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«Risorgi adesso

risorgi nel respiro

il tempo è solo un’algebra bugiarda

il tempo è senza tempo

amore.

Ti guarderò venti anni fa

in silenzio

mentre danzi tra le rovine di Segesta».

Ruggero Cappuccio, Resurrexit Cassandra

 

«Contro il cielo terso del mattino si stagliano due eleganti sagome nere: intorno alla cima del Monte Barbaro, una coppia di corvi reali sorvola gli antichi muri. Nel silenzio, si può percepire il netto fruscio delle piume nelle virate e nel remeggio delle ali che assecondano il vento. Anche gli operai del cantiere di scavo archeologico osservano ammirati, e dicono che questi splendidi uccelli sono tornati, dopo un’assenza di anni, ora che l’ambiente circostante è nuovamente protetto. Un altro dei miracoli, apparentemente piccoli, diventati realtà grazie al parco archeologico che ha sottratto alle devastazioni un’ampia zona dell’antica città di Segesta. […]

A quattro chilometri a nord-ovest di Calatafimi, sulle rocce a strapiombo dell’acropoli, si ergono i resti di uno dei più straordinari monumenti del mondo antico, il teatro di Segesta. Dal cemento dell’autostrada in basso, si distinguono gli alti muri di sostegno della cavea; sembrano quelli di una fortezza a coronamento del monte, e già questa sensazione ne sottolinea l’assoluta peculiarità. Insieme al grande tempio dorico, il teatro è meta di visitatori da quando, nel XVI secolo, il Fazello identificò le rovine della città. Tutti ne riportano un’impressione indelebile per la perfetta fusione tra i resti archeologici ed il paesaggio».

 Francesco D’Andria, Segesta. Stupenda conchiglia nel vuoto

(in Teatri antichi delle province di Palermo, Trapani e Agrigento, Palermo 1995, pp. 8-13)

 

Ruggero Cappuccio, autore di Resurrexit Cassandra, aveva immaginato la sua Cassandra anche a Segesta. Qui, tra le rovine del teatro, la sera del 25 e del 26 agosto (Segesta Teatro Festival), Sonia Bergamasco è stata di nuovo Cassandra. Penso sia stata memorabile come al Teatro romano di Verona (2021), dove ho visto Cassandra risorta in un’altra architettura teatrale antica, che conserva tracce dell’originaria armonia «con lo spazio naturale circostante, il colle di San Pietro, sulle cui pendici poggia gran parte della cavea, e il fiume Adige […] alle spalle dell’edificio scenico».  Magnetica è stata anche la Cassandra che ho visto qualche mese dopo al Teatro San Ferdinando di Napoli, fatto risorgere da Eduardo De Filippo dalle macerie dei bombardamenti del ꞌ43. 

A Resurrexit Cassandra ho dedicato uno studio che pubblico qui in parte, senza note e bibliografia ma con alcuni link utili, e che si potrà leggere nella versione completa nel libro di prossima uscita: Sotera Fornaro, Raffaella Viccei, Cassandra. Visioni, voci, corpi, Edizioni di Pagina, Bari 2023 (Antichi Riflessi, 5)Teatro di Segesta

 

  1. Prologo

Che cosa sono le nuvole?. La domanda poeticamente infantile è il titolo del quarto episodio del film Capriccio all’italiana, girato a più mani nel 1967, proiettato nelle sale nel ꞌ68. L’episodio, diretto da Pier Paolo Pasolini, è una metafora della vita, un interrogarsi poetico sul rapporto fra realtà e rappresentazione, artistica e teatrale. È anche una feroce critica all’omologazione, al consumo sfrenato, un attacco a quanto ha reso l’uomo sempre più schiavo di una parte da recitare, incapace di gioire della vita e perdersi nell’incanto della bellezza del creato.

I protagonisti del breve film nel film sono creature ibride, un po’ marionette un po’ uomini, che interpretano un Otello per burattini. Verso la fine della rappresentazione gli spettatori si ribellano, irrompono sulla scena e staccano i fili ai burattini che, esanimi, vengono portati via, verso una discarica. Nel tragitto il netturbino (Domenico Modugno) canta la canzone Che cosa sono le nuvole? (testo di Pasolini, musica di Modugno), che schiude il senso del film e accompagna il memorabile epilogo. Supini tra i rifiuti prodotti dall’uomo, i burattini umanizzati Jago (Totò) e Otello (Ninetto Davoli) si accorgono della meraviglia del mondo. I loro occhi sembrano vedere per la prima volta il cielo attraversato dalle nuvole. «Ah, straziante, meravigliosa bellezza del creato!», esclama Jago pieno di stupore.

A questa bellezza rivolge parole pervase di poesia e musicalità la Cassandra risorta di Ruggero Cappuccio (testo) e Jan Fabre (ideazione e regia), interpretata da Stella Höttler (2020) e da Sonia Bergamasco (2021-23). Più che un testo Resurrexit Cassandra è una «installazione musicale», una «partitura», che risuona del timbro oscuro di un threnos, di melodie rimpiante, di silenzi che celano urla di rabbia trattenute, e che ha, tra i cuori pulsanti, il dramma della violenza cieca perpetrata dall’uomo nei confronti della natura. Nessuno è sembrato adatto a farsi voce di una morte preannunciata del creato più e meglio della profetessa troiana, figura già frequentata da Fabre nel suo celebrato Mount Olympus - To glorify the cult of tragedy 24h

Il pre-vedere di questa veggente del XXI secolo è rivolto anzitutto al destino del pianeta, sempre più determinato da una umanità senza vista e visione. Dagli squarci di una terra riarsa o dal fango di una terra alluvionata, generati dal disamore dell’uomo e dalla sua smania di consumo, si immagina risorgere Cassandra, il cui corpo appartiene intimamente alla Terra. Questi tratti fanno di Resurrexit Cassandra un’opera in parte in linea con il Theater des Anthropozän, la cui drammaturgia tragica è stata definita drammaturgia della cecità, e con un teatro affine, ma ancora da teorizzare e rappresentare, che potremmo chiamare Teatro del Pirocene in riferimento alla nuova era delineata da alcuni scienziati, contraddistinta dal dilagare di incendi e siccità prodotti da cambiamenti climatici e azioni dissennate dell’uomo. Il fuoco devastatore e le sue mortifere epifanie ambientali sono tra i protagonisti delle visioni della Cassandra di Resurrexit e bruciano in lei insieme alla memoria della più remota e mitica pre-visione del fuoco avuta dalla figlia di Priamo, quella non creduta delle fiamme divoratrici di Troia.

Bambino su una spiaggia piena di detriti di plastica, dal web

Si chiede ancora Cassandra nel XXI secolo, e non per omaggio alla poesia di Omero ma per scuotere l’uomo di fronte a una cecità che persiste irresponsabilmente: cosa resta di Troia? I paesaggi di rovine proiettati dal mito sono letti come segni inquietanti che la mano dell’uomo può replicare. E allora la Cassandra risorta, che vede prima, come la Cassandra a Troia, non può fare a meno di domandarsi retoricamente anche per altri luoghi abitati dall’uomo, da Venezia a Rio De Janeiro, da Napoli a Hong Kong: cosa rimarrà?

Cassandra è una stratigrafia di tempi, spazi, storie, conoscenze. È un personaggio ancorato, alla maniera di una pasoliniana forza del passato, a tempi che non sono più e a un presente vissuto in compagnia di lucide visioni che sono pre-dizioni del futuro.

Cassandra ha il coraggio di dire cosa si deve fare per non piombare in una oscurità senza vie di uscita. Con la lingua folgorata dal tragico contenuto del pre-vedere, libera le sue dure visioni a teatro, in teatri antichi – di Pompei, Verona, Segesta –, moderni, contemporanei, in spazi per natura aperti alla libertà. Le visioni si animano in lei, afferrano il suo corpo; mutano nei contenuti, nei tempi e negli spazi. Questo variare è reso sulla scena in molti modi fra i quali risaltano i cambi a vista dei costumi ‘parlanti’ creati da Nika Campisi, che traducono con immediatezza il cambiar pelle che da un lato scandisce i cinque ‘movimenti’ di Resurrexit Cassandra, dall’altro mostra l’affinità tra la protagonista e l’animale mutevole per eccellenza, il serpente.

Simile a un cielo trapunto di stelle che indicano la rotta ai naviganti, lo spazio scenico è disseminato di serpenti (sculture in legno) che hanno la funzione di orientare movimenti delle due interpreti e di suggerire gesti. Con questi animali, legati ad Apollo, ispiratori di visioni e simbolo di rinascita, e con una tartaruga (in legno), connessa alla terra e alla simbologia ctonia, Sonia Bergamasco e Stella Höttler dialogano in modo diretto, ciascuna secondo proprie sensibilità interpretative, e attraverso essi Cassandra trova vie per comunicare con l’uomo, destinatario primo e ultimo del poema della sua resurrezione.  

La condivisione della scena da parte di Cassandra con animali-simbolo a lei vicini e con il suo doppio, con la sua immagine che appare a tratti sullo schermo nel fondo del palco, non attutisce il senso di radicale solitudine che appartiene anche alla Cassandra risorta per il persistere di un talento sconvolgente e non condivisibile. Questa sensazione di isolamento si percepisce bene nelle metamorfosi del corpo di Cassandra: sebbene si avverta più immediata all’inizio di Resurrexit, quando il corpo è pietrificato nella immobilità di una consapevole solitudine, non sfuma poi, quando il corpo si muove sensuale, giocando a distanza con la bellezza cantata da Omero (Iliade XIII, 365-366), o quando si fa invasato, un corpo da baccante che ha in sé rifrazioni della Cassandra di Troiane e, inconsapevolmente, della marmorea Baccante in delirio. Incarnando in particolare l’aspetto dionisiaco, quindi riannodando il corpo agli effetti della possessione del dio tragico per eccellenza, la Cassandra risorta nel XXI secolo si mostra tragica da sempre, nel corpo e nella voce.

 

  1. Una visione e cinque movimenti

 

Resurrexit Cassandra è un’opera in cinque ‘movimenti’, e non atti, preceduti da una ‘visione’, termine scelto al posto del più convenzionale prologo.

‘Movimento’ sembra qui da intendersi pensando alle accezioni che il termine ha in campo musicale e che nella originale ‘partitura’ di Resurrexit Cassandra si giustificano per la prosa ritmica che caratterizza il testo e  per l’intrinseca musicalità delle parole, tratti straordinariamente valorizzati da Sonia Bergamasco, e inoltre per la prevista presenza di creazioni musicali non accessorie, quali si sono rivelate le musiche di Stef Kamil Carlens. Il valore di ‘movimento’ va cercato anche nel significato primo della parola, al muoversi nello spazio e/o nel tempo: un muoversi che può essere fisico, spirituale, emozionale e che appartiene intimamente alla Cassandra di Cappuccio-Fabre.

La ‘visione’ inaugurale è inevitabile in una drammaturgia su Cassandra, si potrebbe dire scontata, ma il modo in cui è stata concepita la rende sorprendente perché di essa Cassandra non è soggetto, come ci si aspetterebbe, ma oggetto. L’artefice e attore – in senso etimologico – della visione è l’autore (Cappuccio).

Il comparire in scena di Cassandra-Bergamasco, tra immobilità statuaria e piccoli movimenti meccanici da bambola su carillon, è avvolto da una voce fuori campo, cupa, notturna (di Cappuccio). L’autore indossa i panni di doppio artefice della resurrezione di Cassandra, creata attraverso parole immaginate e scritte da lui e ricreata nella scatola magica del teatro con parole che si fanno corpo, voce, spazio, occhi che guardano, orecchie che ascoltano.

Nell’idea registica di Fabre, Cappuccio gioca più ruoli. Come un aedo dà parole e vita al personaggio da cantare e con la sua voce aggiunge suono, timbro, colore al racconto dei primi attimi del ritorno della ‘sua’ Cassandra, che in questo caso ricambia l’ennesimo autore ripetendone parole in un silenzioso e intimo playback.

Per ciò che dice, Cappuccio assume anche il ruolo di messaggero tragico, facendosi responsabile di mostrare quello che lo spettatore non può vedere in scena e tuttavia deve, per poter conoscere. Fa così vedere al pubblico la sua non rappresentabile visione, ossia l’atto finale della morte violenta di Cassandra, ma va anche oltre, perché fa immaginare la resurrezione.

La ‘visione’ proietta dunque il mito contemporaneo di una Cassandra sepolta, il cui corpo smembrato e disperso in luoghi distanti ricorda quello di uno sparagmos dionisiaco e più ancora il corpo di Osiride sparso in mille pezzi, riuniti da Iside per permettere al dio di rinascere. L’anelito a ricomporre il corpo, a ritrovare l’unità perduta e risorgere è divino. In Cassandra il raccordo delle parti divise è il «bellissimo volto di donna ricoperto / da un velo bagnato che lascia intravedere la forma del naso e della bocca», una maschera anch’essa percepibile divina perché sembra modellata sulla memoria di un velo che appartiene all’immaginario poetico di Cappuccio, quello  sul volto del Cristo della Cappella Sansevero a Napoli. 

Cassandra dunque è nella terra; lì sepolta. È risorta, evocata dalla voce del drammaturgo-poeta-messaggero.

Cassandra è la Terra; una terra dilaniata, martoriata, scomposta, eppure destinata a essere ancora, fino a che la attraverserà un soffio divino, «[u]n vento lieve», via via più forte, che spinge al raggiungimento dell’armonia, dell’unione fra le parti divise.

Del corpo magnetico di Cassandra, tale per il processo di ricomposizione-resurrezione e per l’irresistibile attrazione esercitata sullo spettatore, si coglie la potenza fin dal Primo movimento. La nebbia, dove sono nascoste infinite domande e infinite risposte, dove il precipizio è a un passo, inevitabile. Forse.

Sonia Bergamasco in Resurrexit Cassandra, 2022

La terra nera dove Cassandra ha abitato fra una resurrezione e l’altra copre metaforicamente il corpo appena riemerso, ancora immoto: non a caso esso è avvolto in un abito nero, molto simile al vestito luttuoso di Margarita de Austria (Martínez del Mazo, 1665-1666) per cupezza, peso materico della stoffa e per essere un abito che inchioda alla memoria recente della morte.

Il volto si intravede, fermo, attraverso la trasparenza di un velo nero. Il lutto si addice a Cassandra, ai suoi occhi chiusi, ma destinati ancora una volta, l’ultima, a guardare. Un movimento secco e tagliente apre infatti lo sguardo alle visioni di un nuovo mondo. Gli occhi della profetessa hanno il modo di guardare cieco dei veggenti. Cassandra sputa; infine parla. A queste azioni che scandiscono il tempo della resurrezione Bergamasco imprime un ritmo perfettamente controllato e in sintonia con il ‘TIC TOC’ del tempo che segna alcune fasi di questo movimento, come poi di altri.

Il ticchettio dell’orologio è da considerarsi una variazione sul tempo, un tema caro a Fabre,  affrontato, e stravolto, in Mount Olympus e declinato in Resurrexit Cassandra soprattutto nei termini di tempo dell’urgenza. Prevale qui la sensazione dolorosa della mancanza di tempo per poter guarire una Terra ferita e offesa e far rinascere, con lei, le sue creature.

Appena Cassandra-Bergamasco inizia a parlare, la voce apre da subito un ventaglio di modulazioni che generano inattesi effetti ipnotici e parole, sentite già molte altre volte, sembrano in-audite. Tra tutte colpiscono specialmente quelle che ri-modulano i suoni sibilanti dei serpenti – il serpente sussurra a Cassandra le visioni e con lui Cassandra condivide, nel parlare, le sonorità –, le aspirate accentuate nel ‘ch-’ del reiterato e pregnante invito agli uomini «chiudete gli occhi», l’enfasi data alla consonante vibrante ‘r’ in parole chiave di Resurrexit Cassandra: «terra», «guardate».

Bergamasco ha compiuto sulla voce un lavoro dai risultati straordinari che confermano la fine capacità di ascolto, da parte dell’attrice e musicista, delle possibili voci dei personaggi da interpretare. Le voci date alle pre-dizioni si muovono tra sonorità acute e gravi che disegnano movimenti di distanza e avvicinamento compiuti da Cassandra rispetto all’uomo e alla natura. Bergamasco ha impedito che le voci di una profetessa del mito, dall’eredità pesante per le tante variazioni dopo Omero, corressero il rischio di apparire distanti in modo artificioso, che l’orecchio di uno spettatore del XXI secolo potesse percepirle non credibili e quindi si allontanasse emotivamente da parole visionarie. Chi ascolta questa Cassandra e vede l’epifania delle visioni attraverso la metamorfosi della voce e del corpo dell’attrice milanese trema invece di fronte alla disarmonia creata dall’uomo sulla terra e prova nostalgia per l’armonia perduta del creato.

Il passaggio dal primo al secondo movimento è un cambiar pelle in musica: l’inizio di Lucy in the sky with diamonds (The Beatles), cantato da Bergamasco, accompagna il mutare pelle di Cassandra che fa scivolare via il pesante e cupo abito nero per apparire con un’altra pelle. Questa trasformazione, analogamente alle successive, coinvolge i serpenti sparsi in scena, con brevi e intensi dialoghi, movimenti sensuali, tenere carezze. È costruita quasi come una danza rituale che dà a Cassandra il LA per cambiare corpo e mutare visioni.

La nuova pelle è un abito rosso, uno dei colori dominanti nell’arte di Fabre, avvolgente e scintillante di paillettes, e rossa è l’aria che invade lo spazio dello schermo dove scorrono le immagini controcanto del doppio di Cassandra-Bergamasco. Inizia il Secondo movimento. Il vento.

Sonia Bergamasco in Resurrexit Cassandra, 20232

Il teatro è avvolto da grida e pianto di bambini. Cassandra è dentro un cerchio di luce, la cui forma ricorda l’orchestra da manuale di un teatro greco. Fissa il pubblico: lo sguardo, come il corpo, è un magnete che trascina dentro il gemito dei bimbi, di quelli trucidati nella sua remota città in fiamme e in molte altre dopo questa. I suoi occhi hanno la forza di portare dentro la disperazione, tra il rumore delle armi e dei colpi assassini di ogni guerra, fin da quella di Ilio. Lo spazio sonoro in cui si muove Cassandra, in scena e sullo schermo, dove il suo doppio brandisce un’ascia, la trascina e dà colpi, accompagna parole che rievocano le visioni della distruzione di Troia, vista da Cassandra prima che accadesse, rivelata ai Troiani ma senza essere creduta. Così aveva voluto Apollo.

«Il principio della mia morte fu nel bacio / rifiutai le mie labbra ai desideri di un dio», ricorda Cassandra, colpita per questo diniego dalla funesta reazione di Apollo. Il dio le «sputò sulla bocca con odio», costringendo quella bocca a proferire parole che mai sarebbero state ascoltate e comprese, destinate a correre via come il vento, invisibili, come l’elemento naturale del Secondo movimento, ma anche a dire parole condannate ad avere la stessa forza distruttrice di venti impetuosi e inarrestabili perché portatrici delle distruzioni figlie di conflitti, tra popoli, tra famiglie, che la storia dell’umanità dimostra essere tragicamente incessanti. Il vento che spira dalla bocca e dalle profezie di Cassandra si rivela dunque potenza devastatrice, perciò ogni appello della profetessa Cassandra al genere umano perché si salvi si perde veloce, trascinato dal vento generato dalla sua stessa bocca.

Alla violenza divina e profanatrice di Apollo seguono altre violenze, con nuovi artefici – Aiace,  Agamennone –, la violenza verbale degli uomini che non hanno creduto ai «guardate» e «guardatevi», quella mortale inferta a Cassandra da Clitemnestra.  Eppure, il corpo coperto da terra infeconda si è liberato: «Resurrexit Cassandra», per dire le ultime parole, chiedere l’ascolto mai avuto, dare salvezza agli uomini e cura all’universo.    

Così finisce il Secondo movimento e un altro brano iconico dei Beatles, Here comes the sun, viene cantato da Cassandra-Bergamasco: nella voce è la nostalgia di chi avrebbe voluto il sole ma sa che il sole non c’è più, e insieme la speranza che possa arrivare di nuovo.

Cassandra si muove verso un altro serpente. Semisdraiata davanti a lui, lo accarezza, imita con il braccio l’arco sinuoso del corpo dell’animale, lo afferra come la Cassandra dell’hydria Vivenzio afferra il simulacro di Atena per avere protezione.

Nuovo ticchettio d’orologio; terzo cambio di pelle: vestito blu. Terzo movimento. Fuoco e fumo. Sullo schermo il cielo ha lo stesso colore dell’abito ed è attraversato da nubi mosse dal vento.

https://www.angelos.be/eng/exhibitions/luomo-che-misura-le-nuvole

Nella regia di Fabre, e non intendo solo quella di Resurrexit Cassandra, si deve tener conto delle inevitabili contaminazioni e dei dialoghi tra l’uomo di teatro e l’artista, due dimensioni che vivono di corrispondenza biunivoca. All’inizio del Terzo movimento le nuvole sullo schermo agiscono forti del pensiero di Fabre sulle nuvole, espresso icasticamente dall’artista belga nella scultura The Man Who Measures the Clouds. Le nuvole cui l’uomo tende sguardo e corpo sono l’incommensurabile, l’ignoto che l’essere umano cerca di misurare, conoscere, avvicinare per immaginare e creare; aspirare a misurare le nuvole è aspirare all’armonia, all’equilibrio, tra terra e cielo, tra uomo e natura, tra ciò che è reale e si può stringere tra le mani, come il righello retto per misurare le nuvole, e ciò che assomiglia alla natura dei sogni e che si può solo fantasticare di afferrare.  L’uomo che misura le nuvole sa quanto sia fragile questo equilibrio e quanta delicatezza serva per trovare la misura. L’umanità di Resurrexit Cassandra vive in un paludoso e funesto disequilibrio e ha perso il desiderio e la capacità di guardare le nuvole e tendere ad esse, a tutto quello che rappresentano. Le nuvole sullo schermo del Terzo movimento corrono via senza trovare una immaginazione capace di trattenerle e trasformarle in poesia o in una qualsiasi opera d’arte.

Anche il colore blu, che domina nello stesso movimento, va letto senza dimenticare la sua presenza in numerose opere e riflessioni di Fabre: penso in particolare alla cosiddetta ora blu che segnala «the passage from the end of the night to the beginning of the day», che «conjures up that brief moment of silence when nature awaits the dawn with bated breath». L’ora blu, attimo di sospensione e di preparazione alla metamorfosi, appartiene anche al tempo di Cassandra, della sua resurrezione.

«Ho visto», ripete Cassandra nel Terzo movimento, «ho visto dentro il fuoco». Ripercorre visioni successive a quelle ‘greche’ («i libri segreti di Cagliostro», «la risata dello Zar» e quella di Adriano, «la lettera d’amore mai spedita»), molte delle quali ricordano certe folgorazioni visionarie di Jorge Louis Borges. Lo sguardo di Cassandra-Bergamasco comunica l’idea del vedere non attraverso gli occhi ma grazie a una capacità di percezione più sottile e profonda che Bergamasco traduce con l’azione di guardare lontano e verso l’alto, nel modo in cui gli artisti hanno immaginato vedesse Omero e in cui vedevano poeti come Borges.

In questa carrellata visionaria Cassandra è stata ovunque e si è incarnata in chiunque abbia conosciuto e sperimentato violenza. In questo delirio che recupera appieno la dimensione dionisiaca del personaggio tragico greco, l’io monologante si sdoppia. Cassandra parla, racconta ma in realtà si fa anche spettatrice di tutto ciò che è accaduto, che non ha saputo e potuto fermare, dalla Berlino nella notte dei bombardamenti del 1945 a quel che ancora resta delle piaghe di Hiroshima, alla Rivoluzione francese. La parola di Cassandra incendia fatti, luoghi, nomi. Del suo metaforico rogo resta un impalpabile fumo che stringe la gola.

Cassandra-Bergamasco con un canonico gesto da offerente, tendendo braccia e mani verso il pubblico, microcosmo dell’umanità, dona queste altre visioni fino a irrompere in una risata che scuote con la forza di un boato e prepara l’ultima visione del Terzo movimento, forse la più rivoluzionaria per Cassandra: «ho visto me / risorgere ancora».

Sonia Bergamasco in Resurrexit Cassandra, 2023

Ogni resurrezione poteva essere l’ultima, ma non è stato così. La storia si è ripetuta, in un ciclo spaventoso, a momenti meraviglioso, dell’identico. Forse però è arrivato il tempo di una resurrezione finale della coscienza, di una vera rivoluzione. Questo tempo è adesso. La canzone che chiude è fatalmente Revolution (The Beatles).

All’inizio del Quarto movimento. Vapore, il canto di rabbia e dolore di Cassandra sulla agonia della Terra si concentra sui mari ridotti dall’uomo a farsi carico di innaturali «arcipelaghi di plastica». Nel dire queste visioni non futuribili ma scandalosamente attuali una disgustata Cassandra non può che chiosare con un anatema rivolto ai tanti che si genuflettono davanti al dio-Capitale: «[c]he siate maledetti», cancellati da una terra che vivrà meglio senza uomini. 

Fasciata in un seducente abito verde acqua, Cassandra-Bergamasco interpreta il Quarto movimento con sensualità, giocata su movimenti lenti e quasi schematici di braccia e mani, all’inizio legati a un corpo fermo che man mano si apre a un enthousiasmos dionisiaco pronto a coinvolgere altre parti. Fianchi e braccia seguono il muto disegno di una ipnotica danza orientaleggiante che attira l’uomo, costante destinatario delle crude parole della profetessa, conducendolo verso il destino di morte che merita per aver brutalizzato la Terra. I gesti si fanno più tentacolari, la voce più sensuale e ingannevolmente incantatrice, da canto delle Sirene, mentre si sente sempre più distinto il rumore della catastrofe, il crepitare di rocce ferite da trapani e trivelle.

Sonia Bergamasco in Resurrexit Cassandra, 2023

Il Quarto movimento. Vapore è il tempo del presente, nel quale Cassandra risorge testimone dello scempio della Terra, dove tutto si perde, evapora. Vede e racconta con amarezza, a tratti con sferzante ironia, degli oceani sui quali galleggiano plastiche, della foresta amazzonica in fiamme, dell’agonia dei ghiacciai, del livello del mare che sale a dismisura fino a quando sommergerà ogni cosa, una livella che non distinguerà tra città e città.

La Natura ferita si ribella, reclama i suoi diritti, ucciderà gli uomini, avverte Cassandra. Le sue parole, disciplinate in forme metriche di settenari e ottonari, in un succedersi di assonanze, allitterazioni, concatenazioni di rime, scandiscono la condanna senza appello del genere umano. Un refrain punteggia il suo racconto in crescendo: «[m]aledetti», una maledizione che si perde in un futuro indefinito, che difficilmente ci sarà.

La storia è arrivata al suo epilogo. L’uomo rifiuta di guardare al passato da cui non ha voluto imparare nulla, ma non riesce a guardare al futuro, altrimenti non avrebbe scavato e non continuerebbe a scavare le fondamenta della sua rovina. Il penultimo movimento di Resurrexit Cassandra è il canto dell’Antropocene, dell’epoca del dominio incontrastato dell’uomo sulla natura e della tragica consapevolezza che proprio tale dominio, tale possesso egoista e smodato costituisca il fallimento decisivo dell’anthropos come tiranno, rappresenti la sua irrevocabile caduta. Senza vista e visione, senza orecchie e capacità di ascolto, l’uomo ha creduto di vivere sulla Terra potendola piegare ai suoi bisogni e usare a suo piacimento: spettatore, colpevolmente distratto, del disastro, più spesso anche protagonista.

Cassandra è risorta: cosa accadrà all’uomo? Cosa alla Terra? «Vostra esistenza vuole / cosa sì grande e grata / la terra saprà vivere / sola senza di voi. / Torni a regnare il merlo / nel canto dell’essenza».  

Blackbird dei Beatles, scritta da Paul McCartney nel 1968 poco dopo l’assassinio di Martin Luther King, in tempi di aspre tensioni fra neri e bianchi in America, suggella questo movimento. L’ultima canzone di Resurrexit Cassandra è un canto che ha per protagonista un merlo, animale che, come ha detto più volte McCartney, va inteso metaforicamente. Blackbird è una musica di speranza,  resistenza, di riconquista di libertà e di ciò che di essenziale si è perso; è un invito a riprendere il metaforico volo che però deve fare i conti con un cielo non ancora azzurro («Blackbird fly, blackbird fly into the light of the dark black night»).

Il merlo di Blackbird è un simbolo non diverso da quello evocato da Cassandra mentre si avvia all’epilogo, al Quinto movimento. Pioggia. Qui tutto è bianco: l’ultima pelle-veste di Cassandra e le immagini sullo schermo, tra fumo bianco.

Sonia Bergamasco in Resurrexit Cassandra, 2023

La voce di Cassandra-Bergamasco è dolorosamente placata, vibrante di nostalgia e rimpianto, ma accompagna alcune parole anche con urla di accorata disperazione. Ricorda tutto quello che l’uomo ha dimenticato, l’armonia, «l’uno» che «è sinfonia». Invita l’uomo a lasciare «che la pioggia delle [sue] parole [gli] lavi il cuore», se non vuole essere afferrato dalla morte. Dice che non resteranno (restare è verbo ricorrente nel Quinto movimento) opere d’arte, monumenti, biblioteche, libri, musica. Non resterà memoria.

La voce si fa commossa, quasi pianto quando Cassandra ripete di essere «stanca» delle infinite resurrezioni-reincarnazioni e desidera solo «torn[are] pioggia / nebbia / fuoco / vapore / vento».

Nel ‘movimento’ dell’addio Cassandra ripete le parole perché abbiano eco nel cuore e nelle azioni dell’uomo, perché vengano ascoltate e accolte e trasformino l’uomo in Uomo, lo salvino.

L’ultimo suo atto sulla scena del mondo è una litania sferzante e dolcissima, laica e spirituale a un tempo, rivolta a uomini e donne, accompagnata con movimenti delle braccia da orante, perché uomini e donne risorgano e si impegnino a rispettare un decalogo: non uccidere la terra, non rubare i suoi preziosi beni, e così via.

La terra è il centro. Cassandra, che è risorta per l’umanità, nel congedarsi per sempre ricorda con una brevità da epitaffio chi è: «[s]ono Cassandra e la terra».

Come in una seduta medianica, evoca ed evoca ancora la bellezza, perché torni, e l’armonia, e l’amore: amore che salva, che non conosce l’«algebra bugiarda» del tempo, che è nel respiro, nei silenzi, «nel giardino dove il profumo degli aranci / conosce il segreto di non finire mai». Dell’amore «prevederò il tuo passato», «ricorderò il tuo futuro», dice Cassandra.

Sa, Cassandra, che nonostante l’umanità si sia incamminata verso il naufragio del mondo, è ancora possibile la fusione con il Tutto/Natura, in un panteismo emotivo nel quale si ritrova la dolcezza di ogni bacio, di ogni abbraccio, di ogni atto d’amore.

Il cerchio aperto con l’immobilità della nera Cassandra, appena riemersa dalla terra, del Primo movimento e con il suo sguardo fisso sugli uomini-spettatori si chiude con la bianca Cassandra del Quinto movimento. Il suo corpo fermo apre braccia e sguardo verso il cielo, dove è l’«infinito», la «bellezza», l’«amore» e il loro punto di ritorno sulla terra, da cercare, ancora, un’ultima volta, perché Cassandra non debba più risorgere nel suo «piccolo corpo».  

Sonia Bergamasco in Resurrexit Cassandra, 2023

 Le immagini sono tratte da: https://soniabergamasco.it/resurrexit-cassandra/