SCENA I
(In scena la prima Cassandra)
UNA CASSANDRA
Apopò-apopò-apopò, shshshshshshshsuì (tre volte). E chi è? E chi è? E chi è? E chi è che canta chi è? (due volte). Apopò-apopò-apopò, shshshshshshshsuì (tre volte). E chi è? E chi è? E chi è? E chi è che canta chi è? (due volte). Come una rondine forse, coll’occhio di malocchio, che tiene una lingua tiene,
tiene una lingua tutta imbrogliata, Apopò-apopò-apopò-Apollò, con grida con grida funeste, ti chiama la barbara cana, con grida con grida moleste, ti chiama l’uccella rapace, ti chiama la lingua incapace, la barbara cana conosce le tracce, quelle che fiuta sono una pozza di sangue, bambini bambini! Ragazze e vergini in pianto, Apopò-apopò-apopò-Apollò, che covi in testa, che propone la festa? Fiamme, fiamme, stridula stridula voce, stride la madre, stride la figlia, Apopò-apopò-apopò, Apollò. (Ad libitum. Poi si blocca).
È tutta colpa di Apollo. Tutta colpa di Apollo. Eh, sì, tutta colpa sua. Ce l’hai presente Apollo? Piglia e mi fa: “Cassandra, all’alba al caprifico”. Capito? Così mi fa: all’alba al caprifico. All’alba mi dice a me, così, all’alba, mi dice. Ma che è un orario per dare un appuntamento ad una figlia di famiglia, all’alba, è un orario per una ragazza uscire di casa? Tu che dici? Non lo so, magari sono io. Così mi ha detto, all’alba, all’alba al caprifico, così mi ha detto: “Cassandra, bruciasse Troia, all’alba al caprifico”. Io ci sono andata. E tu pensi che l’ho trovato? Tu pensi che ce l’ho trovato Apollo? Ce l’ho trovato? Te lo dico io, non ce l’ho trovato. No. Perché gli uomini dicono una cosa e poi, uuuhhhh, figurati, poi ti girano la frittata ti girano, e Apollo a girare le frittate è bravissimo, Apollo. Apollo a girare le frittate è un dio, Apollo. Lo sai che mi ha detto? Perché io gli ho telefonato ad Apollo, eh sì, gli ho telefonato, perché ci ero rimasta male che non si era fatto vivo e lui lo sai che mi ha detto? Lui dice, piglia e dice: “Cassandra, vedi che hai capito male”. Io? “Hai capito male”. Io ho capito male? Ma può essere che sei tu che non sai parlare? O no? Perché lui, Apollo, quando parla non si capisce, niente non si capisce, niente: lui si sente che è misterioso, fa tipo che parla in codice, tipo che dice per enigmi, ma invece non si capisce niente. In primis parla tutto con la bocca storta, tutto così, con la bocca storta, ti dico vero, vero non si capisce, tutto con la bocca storta, tipo vecchio con l’ictus, tu lo capisci uno che parla in questa maniera? Non si capisce. No. E poi, pure le espressioni che dice, pure le espressioni, le parole: già che parla con la bocca storta, poi le espressioni…ma tu l’hai mai incontrato uno che dice “il caprifico”? ma che cazzo è ‘sto caprifico? Una bestia è, non lo so, una pianta. L’albero che fa la lana? Boh, lo sai tu? Lo sai? Non lo sai, perché non è chiaro. E lui piglia e fa: hai capito male, Cassandra, hai capito male, così dice, dice che lui non ha detto “All’alba al caprifico”, no, dice che lui ha detto “All’alba coprifuoco”, tutto alla riversa, tutto al contrario, ti gira la frittata, Apollo, lui è un fenomeno a girare le frittate. Con ‘sto fatto che non si capisce quando parla…all’alba coprifuoco, tutto al contrario, dice: “hai capito tutto al contrario, Cassandra, dovevi restartene a casa, chiusa in casa dovevi restartene. E tu come la grandissima scimunita che sei, sei uscita: all’alba Troia è peggio di Beirut; io ti avevo detto, all’alba coprifuoco”. A me i nervi…i nervi…che mi salgono. Gli metterei le unghie in collo e gli strapperei la faccia. Solo che la faccia Apollo, la faccia ce l’ha bella, quella bella faccia di angelo di stucco, ce l’ha bella, bella. È bellino Apollo, è bellino, preciso Johnny Depp, bellino è…bellino, bello come il sole! E quando lo vedo mi viene… mi viene il tremoliccio alle ginocchia. All’alba coprifuoco, dice. Hai capito male. Può essere. E infatti di Apollo non si sentiva manco l’odore, Apollo all’alba non l’ho visto manco in fotografia. Però ho beccato gli Atridi, quelli sì, anzi mi hanno beccato loro e mi hanno fatto la festa!
Uno, due, tre, cento si gettano sulla preda, sulla cana che vede disgrazie! E dopo, che cosa mi resta? Cieca[1] come un lupo che vaga per la nebbia notturna, me ne vado in mezzo ai nemici selvatici, per le strade, per la città, in mezzo al fuoco e alle esplosioni, verso una morte sicura. Attorno notte nera e ombre cave. Ma chi ti può raccontare la strage e lo strepito e bambini sgozzati e le donne sventrate? Le parole non vanno alla velocità degli occhi, sono cieche le parole. E non ti bastano le lacrime e nemmeno gli occhi. Per le strade tanti corpi inutili, e pure sulle scale delle chiese ed è una festa di massacro. Dappertutto è lutto nerissimo, paura e morti sbiancati e l’immagine della morte si moltiplica per mille. Uno che un attimo prima parlava s’è trovato in mezzo ai nemici, e poi come lui tutti gli altri, e in mezzo al sangue e alla foia non si capiscono i buoni e i cattivi, gli amici e i nemici. Un orrore gelato mi avvolge e cerco l’immagine di Priamo, di Ecuba, di Ettore e di tutti gli altri miei. Ma ero sola, senza più nessuno, senza più una vita. Solo Cassandra, di colpo solo Cassandra, una volta ancora, solo Cassandra.
SCENA II
AGAMENNONE
(In scena Agamennone. ma è sempre la stessa attrice che fa tutte le parti)
Guarda, non ti preoccupare che ce lo dico. Ma sì, ce lo dico ce lo dico. Magari non oggi, ma ce lo dico di noi due. Cassandra, parola dell’Agamennone, che uno di ‘sti giorni ce lo dico. Ma stellina, non ce lo posso mica dire oggi, dai, anche tu, non mi fare la matta. Eh va be’, “lo sapevo che finiva così”, dai non dire stupidate, no che non ti lascio. Ma ragiona, torno dopo tutto questo tempo a casa da mia moglie: “caro, cosa mi hai portato dall’oriente?”, eh, ti ho portato un paio di corna. Quella lì è capace che mi scanna dentro la Yakuzi. Ma ce lo dico di noi. Ma scherzi? Io non sono uno di quelli che a cinquant’anni si scopano la ragazzina e arrivederci. Fidati che le cose si sistemano. Ma scherzi? Ci vuole solo un poco di pazienza. Ma secondo te ti portavo dall’oriente fino a qui per metterti in un monolocale a San Donato Milanese? Ma dai stella! Guarda, torno a casa, mi faccio una doccia, e sistema tutto l’Agamennone. Ma lo so quello che hai passato. Lo so. Guarda, su quello hai ragione. Io dell’Aiace Telamonio non mi sono mai fidato. Ma non potevo più pensare che quello prendeva e ti violentava lì al tempio di Atena come l’ultimo dei napuli. Ma roba da matti. Ma ti sembra il posto adatto per violentare una ragazza? Ma spostati di qualche metro, no? E un po’ di rispetto per la santità del luogo. No, voglio dire, se proprio devi violentare una. Ma l’Aiace Telamonio, guarda, s’è sistemato una volta e per sempre. Lì avevi ragione su tutta la linea, quello lì è un gran maiale, infatti ha fatto la fine che ha fatto…non sai niente? Giura! Ma dai! Guarda una roba da non credere, è uscito completamente fuori di testa l’Aiace. L’hanno beccato al Parco Sempione nudo, che si inculava una pecora. Ma ti giuro, nudo che si inculava una pecora ed era convinto che si stava inculando Marylin Monroe. Ora, ma ti pare che Marylin Monroe si fa inculare al Parco Sempione dall’Aiace Telamonio? No. E infatti era una pecora. Che poi, dove cazzo l’ha trovata una pecora al Parco Sempione non lo sa nessuno. Fuori di testa l’Aiace Telamonio. È andata così, ascolta che ti spiego. Sai che giù da noi in produzione è andato via l’Achille. Ma sì l’Achille, lo conosci. È andato via…si fa per dire. Crepato, secco come una acciuga. Sai che lui faceva tanto il gradasso, si sparava dei numeri, diceva quelle cagate tipo “vivi la vita come fossi immortale e ogni giorno come fosse l’ultimo”? si credeva immortale, il pirla. L’han trovato al cesso, in giacca e cravatta, senza scarpe, e con una siringa infilata nel tallone. Il tallone, pensa, per non fare vedere che si bucava: il tallone di Achille. Bon, comunque, s’è liberato un posto in produzione. E l’Aiace Telamonio diceva che era suo, era suo, dice, spetta a me, spetta a me di diritto. A me l’Aiace è sempre stato sui maroni e così ci ho dato il posto a uno sveglio, Ulisse, un terrone delle isole minori, un dritto della Madonna. E l’Aiace l’ha presa male. Cioè, l’ha presa male. Più che altro è la pecora che l’ha presa male. L’ha presa nel culo! Bon, comunque, fuori di melone: l’han trovato nudo che pompava la pecora e diceva: “Marylin, Marylin, dimmi che ti piace, dimmi che sono il migliore”. Dice che la pecora era molto perplessa. La moglie dell’Aiace ha chiesto subito il divorzio. Che già le corna non sono belle per nessuno. Ma poveretta, tradita per una bestia con le corna: dice che va tutti i giorni in analisi. Una famiglia distrutta. E così ce lo siamo liquidati, quel porco. Se l’è portato l’ambulanza al manicomio. Ma l’ironia sai qual è? Per curarlo, all’Aiace, gli fan fare la zooterapia. Hai capito? L’han messo a pascolare le pecore. Quello lì, che si inculava la pecora Marylin al Parco Sempione, ora è convinto di stare a Hollywood.
Dai stellina, non mi fare ‘sti numeri, figurati, non mi dire che non abbiamo futuro. Ah, io non ho futuro. Senti stella, ascolta, ce lo dico di noi alla Clitennestra, ce lo dico, eh? Fosse l’ultima cosa che faccio!
Vedrai, su, ti farò girare il mondo, stella, ti porterò in crociera nel Mediterraneo, andremo a Venezia, alla Biennale a vedere i criceti inchiodati alla croce di Maurizio Cattelan, ti porterò a Siracusa a vedere le tragedie, a perderci tra le locandine Liberty di Duilio Cambellotti, e ad ascoltare pessimi attori drammatici che sciorinano endecasillabi di Ettore Romagnoli, ti porterò alle premières e ai vernissages, ti farò conoscere tutti gli stilisti più froci del panorama internazionale, vi scambierete le gonne sorseggiando Dom Pérignon versato dentro scarpe nere con il tacco a spillo, vedrai direttori d’orchestra tirare piste di cocaina adagiate sulle casse armoniche di preziosissimi Stradivari, vedrai cantanti liriche che si fanno sbattere da spacciatori transilvani ed étoiles della Sicilia che tremano in acido negli angoli degli spogliatoi sudati di squadre di calcio di serie C2, vedrai pubblicitari leggere l’Organon di Aristotele in originale senza testo a fronte, giovani scrittori invecchiare male per invidia dei loro figli, vedrai donne sui quaranta coltivare affollate solitudini e uomini dagli occhi buoni martellarsi le dita per potere piangere senza compromettere la loro virilità, vedrai tutto questo, amore, faremo tutto ciò che ci piacque raccontarci nelle stellate sere di Turchia, non avere paura, stammi vicino piccola Cassandra, stammi vicino, veggente dell’oriente, dammi la mano e poi: a noi due destino!
SCENA III
UNA CASSANDRA
Noi di Fatima ci fidavamo. Quando vivi nello stesso villaggio, fai la stessa vita, ti fidi della gente che conosci da quando sei nata. Mi chiamo Olariche e prima vivevo in campagna vicino a Benin, in Nigeria. I miei vendevano le verdure dell’orto e io aiutavo mia madre. Non era una bella vita. Ma era una vita. Fatima veniva sempre a comprare la verdura da noi. E si fermava a parlare con mia madre. Chiacchiere di donne. Parlava sempre di sua sorella che viveva in Italia e aveva fatto i soldi. Infatti Fatima viveva bene. I soldi glieli mandava sua sorella, così diceva, che viveva in Italia, in mezzo ai ricchi: era finita che era diventata ricca pure lei. E così dice a mia madre che io non posso fare quella vita che hanno fatto loro: giovane, forte, bella è Olariche, non la puoi condannare. A mia sorella serve una baby sitter, dice. Mandala in Italia, dice, questo lavoro lo può fare Olariche. Il viaggio lo pago io. Lei lavora per qualche mese per mia sorella e mi ripaga il debito. No, dice. Solo il debito, non una Naira di più. Tra di noi…ci aiutiamo tra di noi. Quando ha pagato farà quello che vuole, in Italia lavorano tutti: può fare la cameriera, lavorare nei negozi, nei ristoranti. Diventerà ricca e potrà mantenere tutta la sua famiglia in Nigeria: hai finito di spaccarti la schiena e di fare la fame, sorella. Ti farà vivere lei, di soldi ne avrà per sé, per voi, per tutta la famiglia. Il viaggio lo pago io. Sarò la sua maman, così dice maman. Non ti preoccupare, dice a mia madre, la tratteranno come una figlia, come se fosse mia figlia. Non costa tanto. No. Non costa tanto. Sono 45.000 naira, dice. In Italia, però, non c’è il naira. Devi fare il cambio. Fanno 35.000 euro. Lavora sei mesi da mia sorella e ripaga il debito. Lo faccio per te, perché siamo dello stesso paese. Noi di Fatima ci fidavamo: la tratterò come mia figlia, dice. Ma lei mi fa giurare davanti al Baba-loa che restituirò i soldi. Non è che non mi fido, dice, ma devi giurare, io ti presto tanti soldi, devi giurare che me li ridai. Il Baba-loa fa la fattura: se non restituisci i soldi offenderai gli spiriti che si vendicheranno su di te e sulla tua famiglia. La vendetta degli spiriti fa paura. Non c’è dio che possa sciogliere questo giuramento[2]. Il viaggio è duro. Viaggi ore e ore, non mangi niente, non bevi quasi mai. Ma dici, in Italia sarò ricca. Devo solo guardare dei bambini. Non è niente per chi lavora nei campi. Quando arrivo sono mezza morta. In Italia fa freddo. Non pensavo, si congela, c’è la neve. Alla fine, quando arrivo, dico dove sono i bambini? Dov’è la sorella di Fatima? Lì c’è un’altra maman. I soldi sono tanti, dice, i soldi che devi fare sono troppi, non li puoi fare guardando i bambini. Mi danno un vestito corto e dei preservativi. Mi spiegano come si usano. Per spiegarmelo mi portano in tre in un capannone. “Come ti chiami? -dice uno. “Non parli. Non mi fai sentire la voce della cagna, non mi fai sentire lo stridulo della voce. Non parli[3]. Conosci solo una lingua straniera, che balbetta suoni da rondine, suoni da bestia. Ti persuaderò a parole a fare come ti dico”. “Ti conviene obbedire”, dice la maman, “c’è Baba-Loa che ti guarda, c’è lui che ti comanda”. “C’è lui”, dice il terzo, “che attraverso di me ti possiede. Vieni dentro, tu!” dice, “entra qui dentro, allora, vieni dentro, non ho tempo da stare qui sulla porta. Dentro c’è il fuoco e le vittime da sacrificare, se hai capito come fare quello che devi, non perdere tempo. Se non mi capisci, perché sei straniera, invece della voce usa le mani. Sembra che la straniera abbia bisogno di un interprete bravo. Sembra una bestia appena catturata. O forse è uscita di testa e ascolta la sua pazzia nelle orecchie, lei che ha lasciato la terra sua, appena catturata, non sa portare il morso sulla bocca. Zitti, zitti tutti, non buttiamo parole, appena saremo dentro capirà, c’è il dio che le dice che fare, c’è il dio, le vittime pronte alla mattanza, i bambini sgozzati in una pozza di sangue. Abituati al nuovo giogo, ragazza. Entra con noi. Come ti chiami ragazza? Stai muta e ascolti la tua testa malata? Perché evochi Apollo il Lossia tra grida, non è un dio, quello, da amare i canti di morte. Non hai speranza. Metti questo vestito, femmina nera, metti il tuo giogo! Entra qui a guardare in faccia il tuo giuramento agli spiriti. Come ti chiami ragazza? Ti battezzerò io, vieni qui, ti battezzerò io: ti chiamerò Cassandra”.
SCENA IV
ECUBA
Cassandra, Cassandra, rondinella mia, quante disgrazie in questa casa, quante disgrazie, quante sciagure, quante, quante…e chi me l’avrebbe detto, chi? Tutte ‘ste disgrazie. E che devo dire? Sono stata sfortunata. Tuo padre mi diceva: ti farò fare la vita della regina, Ecuba, la vita della regina! Così mi diceva. E io gli credevo, mi sono bevuta tutto, tutto, come una cretina e invece poi… sono stata sfortunata, nella vita c’è chi gli va male e chi gli va bene, certe donne che i mariti le vanno a prendere in macchina pure che devono fare cinquanta metri, non gli fanno fare manco un passo per non farle stancare. E dire che mia sorella me l’aveva detto, ah sì, me l’aveva detto: Ecuba stai attenta, quello puzza di guai. Lascia stare quel Priamo, quello puzza di guai, quello è uno jettatore. Io, io, che li avevo tutti ai miei piedi, figlia mia, tutti, ora mi vedi così tormentata da una vita di disgrazie, preda di un destino di morte, ma da ragazza ero un bel tipino, c’avevo un bel culetto che ci potevi poggiare sopra due bicchieri, che la domenica in chiesa si giravano tutti, ah sì che si giravano tutti, pure la statua del Battista si girava a guardarmi il culo. Mia sorella me l’aveva detto: pigliati al figlio del dottore Tuttolomondo, che quello è un buon partito, un bel ragazzo, parla bene. E io che cretina, figlia mia, che cretina, rondinella mia, mi sono andata a inguaiare con quel corvo nero di tuo padre. Il figlio del dottore Tuttolomondo si era pure dichiarato, era venuto con un mazzo di fiori, la giacca e la cravatta, il fazzoletto nel taschino e si era dichiarato con un discorso bello, bello…. io non avevo capito niente perché era pieno di parole difficili ma calavo la testa rapita perché ti dico, figlia mia, un discorso bello perché il figlio del dottor Tuttolomondo parlava bene ed era un bel ragazzo, un bel ragazzo, pure che somigliava a Franco Franchi era un bel ragazzo. E poi dovevi vedere che cosa era Troia negli anni ’50. Che cosa era! La guerra era finita da poco, gli Americani avevano vinto e gli Achei se l’erano presa in sacchetta, proprio così era andata, pure che quel cieco maledetto ci ha fatto sopra i poemi, gli Americani hanno vinto, che vincono sempre loro con la cioccolata, il rock ‘n roll e la democrazia. E Agamennone, ma tu lo sai benissimo, altro che se lo sai benissimo, Agamennone s’è sparato un colpo in testa in un bunker di Micene: così è andata, altro che quella fesseria che l’ha ammazzato Clitennestra e quell’invertito di Egisto. Figurati. Lui Egisto, l’hanno visto con le calze a rete che passeggiava sul lungo Ellesponto. Gli Americani hanno vinto e quello s’è sparato un colpo in testa e tu lo sai bene. Ma Troia negli anni ’50 era bellissima, era piena di bei ragazzi figli di dottori che avevano la 600. Ed erano tutti lì, ai miei piedi che mi guardavano il culo. Ma io cretina che sono, che invece che ascoltare a mia sorella mi sono sposata a quel menagramo di tuo padre che mi ha rovinato l’esistenza. Che disgrazie, che dispiaceri. Cosa poteva essere la mia vita e che cos’è! E tu, Cassandra, rondinella mia, non sei tanto meglio di me. Anche tu sei cretina, Cassandra, figlia mia, sei cretina e non hai neppure un bel culo, perché hai preso dalla famiglia di tuo padre che grazie a dio sono tutte culone, hanno dei paioli di questa portata, hanno. Che delusione, che delusione figlia mia. Speravo che almeno tu, almeno tu potevi salvarti. Tu potevi sposare al figlio del dottore Scopalamore, che era pure lui dottore, ci mancavano due esami e la tesi all’università degli studi di Messina, insomma suo padre doveva pagare le ultime due tangenti e lo facevano dottore. Ma tu no, niente, non te lo sei voluto pigliare, volevi l’amore vero, l’amore vero, insomma una cretina, che io te lo dicevo: un medico in famiglia fa sempre comodo, pure mia sorella te l’aveva detto: non fare lo stesso errore di tua madre, che s’è pigliato a quel rognoso di tuo padre quando c’era il figlio del dottor Tuttolomondo che si tirava i solitari con le foto della cresima di tua madre. Ma tu niente, non ci hai voluto ascoltare, hai voluto fare di testa tua. Non ci hai pensato a me, che sono sofferente di pressione. Perché sei un’egoista, pensi solo a te stessa. Io già mi vedevo: suocera di un dottore. Ci potevi fare cinque figli, che i figli sono un legame per sempre, con cinque figli quelli non ti possono mollare più. Cinque figli, ci potevi fare. Il primo lo dovevi chiamare come quella cosa inutile di tuo padre. È una questione di rispetto e di ricordo negli anni della figura del padre, pure che è una cosa inutile come il tuo. E poi lo sai che ti aveva già fatto costruire un villino a Bagheria. C’era pure davanti una bella incementata e il barbecue per arrostire la carne a Ferragosto. Lo sai quanto c’era costato ‘sto villino, solo solo di tangenti al geometra del comune. Ma tu te ne freghi dei nostri sacrifici: non hai morale. Te ne freghi di tua madre e il figlio del dottor Scopalamore s’è stancato e s’è sposato a tua cugina: le mie sorelle hanno tutte le fortune, che tua cugina non fa la strana, non si piglia gli acidi, non straparla di cose assurde. Non ne ha grilli per la testa. (Come a ribadire ad una protesta) Tu hai i grilli, tu hai i grilli: tu hai un’invasione di grilli in testa. Lo sai che il figlio del dottor Scopalamore ha vinto un posto di aiuto del primario al “Qui si sana”, lo sai? Al “Qui si sana”, come aiuto! E tu…non ci hai pensato a tua madre che soffre di pressione: un bel ragazzo è, parla bene. Quante disgrazie in questa casa. Le altre donne sono state più fortunate: a me è andata così. Ma tanto tra poco morirò e non vedrò più niente. Morirò circondata da fantasmi[4]. Afferra Cassandra questo braccio di vecchia e vedrò di andare più svelta con la mia mano che stringe questo bastone mezzo storto. Notte scura, sei l’abbaglio di Dio, perché mi circondi di orrori, perché mi circondi di fantasmi? Io lo scaccio via questo spettacolo di negra notte, dove sei Cassandra? Dove sono i miei figli? Io che potevo essere una regina, io che mi voleva il figlio del dottor Tuttolomondo! Alla mia età[5] faccio la serva in mezzo a ‘sti ricottari, e c’ho una faccia da morto, una statua seccagna ad immagine e somiglianza dei morti. Che disgrazia! Ho avuto tanti figli e ora monto la guardia alle mie disgrazie. Mischinazza che sono! Alza la testa. Tira su il collo. Non è Troia questa, non sono io la regina di Troia! Dio ha voluto così! E sia fatta la sua volontà, seguiamo la sua strada noi che siamo i suoi strumenti. I figli, lo sposo, la patria: tutto causa di gemiti. Perché mi dovrei stare zitta? E perché non dovrei parlare? E perché devo cantarmi il De Profundis? Sono una mischinazza, mi fa male la schiena e le gambe, la testa, le tempie e i fianchi. Sono tutta un dolore! E che posso fare? Se avessimo un medico in famiglia almeno mi potrebbe curare, povera Ecuba, mi potrebbe curare. Ma io mi sono sposata a tuo padre e tu ti sei mescolata al fango più fango di tutto il Mediterraneo. E ora sono pronta per morire. E non aspetto che questo rondinella mia. La mia vita non è niente. I miei figli mi hanno abbandonata: e hai voglia a dire che andrai in sposa ad Argo a letti regali, hai voglia a dire che bruci per le tue nozze raggio di fuoco, hai voglia a consacrare l’imene all’imeneo. Cassandra, finirai pure tu a fare la serva, tutta colpa tua e di quello stronzo di Apollo con cui vai a ballare tutte le notti e a pigliare gli acidi. La mia vita non è niente e nemmeno la tua. A proposito lo sai che il figlio del dottore Tagliaferro s’è laureato ieri l’altro. Gli ho parlato di te e ti vuole conoscere. È un bel ragazzo, parla bene.
SCENA V
UNA CASSANDRA
Vorrei il destino dell’usignolo melodioso. Vorrei…
(Squilli frenetici di telefono)
Pronto, pronto sei in linea con Cassandra, prevedo passato presente e futuro. Eh? Sì va be’, il passato non si prevede ma non sottilizziamo. Pronto, pronto? Ha riattaccato ‘sto stronzo. Pronto, pronto, chiamate Cassandra, prevedo il futuro, conosco il passato, parlo sull’amore, il lavoro, la salute. Pronto, sei in linea con Cassandra. Con chi parlo?
VOCE 1
Pronto, Cassandra, pronto sono in linea.
UNA CASSANDRA
Sì gioia, sei in linea con Cassandra, da dove chiami?
VOCE 1
Chiamo da Cartagine.
UNA CASSANDRA
Gioia, Cartagine io ce l’ho sempre nel cuore, Cartagine, veramente…sono pazza di Cartagine: il sole, il mare, i ragazzi sulla spiaggia, certe chiappe sul lungo mare di Cartagine. Insomma, dimmi gioia, come ti chiami?
VOCE 1
Didone.
UNA CASSANDRA
Ah, come la cantante.
VOCE 1
Insomma.
UNA CASSANDRA
Dimmi cuore mio, che cosa può fare Cassandra per te?
VOCE 1
Volevo sapere sull’amore.
UNA CASSANDRA
Sull’amore? Fammi concentrare. Vedo…vedo…un uomo.
VOCE 1
Bene.
CASSANDRA
Che viene dal mare.
VOCE 1
Bene.
CASSANDRA
Bello come un re: un orientale.
VOCE 1
Bene.
CASSANDRA
Medio-orientale. Turco. Vedovo, vedovo è.
VOCE 1
Ah, mi dispiace.
CASSANDRA
Dido’ tu hai tutte le fortune è turco, è vedovo. I vedovi sono i migliori. Sono romantici, sono delle bestie da letto e soprattutto hanno imparato a lavarsi le mutande da soli.
VOCE 1
E poi cosa vedi?
CASSANDRA
Vedo una grotta, fuori la pioggia. Lui allunga le mani, mamma mia, che mani lunghe che ha, mamma mia, mamma mia, uuuhhhh, Dido’, i mediorientali! Aaaahhhh, quanti ricordi! Didone, pure tu però: ti vedo, ti vedo…
VOCE 1
E che faccio?
CASSANDRA
Te la spassi, te la spassi. E poi…
VOCE 1
E poi? Cassandra poi che succede?
CASSANDRA
Didone ti posso dare un consiglio?
VOCE
Prego, Cassandra.
CASSANDRA
Per gli uomini non vale la pena prendersela troppo. La prossima grazie. Pronto chi parla, sei in linea con Cassandra?
VOCE 2
Pronto Cassandra?
CASSANDRA
Sì, cuore mio, sei in linea con Cassandra.
VOCE 2
Cassandra, sì, io chiamo da Argo.
CASSANDRA
Lo sapevo gioia, lo sapevo. Dimmi, hai problemi con tuo marito?
VOCE 2
Veramente sono un uomo.
CASSANDRA
Lo sapevo, gioia, lo sapevo. Io sono Cassandra, io vedo tutto. Come ti chiami?
VOCE 2
Mi chiamo Egisto.
CASSANDRA
Egisto, dimmi figlio mio, dimmi, qual è il tuo problema?
VOCE 2.
Il problema è di cuore.
CASSANDRA
Dimmi, gioia, dimmi.
VOCE 2
La donna che amo. Vuole comandare sempre lei.
CASSANDRA
E va be’. Con le donne ci vuole pazienza.
VOCE 2
È sposata con un altro.
CASSANDRA
E fin qui, non è una tragedia.
VOCE 2
Ma questo è mio cugino.
CASSANDRA
E fin qui non è una tragedia.
VOCE 2
Ma io ce l’ho con lui, perché suo padre ha fatto mangiare a mio padre i suoi figli.
CASSANDRA
Ecco adesso è proprio una tragedia.
VOCE 2
Ma anche suo marito la tradisce.
CASSANDRA
Ecco vedi. Tutto torna.
VOCE 2
Quando è fuori per lavoro la tradisce con un’altra.
CASSANDRA
Gli uomini!
VOCE 2
Più giovane.
CASSANDRA
Un classico.
VOCE 2
E lo sai chi è questa troia?
CASSANDRA
No chi è?
VOCE 2
Guarda te lo faccio dire da lei. Te la passo.
VOCE 3
Cassandra la rondine.
CASSANDRA
Ma chi sei?
VOCE 3
Sono io Cassandra, sono io. L’hai capito, troia chi sono. Zeus[6] ti ha proposto di mescolarti ai riti nuziali, con molti schiavi posta vicino l’altare della mia casa. E tu traditrice mi hai rubato il marito. Agamennone, tu cagna fedifraga, tu me l’hai rubato.
UNA CASSANDRA
Clitennestra, sì, lo so chi sei? E ti conosco a te e a tutta la tua retorica della moglie ferita. E continuiamo a biascicare alibi della minchia. Ma io non ti ho rubato proprio niente. Niente ti ho rubato, hai capito? Perché i mariti non sono portafogli, che te li fottono dalla borsetta. Hanno un cervello loro, una testa, magari di cazzo, ma una testa ce l’hanno e se tradiscono e fanno le porcate lo decidono loro di farlo: e allora piantala con questa lagna che ci propini da duemilacinquecento anni della scanna della vergine cagna: che qui in questa sala è più facile trovare il vuoto pneumatico che una vergine, Clitenne’, e con questi belli stereotipi, quelli c’hanno sempre l’alibi dell’incolpevole seduzione della vergine che glielo tira, e noi ci scanneremo eternamente nelle vasche da bagno per il piacere guardone dei maschi che ci riprendono con l’Aifòn e ci mettono nella sezione sado-lesbo di Porno-Tube. Hai capito? Fatti furba, Clitenne’, trovati un bravo avvocato e levagli pure le mutande. E con Egisto, fatti una bella scopata e ci eviti a tutti un sacco di rotture di coglioni. E se non capisci questo, che ti devo dire? Clitennnestra, ma vattene affanculo!
SCENA VI
PRIAMO
Cassa’! a chi t’è muorto! N’ata vota co sto ffatto degli Atridi! E che guallara, oì! Ma tu tieni ‘na fissazione, ma tu tieni ‘na malattia, tu non stai bene, Cassa’, fidati: tu sei malata, ti ha fa’ guarda’ da ‘nu medich’ ‘e pazze, da un medico dei pazzi ti devi fare guardare. Fattelo dire da tuo padre Priamo. Tieni la capa ‘mbrugliata. E gli Atridi e gli Atridi. Ma chi cazzo so’ ‘sti Atridi? Ma chi li conosce? Io non li ho mai sentiti nominare. Io conosco i Casalesi, i Corleonesi, ‘a Mafia, ‘a Camorra, la Sacra Corona Unita Apostolica e Romana. Ma chi so’ ‘sti Atridi? Boh! Cassa’ tu ti devi fare guardare, ti devi fare curare. E così finisci male, finisci che coccheruno ti scassa la testa. Cassa’ tu leggi troppo: i libri fanno male. Io ho letto coso, coso, ho letto l’Ulisse di Jannis Joplin- no che cazzo dico, chella è ‘a cantante. Gieims Giois ho letto, Gieims Giois. Non ho capito un cazzo, non si capisce niente, m’è venuto nu dolore ‘e capa. A me m’hanno sparato dieci volte, non mi sono fatto mai niente: un libro ho letto, mi so’ sentito male, m’è venuta l’angoscia, Cassa’. I libri, mamma mia, parlano tutti al contrario. Quelli li ha inventati il diavolo, Cassa’. Instrumentum Diaboli, come dicono i latini. Latini, latini, saccio ‘o latino io. E che c’è? Al riformatorio tenevamo nu maestro ‘e latino che era ‘e sette bellezze, era. Nu prete ricchione dell’ordine ‘e femminelli. Si chiamava padre Ralph e le piacevano gli uccelli di rovo. Cassa’ saccio ‘o latino, tengo un’istruzione tengo, e per ciò ti dico i “libri fanno male”. Fanno venire le strane idee, fanno venire. Cassandra io ti vengo padre, tu di devi fidare. Io la vita la conosco, mi ho fatto dieci anni di riformatorio, dieci di galera e venti di 41 bis. Sempre innocente. Innocente Cassa’, innocente: innocente perché nostro Signore morendo in croce per noi s’ha pigliato tutti i nostri peccati e ci ha fatto tutti innocenti. Insomma la crocefissione è stata ‘na specie di grande amnistia, un’amnistia universale, Cassa’, epocale, ‘a cchiù grande amnistia ra storia umana. Quello ci ha perdonato i nostri peccati morendo in croce e ci ha condonato i nostri reati. Nostro Signore ro condono. Chi è ‘o giudice terreno per giudicare me di fronte alla giustizia divina? Me che sono innocente, che sono ‘na creatura e che sto in Gloria Domini. Accussì si dice, Cassa’, Gloria Domini, tu che cazzo ne sai che hai fatto ragioneria? Va buo’, poi tu ti metti ‘sta faccia. ‘Sta faccia tipo, te l’avevo detto te l’avevo, te l’avevo detto che t’ammazzavano. L’avevo previsto che ti facevano fuori, l’avevo previsto che morivi ammazzato. E che cazzo Cassa’, e che ci voleva ‘a zingara, je faccio ‘o camorrista, non fatico all’Inaìl. È normale che mi hanno ammazzato. Cassa’, la vita è ‘na guerra e la guerra è guerra per tutti. Ma tu credi di vedere il futuro, mi guardi co’ ‘sta faccia misteriosa e mi dici: “l’avevo prevista la tua funesta morte e la caduta della tua famiglia”. Tu vedi troppi film americani, veramente, ti sei fatta pure bionda come chella zoccola ‘e Marylìn Monrò, chella ca fotteva coi fratelli presidenti americani. Che dici? Tu farai la stessa fine? E pecché? Aaaaaahhhh, nata vota co’ sti Atridi, Cassa’, ci hai sfrangicato ‘o cazzo, non esistono gli Atridi, Cassandra, guarda che fai confusione, tu ti imbrogli tra la fantasia e la realtà, leggi troppi libri, tieni ‘na capa imbrogliata. Gli Atridi non esistono, lo saprò io che ho fatto il camorrista per cinquant’anni. A me m’hanno sparato quelli della Nuova Camorra in combutta con la mafia cinese e con quelli della Sacra Corona Unita e del Sacro Romano Impero Barbarico. Una cosa semplice, non c’è bisogno di inventarsi ‘sti nomi assurdi, gli Atridi, non c’è spazio per un’altra famiglia rint’ ‘a camorra: pure se provassero a tràsere rinto ‘o bisinìs ‘e facessero satare in aria in uno sbattibaleno. Hai capito? E lo so, lo so, tieni ragione, lo ammetto Cassa’, su questo hai ragione: hanno sterminato la nostra famiglia. E mo’ chi è ‘sto Apollo? È quello che ti possiede e ti fa avere le visioni? Aaahhhh, Cassa’, ho capito Apollo chi è: è chello ‘strunzo che ti fai chiavare. Non dicere no, non dicere no, ti hanno visto. Quello ti possiede, è vero, ti possiede tutti i martedì dalle cinque alle cinque e mezzo al Cinema Nazionale ti possiede, e ti fa vedere le stelle. Tu si’ ‘na zoccola, Cassa’. E non dicere no: prima hai avuto il fidanzato milanese, poi quello siciliano, poi quello veneto, Cassa’ che intenzioni hai? Quelle le regioni dell’Italia sono venti. Cerchi l’amore vero? Cerchi l’amore vero e hai trovato ‘nu strunzo e la nomina di zoccola. Sì, è accussì: tutti i martedì alle cinque ti fai possedere da Apollo al Cinema Nazionale e non sei una zoccola? Al cinema Nazionale, sissignore, ti hanno visto, alle cinque tutti i martedì, qualsiasi film fanno. Ti sei fatta chiavare pure davanti al Gesù di Zeffirelli, blasfema e senza dio. Ma io a ‘sto Apollo lo faccio sparare. Io parlo coi Corleonesi, che parlano col cartello di Medellin, che si mettono d’accordo con la corrente di Mafia democratico-cristiana e lo faccio sparare e poi lo faccio bruciare dentro all’inceneritore abusivo autorizzato che abbiamo fatto costruire dentro alla bocca ro Vesuvio. All’inferno lo faccio andare, hai capito? dentro all’inferno ra monnezza. Apollo, gli Atridi. Cassa’, tu sei scema. O sei scema o sei pazza o sei zoccola o tutte e tre le cose insieme. Lascia stare a ‘ste fantasie, a ‘sti ccose. Lascia stare i libri, i film americani, tu devi pensare alla tua famiglia. Sissignore, alla tua famiglia. Eh, pure che siamo tutti morti tu devi pensare a noi, a tuo padre, un padre per una figlia è sempre un eroe. Un eroe, un eroe, ora mi vedi malandato che mi hanno sparato novanta colpi di Kalashnikòff, ma che vuo’ dicere? Pure Edipo il tebano è zoppo, e pure orbo è, ma è un eroe. Un eroe è Edipo. L’atieri l’haggio incontrato al lungo mare di Mergellina. Faceva schifo faceva. Orbo, zoppo, puzzava come una chiavica, teneva nu piede accussì, cheno di puss giallo e marcio, faceva votare ‘o stommaco. I figli suoi si sono ammazzati intra a essi stessi, con duplice mano assassina si sono ammazzati, per spartirsi il territorio, eppure Edipo è un eroe. Noi siamo eroi per la famiglia. Hai capito Cassa’? chesta è camorra, non è tragedia. Io sono un eroe e i tuoi fratelli e tutti i morti ammazzati. E il loro sangue va lavato col sangue. Io l’ho visto con gli occhi miei il figlio mio ucciso ‘a chello fetente di Achille. Qua, sotto le mura di Troia. ‘O figlio mio, Ettore[7], dall’elmo ondeggiante diceva: “io non scappo più, figlio di Peleo, ora tengo il cuore che mi dice fallo scomma’ e’ sanghe a chello strunzo. Ma qui stesso invochiamo a dio, sarà lui testimone e garante del nostro accordo: non ti sfregerò malamente se fosse a me la vittoria e io ti levassi la vita. Ma dopo averti levato le belle armi, tornerò il morto agli Achei. Tu fai lo stesso”, accussì diceva Ettore. Ma a esso disse Achille, guardandolo malamente: “Ettore, tu, homme ‘e niente, non mi ha ‘a parla’ di accordi. Perché non ci stanno accordi affidabili tra leoni e uomini, e pure noi non possiamo essere amici, prima che Ares si beva il sangue di uno di noi. Fai avvere’ quanto sei bravo: per te non ci sta scampo e Pallade Atena ti abbatterà con la mia lancia. Pagherai il conto di tutti quelli tra le mie schiere che hai ucciso”. E ittò la sua lunga lancia ‘o figlio ‘e Peleo. E Ettore, come la vide se facette a lato, pe’ nun se fa’ accirere. “Achille, aro’ cazzo tiri, smargiasso e fanfarone, a parlare simmo tutti bravi ma nun me mietto appaura delle tue spacconate. Nun me faccio ficca’ la lancia alle spalle, mentre me ne scappo, io te vengo incontro. Scassame ‘o core se tieni ‘o curaggio”. Ma mentre isso parlava chella zoccola di Atena le tornava la lancia ad Achille, piede lesto. E aroppo ittò la sua di lancia, Ettore, ma con il suo scudo Achille la faceva rimbalzare lontano. Ettore gridava a frateso, a suo fratello ce gridava: “a chi t’è muorto, Deifobo, addo’ cazzo stai, portami n’ata lancia ca chesto me fa’ scomma’ ‘e ssanghe dal cuore” ce diceva accussì allo frate suo, Deifobo, che gli doveva stare vicino. Ma chella zoccola di Atena s’aveva cagnato in Deifobo e ci aveva fatto credere ad Ettore che suo fratello stava accanto a lui: ma non era vero niente. “Mannaggia ‘a muorte: e che dio! mo’ chesto m’ammazza. ‘A morte mo’ la guardo in faccia e se chesta era la volontà di dio, ch’haggia ‘a fa’. Fatti avanti Achille, morirò combattendo”. Così dicette e si ittò davanti ad Achille con la spada rinte ‘e mmane. Gli andò incontro Achille con il cuore cheno ‘e raggia di animale, sbraitava e ululava, con lo scudo bello e l’elmo ondeggiante ca pareva ‘no pupo siciliano. E come a notte fonda s’avanza intra le stelle Espero, che è l’astro cchiù bello, la punta della lancia che Achille teneva nella mano, faceva ‘a stessa luce e Achille colpì ‘o figlio mio, lo passò da innanzi a arrete con un colpo della lancia che lo passò ‘a miezzo. Ettore cadde, in mezzo alla polvere e alla terra. E Achille lo sputava e gli diceva: “credevi di uscirtene netto e schietto, mentre le levavi l’armi all’amico mio Patroclo, pecché io ero lontano e tu facevi ‘o spartigiacche. Mo’ i cani e gli uccelli se magnano il corpo tuo e di te non resterà che ‘o resto ‘e niente”. E ‘o figlio mio chiagneva e ce diceva a chell’animale: “Pe’ le anime ro Purgatorio, pe’ le anime dei tuoi genitori, nun me fa’ magna’ dai cani e dagli uccelli. Mio padre può pagare, oro, argento, armi, pe’ me fa’ ave’ nu funerale in grazia ‘e dio”. Ma Achille ce diceva: “Nun me prega’ strunzo, i’ ha a muri’, se potessi ti mangerei io il cuore e le carni da me stesso per quello che hai fatto ai miei. Nemmeno mi pagassero dieci, venti volte il riscatto ti risparmierei i cani e le bestie, manco se venisse chello strunzo di Priamo a te pava’ a peso d’oro gli renderei il corpo tuo per farti il funerale”. E mentre quello diceva accussì, al figlio mio lo avvolse la carogna schifosa della morte, e l’anima sua se ne ascette dal corpo e se nne iette all’inferno che ancora esso chiagneva e ghiastemmava dio, ‘o destino e la giovinezza. Cassa’, che vuo’ sape’ tu, ca si’ femmena? ‘O sanghe si lava col sangue. E non ce sta cchiù niente ‘a dicere.
SCENA VII
UNA CASSANDRA
Cara mamma, caro papà,
So che quando troverete questa lettera non capirete o comunque vi sforzerete di non capire, ma io ve la lascio lo stesso: noi non riusciamo a parlare e siccome ho da dirvi delle cose, tanto vale che ve le metta per iscritto. Del resto quando scrivo è tutto logico e coerente ma quando parlo con voi finisce a sbraitarsi in faccia, perché a nessuno piace sentire la verità e meno che mai capire di avere sbagliato. Quando si esce fuori bisogna solo chiudere una porta ed è meglio chiuderla senza fare troppo rumore. Non ho più voglia di sentire luoghi comuni e frasi fatte: sì lo so, finirò a fare la cameriera in un bar o a chiedere l’elemosina per strada o morta di freddo in una discarica di periferia. Anche perché in centro le discariche non le mettono. Lo so. Finirò così. Ma io me ne vado lo stesso. Il fatto è che io il mio futuro lo vedo diversamente o comunque diverso da come ve lo volete immaginare voi: sposata, magari con un ingegnere, professoressa, magari al liceo, con tre figli, che oramai sono uno status symbol della piccola borghesia montante. Io il mio futuro lo vedo diverso. Ci vedo mistero, voglia di scoperta, ci vedo la Francia, un po’ di alcol e parecchia lussuria. Sì va bene, è tutta colpa del mio professore di lettere che è comunista, come tutti i professori di lettere e ci fa leggere tutti quegli scrittori svitati, finocchi e morti suicidi. Quelli almeno prima di morire hanno vissuto. E io voglio vivere. Tra l’altro se i professori di lettere sono queste merde non ho capito perché io dovrei fare la professoressa. Forse per sposare un ingegnere. Ma io un ingegnere lo sposerei solo se leggesse Freud, ascoltasse i Clash e suonasse la batteria. Ma allora non sarebbe un ingegnere. Cioè, non nell’anima. Ad ogni modo io me ne vado: non è strano, non è colpa di nessuno. Non è il caso, mamma, di piangere disperata al telefono con tua sorella: mi avete dato tutto quello di cui eravate capaci ma a me manca l’aria. Il fatto è che quello che voglio io non me lo potete dare voi, perché io voglio la libertà e non la posso chiedere al carceriere. La libertà si pretende, si conquista, la si strappa a morsi, non la si chiede per favore. A volte si paga, la libertà, ma il bello è proprio quello. La voglio pagare, voglio che sia una cosa mia: voglio piangere sola in un angolo della metropolitana di Londra e sgobbare come una pazza in uno squallido bistrot di Pigalle. Perché io il destino lo voglio guardare dritto negli occhi e sputargli in faccia. Nella mia testa io ho tutto chiaro, so già quello che voglio, so quello che succederà, so che ancora è tutto da scrivere ed una pagina veramente bianca mi dà una vertigine che mi metterei a strillare. E allora cercate di capire che non è successo niente di più che il compiersi dell’unico e vero inevitabile destino: sono diventata grande e da adesso Cassandra decide da sola.
(Cassandra si gira e va via. Si ferma all’improvviso di spalle: su uno schermo nel fondo della scena compare un filmetto con due bambini che ridono e dicono “addio posteri, arrivederci” e poi scappano via. A rallentatore. Si girano un attimo per salutare il pubblico un’ultima volta).
FINE
Alle mie Cassandre.
[1] Rielaborazione di Eneide, II, 354 e sgg.
[2] Rielaborazione di Agamennone, v. 1248.
[3] Da qui rielaborazione di Agamennone, 1050 e sgg.
[4] Rielaborazione di Ecuba vv. 59 e sgg.
[5] Rielaborazione di Troiane vv. 190 e sgg, 98 e sgg.
[6] Rielaborazione di Agamennone 1035-1038.
[7] Rielaborazione di Iliade, 249 e sgg.
Si ringrazia l'autore per aver voluto donare questo inedito alle 'Drammaturgie' di 'Visioni del tragico' (la prima Drammaturgia si trova qui). La terza immagine è tratta dal film La vita davanti a sé con Sophia Loren, nella quinta una foto di Antonella Morassutti in La telefonista di Dino Buzzati, quindi un'immagine dalla serie Il clan dei camorristi e l'ultima dal celebre La ragazza con la valigia con Claudia Cardinale.
Manlio Marinelli è nato a Borgomanero in provincia di Novara nel 1973 ma vive tra Torino e Palermo, dove ha lavorato dal 2001 ad oggi come drammaturgo residente con Teatro Libero-Stabile di innovazione della Sicilia, per il quale ha scritto molti testi (Alkestis, Attori in fuga, Una pietra sopra, Aiace\Sofocle, Non una di meno, regia di Lia Chiappara, La camera della sposa, regia di Elena Serra), ha curato l’adattamento drammaturgico di altri autori (Nella giungla della città di Bertolt Brecht) e ha partecipato alla realizzazione di vari laboratori, spettacoli, eventi culturali.
Ha pubblicato anche le monografie Per un teatro degli spazi (Theatrum Mundi edizioni, 2001) e Aristotele teorico dello spettacolo (Edizioni di Pagina, 2018) ed ha collaborato ad alcune testate palermitane e importanti riviste accademiche in cui ha pubblicato diversi saggi (Castello di Elsinore, Dioniso-Rivista dell’Isituto Nazionale del Dramma Antico, Maia, Culture Teatrali, Mimesis Journal).
Ha scritto Emilia, che ha vinto il premio Fersen e che è andata in scena come studio per il festival Tramedautore, al teatro out-off di Milano e in edizione definitiva per il festival Quintessenza, al teatro I Candelai di Palermo, sempre con la regia di Domenico Bravo.
Nel 2006 il suo testo Gemelli è stato segnalato da Manlio Santanelli, presidente della giuria del premio Forio.
Ha inoltre diretto il proprio testo La Maria Farrar che ha debuttato al Festival Il Sacro attraverso l’ordinario a Torino ed ha successivamente aperto la stagione 2011 del Teatro Baretti di Torino, ha scritto il libretto delle opere da camera per bambini Nel regno dei ragni, Jocò e la strega del tempo e Mamadou e la strega dell’acqua che sono andate in scena con le musiche di Marco Cordiano, per le rassegne 2010, 2012 e 2016 di opere per bambini Mythos. Ha scritto anche Il mare a cavallo, andato in scena in prima assoluta per il festival Torino Spiritualità con la regia di Luca Bollero e l’interpretazione di Antonella Delli Gatti (prod. Casa degli Alfieri-Teatro Contesto.) e tuttora in tournée in varie città italiane.
Due pièces (Emilia, Condannati alla colpa) sono pubblicate nei primi due volumi delle antologie Premio Fersen della casa editrice Editoria e Spettacolo.
Nel 2018 ha pubblicato con Editoria e Spettacolo il volume Teatro 1.
Dottore di ricerca in Discipline dello Spettacolo presso l’Università di Torino è allievo di Franco Perrelli.