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Ovvero: elogio della complessità, perché l’eccessiva semplicità ci complica la vita.

Ma distinguiamo innanzitutto ciò che è ‘semplice’ da ciò che lo è solo apparentemente.

La natura molto spesso maschera la complessità con un’apparente semplicità.

Un esempio: il nostro codice genetico. Sembra semplicissimo. Le istruzioni per costruire un essere umano si possono dare usando semplicemente le quattro lettere del codice genetico: A, T, C, G.

Ogni sequenza di tre lettere (detta tripletta) ‘codifica’, cioè impartisce l’ordine, nella sequenza proteica per uno specifico amminoacido. (Non è così semplice:  differenti triplette possono codificare per lo stesso aminoacido e esistono ben 64 permutazioni di triplette, molte più di quante ne occorrono per differenziare i venti amminoacidi. Non è semplice, ma la facciamo semplice.) 

Venti amminoacidi costituiscono i mattoni necessari a costruire tutte le proteine del nostro corpo.

La semplicità si tramuta in crescente complessità: quattro basi nucleari differenziano venti amminoacidi. I venti amminoacidi possono disporsi in sequenze diverse, per dare vita alle decine di migliaia di differenti proteine conosciute. Queste ultime possono aggregarsi tra di loro o con altre molecole, zuccheri, lipidi, elementi inorganici, per fornire milioni di combinazioni note. Un numero elevato di queste combinazioni può aggregarsi per formare una cellula che, aggregandosi a sua volta, forma un organismo.

Noi ci limiteremo a parlare di cellule: un livello di complessità già elevatissimo.

Con la sola esclusione dei virus, tutti gli altri microrganismi patogeni sono formati da singole cellule.

I protozoi hanno un’organizzazione simile a quella delle nostre cellule, e un esempio di loro patogeno è il Plasmodium falciparum che provoca la malaria. I funghi sono solo leggermente meno complessi, tra i loro patogeni pensiamo alla Candida albicans; infine i batteri, ancora un po’ meno complessi, e qui i patogeni sono infiniti: ricordiamo solo, a titolo di esempio, la Yersina pestis.

Per la quasi totalità di questi patogeni esistono farmaci, per alcuni anche vaccini, che ci consentono di eradicare l’infezione, per i virus quasi mai. Perché?

Perché tutti i patogeni cellulari hanno, come d’altronde gli esseri superiori, un complesso sistema di interazioni cellulari il cui equilibrio deve essere perfettamente mantenuto perché possano sopravvivere. È sufficiente che noi, attraverso l’azione di un farmaco, sconvolgiamo uno dei tanti processi essenziali ai quali soggiacciono per decretarne la morte. Alcuni farmaci indeboliscono la loro parete cellulare, che corrisponde al loro esoscheletro, altri impediscono che duplichino il loro materiale genetico e quindi ne bloccano la riproduzione, altri ancora fanno sì che non riescano a sintetizzare le loro proteine vitali, e così via. Ma un virus? Non gli accade niente di tutto ciò.

Il virus è troppo semplice.

 

Un virus è formato semplicemente da una molecola che ne determina il codice genetico, ricoperta di altre proteine che hanno due funzioni: proteggerlo, e convincere la cellula ospite a duplicare la singola particella virale, chiamata virione.

Quindi un virus, a differenza di una cellula, non nasce, non si alimenta, non cresce, non si riproduce e non muore. Non fa niente di tutto ciò che noi definiamo vita, perché non ne è capace.

E perciò niente molecole che possano interferire con i processi vitali sopra descritti, perché il virus non li ha! Quando un virione entra in una cellula si limita a disgregarsi. In un certo senso è come se si suicidasse squartandosi completamente. Poi le sue proteine convincono gli apparati cellulari, preposti alla sintesi delle componenti necessarie alla cellula, a fabbricare copie di tutto il materiale virale, tante copie: migliaia per cellula. Terminata questa fase, queste molecole si aggregano spontaneamente e formano tantissimi nuovi virioni che escono dalla cellula, di solito uccidendola, per andare a infettare altre cellule. Il processo è troppo semplice.

Come facciamo a interromperlo?

Pensiamo all’AIDS e all’epatite C. Nel primo caso questa sindrome è comparsa, o almeno ne siamo venuti a conoscenza, poco meno di mezzo secolo fa. L’agente etiologico è l’HIV, ed è molto più pericoloso del Covid 19. Fortunatamente si trasmette solo attraverso il sangue e non, come per il Covid 19, attraverso le goccioline di espettorato. Nonostante ciò ha causato milioni di morti. Ci sono voluti decenni, decine di migliaia di ricercatori e fiumi di denaro per trovare una cura, che comunque non consente di eradicare la malattia ma solo di tenerla sotto controllo.

E l’epatite C? Stesso destino. Anche in questo caso la malattia è stata scoperta pochi decenni or sono, l’agente etiologico, chiamato HCV, si trasmette con il sangue e sono stati necessari decenni, decine di migliaia di ricercatori e fiumi di denaro per trovare una cura, che per fortuna in questo caso consente l’eradicazione del virus in oltre il 95% dei pazienti.

In entrambi i casi il problema era trovare una molecola che agisse sulle poche molecole del virione, senza interferire con i processi vitali delle nostre cellule.

Ecco un altro problema. Le molecole del virione oltre che essere poche sono formate dagli stessi venti amminoacidi che costituiscono le nostre cellule. Quindi dobbiamo inventare dei farmaci che agiscano specificamente su quei pochi bersagli virali ma che non interferiscano con l’infinita quantità di strutture simili delle nostre cellule.

Purtroppo, esiste anche un ulteriore problema: i virus mutano in continuazione.

Cosa significa? Semplicemente che nella loro folle corsa alla duplicazione, pochi entrano in un organismo, ma dopo alcuni giorni molti miliardi di copie circolano al suo interno, commettono molti errori. Tanti virus, a causa di questi errori, non sono funzionali, ma tanti altri continuano a funzionare bene. Purtroppo, alcuni errori compaiono proprio nei punti di attacco dei farmaci, rendendoli inefficaci.

Questo fenomeno, noi lo chiamiamo resistenza. Quindi: antivirale trovato, selezione della resistenza indotta, ricerca di nuovi farmaci necessaria.

Sarebbe bello se i virus avessero una complessità tale da consentirci di individuare bersagli specifici per il loro funzionamento!

I virus ci dimostrano che proprio ciò che è semplice ci impedisce di raggiungere gli obiettivi più elevati.

 

 

Antonio Carta è professore di Chimica Farmaceutica e Direttore della Scuola di Specializzazione in Farmacia ospedaliera dell’Università di Sassari, specialista, tra l’altro, di farmaci anti-virali. Oltre alla sua attività scientifica di riconosciuto livello internazionale è scrittore di thriller a fondo scientifico. Il suo ultimo romanzo Il riverbero della setta oscura parla di un complotto internazionale che coinvolge uno scienziato, il professor Piras, ed ha inquietanti tratti di attualità. http://www.aracneeditrice.it/index.php/pubblicazione.html?item=9788854897144