulteriore refrain, sussurrato in modo cantilenante, come una ninna nanna dimenticata, è il testo della Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra (1949).
3. Antigone: POST MORTEM è un monologo di verbatim theatre in cui il testo della tragedia sofoclea emerge a cadenza ricorrente, a volte urlato, altre soffocato o ancora sussurrato dando le spalle al pubblico, come fil rouge di una narrazione polifonica in cui a prendere la parola sono i sopravvissuti di Bucha. Alina Zevakova dà loro voce guardando verso l’alto, verso la luce, con un doppio significato: al momento delle riprese e delle prove prima della messa in scena a Kiev, infatti, sia gli abitanti di Bucha, che l’attrice stessa si trovavano nei rifugi sotterranei. Anche la prima collaborazione, antecedente di alcuni mesi alla tragedia sofoclea, tra l’autore e regista e l’interprete di Antigone. POST-MORTEM si è svolto in forma ibrida tra Berlino (Valeryi Simonchuk) e un rifugio sotterraneo di Kiev (Alina Zevakova).
Il 27 marzo 2022 Simonchuk e Zevakova hanno presentato New World Order (1991) di Harold Pinter al Deutsches Theater di Berlino nella manifestazione Ukrainian Voices for Mariupol’[7] in occasione del World Theatre Day 2022. La scelta del breve testo di Pinter – dieci minuti densi di tensione in cui un uomo siede bendato al centro della scena, costretto ad ascoltare la conversazione tra i suoi due carnefici, che parlano in modo vago ed allusivo di come intendono torturarlo – è terribilmente calzante per rendere lo stato di perpetuo allarme della popolazione, costretta all’attesa nei sotterranei di Mariupol’.
“Nelle settimane successive agli attacchi, grazie all’aiuto di alcuni giornalisti, sono andato a Bucha. Sono andato a parlare con le persone, con gli abitanti di Bucha e con i rifugiati di Mariupol’ (Ndr: fuggiti a Bucha già nel febbraio 2022 durante l’occupazione russa della città dell’oblast di Donec’k). Il monologo è stato composto con le loro storie”, racconta Simonchuk. Perché, forse in modo inaspettato rispetto a quanto si potrebbe immaginare, nei mesi successivi al massacro la maggior parte dei sopravvissuti “voleva raccontare. Molti iniziavano a parlare come un fiume in piena. Volevano che io ascoltassi e registrassi, con la promessa di raccontare ad altri. Tutti dovevano sapere che cosa gli era successo.” La promessa, grazie ad Antigone, è stata mantenuta.
Ascoltare, far sentire ascoltati, registrare, documentare, d’altra parte, era l’intenzione iniziale di Valeryi Simonchuk, attore e regista, che nella restituzione performativa delle conversazioni ha trovato innanzitutto una modalità in cui il teatro poteva mettersi a disposizione della comunità nello stato di emergenza. Ogni conversazione ha richiesto il suo tempo, i suoi ritmi e i suoi toni. Anche i suoni di Bucha sono stati registrati, dall’abbaiare dei cani al pianto dei neonati, e costituiscono la colonna sonora naturale della performance. “Non ho mai forzato nessuno a parlare. La parola chiave delle conversazioni tra me e i sopravvissuti di Bucha e di Mariupol’ è stata la delicatezza”, racconta ancora l’autore. Gli incontri sono stati di indubbio impatto emotivo, sia per gli intervistati che per gli intervistatori. “Ho visto molti giornalisti piangere, giornalisti esperti, col pelo sullo stomaco. Fumavano e piangevano mentre le persone raccontavano”, continua a spiegare l’autore, egli stesso coinvolto in prima persona con affetti e contatti nelle città sotto attacco. Il ruolo dei giornalisti nella realizzazione delle interviste per Antigone. POST-MORTEM, nei soccorsi alla popolazione, nella documentazione di quanto realmente accaduto a Bucha e a Mariupol’, viene citato e ribadito spesso nella conversazione.
4.Così come viene nominato più volte il giornalismo d’assalto più sfrontato. Se molti degli abitanti di Bucha aprivano la porta a Valeryi Simonchuk, altri, invece, preferivano il silenzio: non volevano essere disturbati ulteriormente, dopo gli interrogatori della polizia, dell’esercito e dell’infinita schiera di testate internazionali in cerca di sensazioni, che entravano nelle case dei superstiti, rendendoli de facto protagonisti di notiziari, macabri tik-tok, reel e reality show, trasmettendo l’orrore in diretta mondiale. “Spesso tutti all’interno di una stessa giornata”.
Sulla scena la narrazione viene improvvisamente interrotta da un interrogatorio serrato, un’eccellente prova interpretativa di Alina Zevakova illuminata da una luce a piombo accecante, che ha tutta l’aria di una perquisizione:
“- Questo cos’è? - L’impermeabile di mio marito… - E questa? - … è la sua borsa… - E questo? - Questo è il mio cappotto, avevo freddo… l’ho preso…”. A fare le domande non è la polizia, bensì i giornalisti. “Le luci puntate nello spettacolo”- spiega l’attrice - “sono quelle dei riflettori”.
“Ade e i morti sanno i fatti. Io non amo chi ama solo a parole”, dice Antigone nella tragedia di Sofocle. Ecco che il dramma etico di Antigone, nella realtà mediatica e del metaverso che caratterizza l’antropocene, dove il confine tra volontà, ostinazione documentaristica e violazione della privacy è estremamente sottile, si sposta: alla degna sepoltura di Polinice si sovrappone la necessità di nuovi confini nella rappresentazione e nella divulgazione di narrazioni e immagini di guerra, che lascino all’essere umano la dignità nel dolore, nel lutto, nella fragilità. E, allo stesso tempo, un interrogativo che riguarda lo spettatore-fruitore: cosa ha il diritto e il dovere di vedere e di conoscere? Quanto la diffusione ostentata e compulsiva di scenari di guerra può avere una funzione anestetica, indirizzando le tragedie reali che ci circondano verso “l’inferno dell’Uguale” (Han 2021, 30)? I reportage dell’ottobre 2023 dedicati alla striscia di Gaza ripropongono con insistenza lo stesso interrogativo.
“Con Antigone. POST-MORTEM abbiamo voluto mostrare ciò che accade nei territori di guerra anche dal punto di vista mediatico. La nostra intenzione è quella di spostare il caso specifico ucraino e di Bucha su un piano universale grazie ad Antigone. Sono dinamiche che avvengono a qualsiasi latitudine, ogni giorno. Sono interrogativi che riguardano tutti ”, ribadiscono il regista e l’attrice. Una riflessione non lontana da quella fatta già nel 2015 dalla drammaturga svizzera Darja Stocker che, mettendo in scena la sua Nirgends in Friede. Antigone, ambientata lungo le coste del Mediterraneo incendiato dalle guerre e dalla Primavera araba, poneva al centro del dramma il concetto di verità, reso fluttuante dal caos mediatico che caratterizza il tempo presente, ancor di più negli scenari di guerra e di dolore.
5. Il processo di universalizzazione e la funzione rituale della performance sono state fortemente accentuate il 12 agosto 2023 nella rappresentazione al XV Festival del Pensiero Popolare di San Miniato (Pisa, vedi foto sopra), sia per la decontestualizzazione della performance stessa, presentata ad un pubblico geograficamente ed emotivamente più lontano dallo scenario di guerra, sia per la scenografia naturale offerta dal piazzale esterno e dagli interni dell’Oratorio di San Rocco. A rendere l’Antigone di San Miniato più astratta e più vicina all’originale sofocleo ha contribuito anche la distanza dal pubblico: a differenza della prima a Kiev, infatti, l’evento non prevedeva un momento di dibattito post-rappresentazione.
Nel suo contesto originario, invece, la delicatezza che ha caratterizzato la fase di documentazione per la messa in scena ha accompagnato gli spettatori fino al termine della tragedia, per mezzo della multiforme figura di Antigone sulla scena, verso una possibile rielaborazione collettiva del trauma[8], di cui anche il dibattito finale, che a Kiev ha incluso il racconto della genesi dell’opera, fa parte.
Per Simonchuk e Zevakova il finale non coincide con quello scritto da Sofocle.
“L’ho visto, vicino al cespuglio, ci stavo passando accanto e l’ho visto. Bianco come la neve, lì, steso in terra. [...] e sopra di lui già crescevano i fiori” racconta l’ultima delle donne portate in scena da Alina Zevakova, accennando un sorriso mentre si scioglie i capelli sotto una luce calda e diffusa, lasciando agli spettatori un velo di speranza. Intanto un ticchettio metallico, prima lieve e delicato sul fondo della scena, si intensifica e aumenta di volume: “è la pioggia”, spiega il regista, “mentre stavamo facendo un’intervista in una casa a Bucha, d’improvviso, abbiamo sentito uno scoppio fortissimo. Siamo rimasti un momento a guardarci, paralizzati. Poi è scoppiato a piovere. Per la prima volta, dopo mesi, quello era il rumore di un tuono.”
Drammaturgia: Valeriy Simonchuk
ideazione e regia: Valeriy Simonchuk
Interpreti: Alina Zevakova
Video: Anton Dmytruk
Lo spettacolo è andato in scena in Ucraina, già nel 2022, al ProEnglish Theatre di Kiev, e in Italia, a San Miniato (PI), in occasione del XV Festival del Pensiero Popolare nell’agosto del 2023. La performance video, dell’aprile 2022, è stata girata in un rifugio sotterraneo di Kiev.
Bibliografia
Boal, A. 2021, Metodo e pratica per un teatro politico, Roma.
Ciani, M.G. a cura di. 2020, Antigone. Variazioni sul mito, Milano.
Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra, 12.08.1949.
Fornaro, S., Viccei, R. a cura di 2021, Antigone. Usi ed abusi di un mito dal V secolo a.C. alla contemporaneità, Bari.
Fornaro, S. 2016, Antigone ai tempi del terrorismo, Lecce.
Han, B.-C. 2021, La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, Torino.
Han, B.-C. 2021, La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Milano.
Nora, P. 1984, Les Lieux de mémoire, Paris.
Rau, M. 2023, Die Rückeroberung der Zukunft, Hamburg.
Violi, P. 2014, Paesaggi della memoria: il trauma, lo spazio, la storia, Milano.
Sitografia
KILLINGS OF CIVILIANS: SUMMARY EXECUTIONS AND ATTACKS ON INDIVIDUAL CIVILIANS IN KYIV, CHERNIHIV, AND SUMY REGIONS IN THE CONTEXT OF THE RUSSIAN FEDERATION’S ARMED ATTACK AGAINST UKRAINE ohchr.org, December 2022. (10.11.2023)
«Ucraina, l’eccidio di Bucha ricostruito dal Nyt: «Piano spietato per aprirsi la strada verso Kiev» eseguito dal 234° reggimento di Mosca», Open, 22.12.2022
https://www.open.online/2022/12/22/ucraina-eccidio-bucha-ricostruzione-new-york-times-piano-russia/ (10.11.2023)
Ukrainian Voices for Mariupol, Deutsches Theater Berlin, 27.03.2022 https://www.youtube.com/watch?v=gQN3aJz2vxo (10.11.2023)
Driessen, C., «Theater-spielen-waehrend-die-Bomben-fallen», NTV, 29.03.2022. https://www.n-tv.de/panorama/Theater-spielen-waehrend-die-Bomben-fallen-article23232615.html (10.11.2023)
Iachino, A. 2023, L’Antigone in Amazzonia di Milo Rau https://www.doppiozero.com/lantigone-in-amazzonia-di-milo-rau (10.11.2023)
ProEnglish Theatre Kyiv https://www.proenglishtheatre.com/ (10.11.2023)
[1] Tutte le traduzioni sono a cura dell’autrice.
[2] Si ringraziano Alina Zevakova e Valeryi Simonchuk per le conversazioni intercorse a partire dal settembre 2023, che hanno permesso la realizzazione di questo lavoro, e per le immagini messe a disposizione dell’autrice per la pubblicazione.
[3] Nel 2013 il documentario Art/Violence ha raccontato il tentativo, fallito, di mettere in scena l’opera di Anouilh per le strade di Beirut da parte della compagnia teatrale palestinese Freedom Theater (Fornaro 2016, 105).
[4] Nel 2016 Sotera Fornaro ha dedicato l’ultimo capitolo del volume Antigone ai tempi del terrorismo a Darja Stocker e ai “tanti volti di Antigone nel teatro contemporaneo” (Fornaro 2016, 81-84), mettendo in evidenza le molteplici riletture e riscritture politiche, tutt’altro che univoche, del mito sofocleo nel teatro contemporaneo.
[5] Le fonti giornalistiche sono innumerevoli, si segnalano: KILLINGS OF CIVILIANS: SUMMARY EXECUTIONS AND ATTACKS ON INDIVIDUAL CIVILIANS IN KYIV, CHERNIHIV, AND SUMY REGIONS IN THE CONTEXT OF THE RUSSIAN FEDERATION’S ARMED ATTACK AGAINST UKRAINE (PDF), su ohchr.org, dicembre 2022. «Ucraina, l’eccidio di Bucha ricostruito dal Nyt: «Piano spietato per aprirsi la strada verso Kiev» eseguito dal 234° reggimento di Mosca», Open, 22.12.2022.
[6] A venti mesi dall’inizio della guerra russo-ucraina, l’autore e regista della pièce e la performer del monologo, Alina Zevakova, hanno ripercorso con l’autrice la gestazione e la messa in scena della loro Antigone, che nell’agosto del 2023 ha raggiunto l’Italia, andando in scena al XV Festival del Pensiero Popolare di San Miniato (PI), nella sua prima tappa fuori dall’Ucraina.
[7] Ukrainian Voices for Mariupol | Stay united #2, World Theatre Day 2022.
[8] Dal febbraio 2022 Alina Zevakova si occupa principalmente di teatro-terapia, facendo laboratori di teatro per civili e soldati affetti da disturbo post-traumatico alla ProEnglish Theatre School di Kiev.