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L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui,

l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne.

Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.

Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui:

cercare e saper riconoscere chi e cosa,in mezzo all’inferno,non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

 ITALO CALVINO, Le città invisibili

 

TEMPO: 480 - (476) - 472 a.C.; 2023

Serse è vinto. Il mare greco che bagna Salamina trascina relitti di navi distrutte da uno scontro  feroce; l’azzurro si tinge di rosso, sangue di giovani soldati Persiani uccisi dai Greci. Nel 476 a.C., quattro anni dopo la battaglia di Salamina, il tragediografo Frinico affida a un eunuco persiano il difficile compito di annunciare lo scacco matto al re di Persia nella perduta tragedia Fenicie, rappresentata nel teatro di Atene.

Dopo altri quattro anni, Eschilo fa tornare Serse nello stesso teatro: con il Re sconfitto c’erano i Persiani, anziani consiglieri (Coro), un messaggero annunciatore della disfatta, Atossa, madre di Serse, e Dario, il defunto padre e Gran Re, ombra evocata dal Coro e prodigiosamente apparsa.

Persiani di Eschilo non è un mito tragico ma una storia tragica, recentissima e bruciante per gli Ateniesi che nel 472 a.C. erano riuniti a teatro. Tra questi molti avevano combattuto contro i Persiani, altri erano rimasti ad Atene nell’attesa trepidante di un ritorno vittorioso, altri ancora avevano subito perdite irreparabili di padri, figli, mariti. Alcuni Ateniesi dovevano avere ancora vivi nella memoria la vista e l’odore acre del fuoco sacrilego che i Persiani avevano appiccato sull’Acropoli, coprendo di nero e morte i templi e le immagini scolpite degli déi dai molti colori: per loro le parole dell’ombra di Dario che risuonavano nel teatro alle pendici dell’Acropoli amplificarono certo l’orrore e il dolore dei ricordi: «[e]ntrando nella terra di Grecia non si trattenevano dal saccheggiare le statue degli dèi o dal dar fuoco ai templi: gli altari sono scomparsi, e i simulacri degli dèi sradicati alla rinfusa e strappati dalle loro fondamenta» (Persiani 809-812; traduzione di Francesco Morosi).

Di fronte alle tragedie della storia in scena ad Atene nei primi anni del V secolo a.C. le reazioni emotive del pubblico furono senza dubbio diverse. Gli spettatori Ateniesi, tra i quali c’erano anche gli orfani di guerra, non poterono non provare turbamento e pena per i loro morti ma anche esaltazione e fierezza per la vittoria riportata sul nemico. Altri, penso in particolare a uomini di governo stranieri e ambasciatori, dovettero invece provare ammirazione mista a timore per la grandezza della polis ateniese che era riuscita a sconfiggere un impero.

Il pubblico – racconta Erodoto (VI 21) – sciolse il dolore nel pianto durante la rappresentazione di un’altra tragedia di contenuto storico, legata sempre allo scontro greco-persiano, la Presa di Mileto di Frinico il quale, proprio «per aver fatto ricordare agli Ateniesi i mali che li riguardavano» (VI 21), fu multato e messo sotto «un’elementare censura» da parte di Atene, che attraverso un simile provvedimento punitivo imponeva di fatto «una forma di controllo sociale su ciò che era bene mostrare al pubblico cittadino» e poneva limiti alla «libertà di espressione almeno sulla messa in scena di eventi della storia recente». Ad Atene la storia a teatro diventò presto una eccezione, superata dalla regola del mito: «[i]l materiale della storia greca fin dai tempi della Presa di Mileto di Frinico era stato percepito come troppo trasgressivo: il caso di tragedie di ambientazione orientale (come i Persiani di Eschilo e le perdute Fenicie dello stesso Frinico) costituisce il massimo grado possibile di appropriazione di un passato recente. Ma si tratta di una contemporaneità dislocata nell’altrove della corte orientale e della rappresentazione di una sconfitta non dai greci subita, ma da loro inflitta (a Salamina nel 480 a.C.): solo grazie a tale transfert e al loro contenuto positivo (la vittoria greca) tragedie simili potevano essere accolte nell’agone» (Andrea Rodighiero).

Il 21 ottobre, al Teatro Oscar di Milano, abbiamo visto una originale messa in scena di alcune parti dei Persiani, tradotte da Francesco Morosi, con regia e scene de I Sacchi di Sabbia. Silvio Castiglioni ha interpretato personaggi, Coro e un ruolo di narratore extra-eschileo. In certi momenti dello spettacolo l’attore è stato affiancato da studenti liceali, ad esempio all’inizio, quando questi giovani hanno amplificato con gesti e passi militari ritmati i singoli nomi del fior fiore dell’esercito persiano («E così Amistre e Artafrene, Megabate e Astaspe», Persiani 21-22; F. M.), scanditi dalla voce degli anziani del Coro che ricordavano forza e valore degli uomini partiti per combattere.

Assistere oggi ai Persiani, tragedia di una guerra reale, segnata da violente contrapposizioni di culture e ideali, è andare alle radici di una delle infinite guerre che da sempre nascono e sono alimentate da avidità, frenesia di sopraffazione e conquista, odio, annullamento della alterità, delirio di onnipotenza suscitato da una brama di potere che rende ciechi e sordi, che da sempre si nutrono di propaganda. In questo gelido autunno di guerre che si moltiplicano per metastasi, cosa possono dirci e mostrarci Dario, Atossa, Serse, cosa un messaggero e i vecchi di un popolo d’Oriente (Coro), che ancora non sappiamo, che non abbiamo ancora visto nelle immagini quotidiane di distruzioni e vite spezzate? Quali emozioni nuove possono far nascere? Quali già provate possono risvegliare in noi che viviamo in una realtà sempre più assuefatta alla scandalosa ritualità della violenza, che siamo tragicamente anestetizzati di fronte al male? Ma c’è ancora qualcosa da capire?

SPAZIO. PERSIA, GRECIA, TEATRO

Nel teatro di Atene, la vicenda tragica di Persiani si svolgeva tra un antico edificio arcaico (στέγος ἀρχαῖον, Persiani 141), verosimilmente una struttura per assemblee, la tomba di Dario (Persiani 647, 659), il più volte evocato palazzo reale (Persiani 159-160, 530, 608), lo spazio extrascenico del mare greco, «presenza inquietante nell’intera tragedia» (Luigi Belloni). 

Nei Persiani de I Sacchi di Sabbia è stato costruito uno spazio nello spazio. Attraverso le azioni dell’attore, accompagnate da un breve narrazione sul luogo e sulla semplice architettura del teatro ateniese, sopra un tavolo al centro del palco si è materializzato un teatro di carta dove Atene si è trasformata nella capitale della Persia. Il risultato è un teatrino da spettacolo itinerante o da gioco per bambini, creato con piccoli e pochi elementi dalle semplici forme, una architettura teatrale smaterializzata e astorica, un «rarefatto teatro di oggetti, che sembra uscito dalle tele di De Chirico» o, forse più, di Morandi.

All’inizio della tragedia, quando nell’orchestra fa il suo ingresso il Coro («Noi siamo chiamati “i fedeli” dei Persiani […]: noi siamo i custodi dei seggi opulenti e dorati», Persiani 1-4; F. M.), Castiglioni dispone e muove minute forme geometriche bianche nel teatrino di carta. Farà lo stesso con Atossa, il messaggero, Serse. Questo spazio teatrale animato mostra una forza che poggia su fertili percorsi di lavoro e ricerca de I Sacchi di Sabbia e di Castiglioni: per la Compagnia toscana penso in particolare ai lavori compiuti per La passione di Clermont Ferrand, Abram e Isac e Pop up. Un fossile di cartone animato, dove la scena è abitata da libri pop-up e sagome di carta, e animata da una prassi attoriale incentrata su mani e volto; per Castiglioni, in particolare alla familiarità con il mondo delle marionette (dalla tesi di laurea Sul teatro di marionette di Heinrich von Kleist al frequentato Bread and Puppet Theater di Peter Schumann), alle esperienze formative con l’Odin Teatret di Barba e la danzatrice Katzuko Azuma (http://www.silviocastiglioni.com/biografia-teatrale-completa).

CORPO E VOCE; NARRAZIONE - AZIONE

Anche Atossa, il messaggero e Serse hanno corpi che nulla hanno di umano ma sono pura forma: una scelta performativa che si inscrive in uno specifico percorso di reperformance del teatro tragico greco sensibile all’idea di una tragedia greca che sia nostra contemporanea, mossa dalla ricerca di una prassi e di una estetica performativa attenta a parlare al XXI secolo.

Il corpo dell’attore è presente invece in primo piano nel personaggio di Dario e nel narratore extra- eschileo, cioè in due ruoli che si distinguono dagli altri per essere personaggi di mondi ‘extra’: Dario è fuori dal mondo dei vivi; il narratore fuori dal testo teatrale di Eschilo.

Al messaggero tragico (ἄγγελος), portatore di un racconto per più ragioni straordinario nel quale il male della Persia viene attribuito a «un vendicatore o un demone maligno» (Persiani 354; F. M.) e all’inganno ateniese ordito contro un Re incapace di comprendere il volere degli dèi (Persiani 355-373), I Sacchi di Sabbia hanno accostato un narratore-commentatore. Questa figura che sembra nascere da una costola del teatro di narrazione si differenzia tuttavia da questo principalmente perché si innesta su un testo teatrale portante e dominante e perché si caratterizza per essere uno spazio aperto, in cui il principale contenuto tragico viene squarciato da lampi di ironia e battute secondo quello che è un tratto distintivo del lavoro della Compagnia toscana – per tutti, i notevoli Andromaca da Euripide e i Dialoghi degli dèi da Luciano –.

All’inizio dei Persiani, ad esempio, quando Castiglioni fa entrare il Coro, fa capire bene che le parole dei vecchi Persiani erano rivolte a un popolo appena uscito dalla guerra e così, nei panni di narratore extra-eschileo, dà voce a quelli che immagina fossero i pensieri degli Ateniesi, pensieri di rabbia verso un nemico. Con fare clandestino, mostra così un cartello con il ‘fumetto’ «PERSIANI DI MERDA» o, ipotizzando manifestazioni di contrarietà e disagio da parte degli Ateniesi che vedevano il teatro della loro città ‘occupato’ dai nemici, fa scorrere un cartello inequivocabile – «VAFFANCULO» –, che tornerà quando verrà annunciato l’arrivo di Atossa.

Ciò non toglie che I Sacchi di Sabbia, e Castiglioni con loro, hanno consapevolezza che nei Persiani Eschilo pone «i Barbari su un piano dignitoso, estraneo al pregiudizio» e che «gli Ateniesi non sono i giudici di una vicenda ai quali il successo conseguito attribuisca il diritto di esprimere, semplicemente, la condanna dei vinti, ma i destinatari di un messaggio che li invita a penetrare la dinamica storica e religiosa di un evento». Sanno che in Eschilo vi sono «rispetto dei vinti» e «considerazione» per «l’antica monarchia» (Belloni).

Tra i corpi dei Persiani che gli Ateniesi avevano davanti agli occhi, appare il corpo di Atossa; noi vediamo apparire una piccola sagoma dorata di statua-torre alla quale Castiglioni dà grande forza specie quando la Regina racconta al Coro la sua inquietudine (Persiani 161-162) e il famoso sogno delle due donne, una vestita di «pepli Persiani, l’altra greci» (Persiani 182-183; F. M.).

Castiglioni sposta i bianchi corpi geometrici e astratti dei Persiani, disponendoli con ordine su un lato del tavolo-scena, in ascolto, poi fa avanzare Atossa. Con una recitazione che ha gli strumenti cardine nelle mani e nella voce, porta in scena il turbamento del sogno: «[p]er statura erano assai superiori alle donne di oggi, ed erano di una bellezza perfetta. Erano sorelle di una stirpe comune: l’una aveva avuto in sorte di abitare la patria di Grecia, l’altra la terra barbara. E fra loro scoppiava una lite – così mi è parso di vedere. Mio figlio, non appena se ne accorgeva, provava a trattenerle, a calmarle, le aggiogava al suo carro con cinghie sul collo. E una si inorgogliva per questo equipaggiamento, e offriva docile la bocca al morso, ma l’altra continuava a dimenarsi, finché non lacera con le mani i finimenti del carro, strappa via il morso a forza e spezza il giogo nel mezzo. Mio figlio cade, e suo padre Dario gli si avvicina commiserandolo: appena lo vede, Serse si strappa le vesti dal corpo» (Persiani 184-199; F. M.), e nel dire queste ultime parole, l’attore divide a metà la fila ordinata delle forme bianche.

Poi, vestendo di nuovo i panni di narratore-commentatore extra-eschileo, parla della vittoria greca di Salamina che, ricorda a noi un po’ didascalico, tutti quelli che erano a teatro nel 472 a.C. ben conoscevano e perciò, a quel punto della tragedia, si aspettavano l’arrivo di Serse: ma Eschilo, con un coup de théâtre, disattende le attese del pubblico e fa comparire un messaggero, il primo annunciatore dei mali, del totale annientamento dell’esercito persiano (Persiani 253-255).

Anche per questo personaggio la forma è essenziale; il colore è verde-azzurro, colore del mare e del cielo, della natura, dell’esterno da cui l’ἄγγελος arriva nello spazio cittadino di Susa.

Castiglioni ha valorizzato bene sia il dialogo tra il messaggero e Atossa, con i loro corpi senza corpo che ha fatto agire in modo convincente, sapendo dare a entrambi le specificità dell’ethos, del pathos, della situazione, sia il resoconto della battaglia in mare. Questa azione extrascenica si è svolta su una scena ‘fuori’: un tavolo più piccolo. Tale separazione ha dato massima evidenza visiva da un lato al diverso luogo della morte della gioventù persiana e della sconfitta del Re dall’altro al diverso tempo rispetto al presente, a quel passato in cui il peggio è irrimediabilmente accaduto.

I corpi senza corpo dei giovani in battaglia, Persiani e Greci, riprendono il colore verde-azzurro del messaggero, al quale si aggiunge il rosso-sangue. L’iniziale disposizione ordinata degli eserciti viene sovvertita, in modo lento e poi sempre più rapido e violento, seguendo il crescendo della concitata brutalità dello scontro narrata da Eschilo. Castiglioni-messaggero racconta e sposta i corpi senza corpo battendoli uno contro l’altro e dando più visibilità alle parti rosse quando Eschilo fa immaginare il mare coperto da una distesa di sangue, di corpi a pezzi, senza più corpo, precipitati nell’abisso nero del mare e della notte (Persiani 426-428).

L’attore torna al ruolo di narratore extra-eschileo e al tavolo-scena dove è Atossa. Qui racconta la disperazione di Serse (Persiani 465-471). Abbassando volutamente il registro rispetto a Eschilo – la contaminazione di toni e linguaggi è un’altra caratteristica del teatro de I Sacchi di Sabbia – racconta del silenzio calato sul teatro di Atene e commenta che i Greci «non» avevano «fatto una bella figura con quella mattanza».

Castiglioni-Atossa dispone libagioni; compare una radiolina vintage rossa con un bottone dorato (l’oro è il colore della Persia: Persiani, 3, 79-80, 159) che trasmette le voci del Coro evocatrici dell’ombra di Dario.

Non un altro corpo senza corpo ma un volto umano (Castiglioni) è l’eidolon del Gran Re: un volto che parla dietro a un leggero velo bianco – il velo della morte e sul corpo dei morti –, trasformato in una maschera rugosa e smaterializzata da giochi di luce che fanno irrompere una cesura anche nell’estetica da pittura ‘metafisica’ che prevale in questi Persiani, portando una visione perturbante da pitture nere goyesche.

Anche la voce di Dario ha i segni del mondo altro; ma come nel volto umano si intravede la persistenza dell’uomo che Dario è stato così nella voce restano tracce del Gran Re del passato, del suo potere, e di emozioni umane: il dolore per la fine della Persia, la pietà per i Persiani ancora vivi, il peso distruttivo della hybris di suo figlio, che ha superato «i limiti del giusto e – in termini politici – ha compiuto una scelta sul mare in contrasto con la tradizione spiccatamente continentale dell’impero», che ha sottoposto in modo sconsiderato «il baricentro dell’impero a una prova che non dov[eva] essere tentata» (Belloni).  

Certo, Serse ha fatto precipitare nel baratro la Persia per l’oltraggio che ha compiuto nei confronti degli dèi, imponendo un «giogo […] sul collo del mare» (Persiani 72; F. M.), costruendo un ponte con «zattere legate l’una all’altra con funi, gettando una strada chiodata» (Persiani 69, 71; F. M.): un atto di hybris, quella hybris che – ricorda l’ombra di Dario – «fiorendo matura la spiga della rovina, e ne coglie il frutto di dolore» (Persiani 821-822; F. M.).

Senza dubbio, «[l]a colpa di Serse è un τέλος inconfutabile (v. 726), ma Atossa e Dario concordano nel riconoscere che un daimon ha avuto un suo ruolo, ha sconvolto la mente del figlio (vv. 724-5)» (Belloni).

E gli effetti dello sconvolgimento e del disordine del daimon e della tragica sconfitta sono tradotti nel corpo senza corpo che I Sacchi di Sabbia hanno dato a Serse: una forma simile a un piccolo tronco d’albero rosso e blu, un corpo contorto, deforme, diverso da quelle forme geometriche lineari degli altri personaggi; un corpo senza corpo che si muove con lentezza, portando il peso immane della disfatta, del dolore e della colpa.

«Con quanta ferocia il dio è balzato addosso alla stirpe dei Persiani! Che ne sarà di me, infelice?» (Persiani 911-912; F. M.).  Silenzio in teatro – così immagina il narratore extra-eschileo  –.

«Ahi ahi, proprio io infelice, misero, sono stato il male della stirpe e della terra dei padri» (Persiani 931-933; F. M.). 

Il narratore extra-eschileo commenta dicendo che «Eschilo scopre qui le sue carte e spinge il popolo di Atene a piangere con Serse i corpi dei nemici caduti». Mentre il Coro pronuncia i nomi dei persiani morti («Farandace, Susa, […]», Persiani 958-959; F. M.), i giovani del Liceo milanese tornano sul palco, si dispongono intorno a Serse e al Coro con una piccola candela accesa tra le mani: giovani ombre di chi aveva combattuto per il Regno, morendo per un daimon sconvolgitore di menti, per un Re suo ostaggio e accecato dalla hybris, per un Re non immune da responsabilità.

Il lamento fra Serse e il Coro che chiude la tragedia di Eschilo (Persiani 1038-1077) e che aveva una sua musica risuona della lugubre Atmosphere dei Joe Division, scelta per chiudere questi Persiani del 2023, una canzone definita una marcia funebre in cui però si avverte anche una scintilla di luce.

PERSIANI - OTTOBRE 2023

Persiani andò in scena verosimilmente anche nella Siracusa del tyrannos Ierone I (472 a.C. ?), in un contesto diverso da quello ateniese. Quali pensieri e quali emozioni mossero gli spettatori nel teatro siracusano? Quanto erano simili – ammesso che lo fossero – a quelli degli Ateniesi?

Noi che abbiamo visto Persiani. La tragedia più antica del mondo nel 2023, in un teatro milanese, e siamo ancora più lontani dal dramma della guerra tra Greci e Persiani di quanto lo fossero i Siracusani cosa abbiamo pensato? Cosa abbiamo provato di fronte alla morte dei giovani di una guerra lontanissima nel tempo e nello spazio, di fronte alla distruzione di luoghi che sono per noi o mete di viaggi o ignoti?

Il mare insanguinato dei Persiani credo che abbia sospinto molti di noi alle città insanguinate della nostra storia, agli inferni delle guerre che incendiano il nostro tempo, tutti di uguale orrore e non diversi da quelli passati.

Le piccole, fragili luci portate dai giovani alla fine della tragedia sono le stesse che in questo ottobre di guerre abbiamo visto nelle mani disperate dei giovani israeliani che reclamano il ritorno degli ostaggi e in quelle dei giovani palestinesi vicino a un ospedale di Gaza. Scintille di un fuoco nato da un fuoco che dà morte ma che alcuni hanno la titanica forza di accendere di vita e speranza.

 

I PERSIANI. LA TRAGEDIA PIÙ ANTICA DEL MONDO

19-22 ottobre 2023

Teatro Oscar, Milano

 

Con Silvio Castiglioni

E con la partecipazione straordinaria degli studenti del Liceo Classico Sacro Cuore

Traduzione dal greco Francesco Morosi

Spazio scenico, oggetti e regia I Sacchi di Sabbia

Produzione Celesterosa in co-produzione con I Sacchi di Sabbia

La traduzione dei versi dei Persiani in questo articolo è di Francesco Morosi (citato F. M.), che ringrazio per aver messo a disposizione la sua traduzione.

Le parole citate di Andrea Rodighiero sono tratte da A. Rodighiero, La tragedia greca, il Mulino, Bologna 2013.

Le parole citate di Luigi Belloni sono tratte da L. Belloni (a cura di), Eschilo. I Persiani, Vita e Pensiero, Milano 1988.

Per il senso di tragedia greca nostra contemporanea: S. Fornaro, La tragedia greca, nostra contemporanea, «Visioni del tragico. La tragedia greca sulla scena del XXI secolo» I 1, 2020, pp. 7-11, URL https://www.visionideltragico.it/index.php/rivista/article/view/28/34

Su Persiani di Eschilo:

  1. F. Garvie, Aeschylus: Persae, Oxford University Press, Oxford-New York 2009.

Inoltre:

sullo στέγος ἀρχαῖον e per considerazioni sullo spazio scenico: Belloni, cit., pp. 104-106.

Sul racconto dell’ἄγγελος: G. Paduano, Il racconto a teatro. I Persiani di Eschilo, Alcesti di Euripide, «Scienze dell’Antichità» XXVI 2, 2020, pp. 43-50.

Sulla rappresentazione dei Persiani a Siracusa: E. Pöhlmann, Epicharmus and Aeschylus on Stage in Syracuse in the 5th Century, «Greek and Roman Musical Studies» III 1, 2015, pp. 137-166;  D. G. Smith, The Reception of Aeschylus in Sicily, in R. F. Kennedy (ed.), Brill’s Companion to the Reception of Aeschylus, Brill, Leiden-Boston 2018, pp. 9-53.

Tra le più recenti rappresentazioni di Persiani vorrei ricordare The Persians del citato Bread and Puppet Theater (2021, 2022), URL https://chicagopuppetfest.org/the-persians-draft/; https://artsfuse.org/254540/theater-interview-john-bell-on-bread-and-puppets-staging-of-aeschylusthe-persians/.