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Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, le ultime pagine dell’instant book Insegnare (e vivere) ai tempi del corona virus, apparso per Nottetempo, che si può scaricare gratuitamente qui: https://www.edizioninottetempo.it/it/search?q=Bertoni&t=

Adesso che si moltiplicano i messaggi di compiacimento per la pronta reazione delle Università rispetto all’emergenza, ma si delineano anche preoccupanti progetti di estendere la didattica a distanza anche dopo la fase emergenziale, bisogna manifestare il proprio parere, non chiudersi negli organi istituzionali di discussione, aprire un dibattito vasto sul futuro prossimo dell’Università e del nostro ruolo in essa, interrogarsi in generale sull’Università e cosa debba essere e rappresentare. (S.F.)

Non c’era bisogno della teledidattica imposta dal virus: da tempo il vero cuore dell’università è il sistema informatico d’ateneo, la cui legge intrinseca è la stessa del capitale: crescita, aggiornamento, espansione illimitata.

Un tessuto neuronale acefalo che reclama masse crescenti di dati, cambia interfacce, sviluppa applicazioni e database, si arricchisce di nuove deleghe, funzioni e piattaforme, come se l’accumulo incessante di informazioni fosse il perfetto specchio virtuale dello scollamento tra l’arto e l’ordigno, tra l’attività frenetica che colma ogni interstizio del tempo quotidiano e quel progressivo divorzio dall’azione storica che è uno dei nomi della modernità.

Più che il terrorista nella piccola stanza, il criceto che gira vorticosamente sulla ruota. E in questi mesi stiamo scrivendo un’altra storia esemplare. Il fatto di essere stati cosí bravi, efficienti, responsabili, chiusi in una stanzetta per insegnare urbi et orbi attraverso la rete, non fa che annunciare al mondo di fuori: va bene cosí, si può lavorare alla grande in ciabatte, guardate come sono intelligenti le domande degli studenti in chat, e guardate anche come sono fotogenico, in fondo non c’è alcun bisogno di svegliarsi all’alba, prendere un treno, fare pericolosi assembramenti in quelle aule fatiscenti che una volta gli studenti perfino occupavano, tutta quella promiscuità, i corpi ammassati, non c’era proprio morale, contessa, e poi c’è già un nome simpatico pronto per tutti, o quasi: smart working. E dunque, che diavolo state aspettando?

Eppure cerchiamo di essere ottimisti. Il futuro lo vedremo, si spera. E intanto chiediamoci cosa fare ora, se è vero che fra mille anni, come scrive sempre DeLillo, “le persone apriranno i libri di storia e leggeranno in quali momenti sono state prese le decisioni e chi ha fatto la scelta giusta e chi no” (Libra (1988), Torino, Einaudi, 2002, p. 108). Magari non finiremo sui libri di storia ma possiamo ancora decidere, adesso, come vorremmo che fosse lo small world dell’università – cosí lo chiamava David Lodge in un esilarante best seller tradotto con il titolo Il professore va al congresso. E vediamo se riusciamo a non cadere del tutto nella rete, a tutti gli effetti, e in tutti i sensi. Dunque sette cose da fare subito:

  1. Parlare al conducente: non farsi inibire dalla retorica dell’emergenza e della patria in pericolo; dunque riflettere, chiedere conto, non dare per scontato.
  2. Coordinarsi con i colleghi della scuola per affrontare i problemi comuni, senza dimenticare le differenze strutturali ma con una visione unitaria di tutto il ciclo della formazione e dei principi basilari del nostro mestiere
  3. Imporre a ministri, rettori e organi di governo che qualunque trasformazione nell’assetto dell’università sia il risultato di scelte partecipate e condivise con tutta la comunità, senza quelle decisioni opache e verticistiche a cui purtroppo siamo abituati.
  1. Chiedere che l’università e tutta la pubblica amministrazione si dotino di piattaforme informatiche basate su software libero, pubblico, che escluda forme di profitto e garantisca la custodia attenta dei dati personali.
  2. Non inseguire gli indicatori statistici e dunque, per esempio, rassegnarsi a un’inevitabile fase di crisi. In un mondo che va piú o meno a rotoli, dove cancellano il Festival di Cannes e le Olimpiadi di Tokyo, possiamo accettare anche un calo percentuale delle immatricolazioni senza il riflesso compulsivo di essere performanti anche nel disastro, perché poi, sai, altrimenti l’ANVUR ci penalizza. (5bis. Nel caso, mandare l’ANVUR dove merita).[1]
  3. Pretendere che i ministri dell’Istruzione e dell’Università diano risposte certe, adesso, sull’intenzione di tornare in aula il prima possibile, considerando la didattica a distanza un’opzione emergenziale che non può risolvere i nostri problemi, dalla scarsità endemica di finanziamenti all’inadeguatezza delle strutture (edilizie, prima che informatiche). In queste settimane non sono mancati gli appelli e le lettere aperte, rimasti finora senza risposta31. Se questo non avverrà, dobbiamo essere pronti a bloccare tutto, con buona pace della nostra coscienza e della responsabilità verso gli studenti, anche solo per un periodo simbolico.
  4. E qui slittiamo in piena utopia: resistere con assoluta intransigenza ad ogni forzatura o speculazione per difendere un’idea di università (e di scuola) pubblica, aperta, generalista, bene comune ed essenziale, non solo luogo di trasmissione della conoscenza ma strumento imprescindibile di uguaglianza sociale, nella lettera e nello spirito della Costituzione (articolo 3). E se non riusciremo a fare fronte comune, perché gli interessi in campo sono troppo forti e le posizioni troppo eterogenee, ognuno potrà almeno resistere per sé, rifiutarsi di fare teledidattica piú o meno blended e dire a voce alta: not in my name.

   E con questo è tutto. Speriamo come sempre che queste riflessioni e previsioni siano smentite dai fatti, magari piú saggi e previdenti delle decisioni umane. Chiudiamo schermi e dispositivi. Good night, and good luck!

Federico Bertoni è professore ordinario di Critica letteraria e letterature comparate all’Università di Bologna https://www.unibo.it/sitoweb/federico.bertoni

Le fotografie: Analog und digital: Studenten an der Universität Leipzig di  Jens Gyarmaty, pubblicata con l’articolo Im Rausch der Online-Lehre di Mathias Fuchs sulla Frankfurter Allegmeine Zeitung dell’ 8 maggio 2020; Herausforderung Homeschooling © Bodo Schackow/​dpa pubblicata da Zeit-online, 12.5.2020, https://www.zeit.de/hamburg/2020-05/homeschooling-schueler-alltag-schulschliessung-kontaktsperre-coronavirus

 

[1] Per chi non sappia cos’è l’ANVUR, vedi www.anvur.it