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Premessa

Il Diario del virus, del tutto inedito, è un monologo  uscito dalla mia penna nel 2020, durante il lockdown governativo.

Nasce nei mesi degli inevitabili arresti domiciliari, allorché il presidente dell’Ateneo Veneto, una delle più gloriose Istituzioni culturali veneziane,  ha lanciato una call con cui chiedeva di raccontare la pandemia con un contributo personale. Essendo esperto di mostri, sia come drammaturgo performer, vedi le recenti raccolte di Cronache venete e Altre scene, dove calavo miti antichi nel Nord Est di oggi in piena crisi economica e culturale, che come studioso, (tra i miei ultimi studi, interventi su  J. R. Wilcock e i suoi freaks), ho creato quasi al volo un soliloquio grottesco.  Di solito, come ricordava Walter Benjamin, i  bambini giocano al lupo per vincerne la paura. Essere il lupo per non farsi mangiare dallo stesso. Io, appartenendo alla fascia anagrafica destinata secondo le previsioni scientifiche ad essere tra le prime a cadere sul campo,  ho provato a cavalcare il panico e ho scritto questo capriccio per esorcizzarla. L’ho pure recitato nel mio studio, in mezzo ai miei libri, filmandolo col telefonino. In attesa di poter uscire a cercare pubblico, curioso della reazione. A Bergamo avrei qualche perplessità a farlo per ora. Anche se coi Persiani Eschilo non esitava, solo otto anni dopo Salamina (dunque a pericolo scampato), a portare ad Atene il nemico e a far parlare persino il fantasma di Dario. Si tratta, nel mio caso, di un Diario di bordo, redatto proprio dal killer. Un selfie dal fronte, in cui parla appunto il  pluri-omicida. Nondimeno, il mio personaggio, né uomo né donna, né singolare né plurale, solo un’entità indistinta, in guerra coll’umanità, vorrebbe convincerla a fare i bagagli per uscire di scena. Il modello, si parva licet…, è quello leopardiano delle Operette Morali, o quello del settecentesco pamphlet parodico, firmato da Swift nel 1729, A modest proposal for preventing the children of poor people from being a burden to their parents or Country, and for making them beneficial to the Public.  Ovvero, il genere del paradosso, inteso nell’etimo del termine, una strategia pedagogica, a distribuire vera saggezza, disabituando l’umanità a continuare ad esistere a qualunque costo.  Scopre però che l’uomo, se anche vive male e si lamenta della vita, vi è attaccato come una cozza sulla roccia. Lo vuole convincere. E non capisce la sua goffa resistenza.  Questa, la singolare contraddizione. Stando in mezzo e dentro le sue vittime, esattamente alloggiando nei loro polmoni che chiama vasche d’albergo, distinguendo tra le varietà di stelle, ossia tra qualità diverse di corpi che lo ospitano, il Virus  impara però a conoscerle, e in fondo ad amarle. Perché le ha assimilate, fin quasi a identificarsi in loro, mentre all’inizio il suo atteggiamento è fatto di sarcasmo e disprezzo.  

Seguono, in questa raccolta, due copioni usciti oltre circa una vent’anni fa, se non più il primo dei due. Il fatto che entrambi i testi risultano apparentati al Diario del Virus da una medesima cifra luttuosa e dal trionfo di Chronos che distrugge ogni aspetto della vita, persone, rapporti, cose.   La forma stavolta non è quella monologante ma dialogica, anche se la comunicazione tra l’io e l’altro si caratterizza attraverso le tipiche modalità del Secolo breve quanto a difficoltà dialogica, ossia nell’alternanza tra due autismi, ognuno in attesa di riprendere il proprio discorso. La collina di Euridice, collocata nel morbido, giorgionesco paesaggio venete, affronta la scomparsa di una figlia, venuta a mancare all’improvviso distruggendo le ragioni di una coppia e sabotandone l’esistenza. Lo snodo grottesco,  non appena compare il compagno della morta che sostiene di essere visitato dal fantasma della ragazza. Privilegio che è concesso a lui, non ai genitori orbati. Ponte all’Angelo, ambientato in una  Venezia spettrale, singolarmente profetica della città vissuta in questi mesi recenti, vede al centro un anziano professore, visitato da un amico morto nel tempo della sua giovinezza. Costui rientra in modo casuale nel mondo del protagonista, ignaro della propria  condizione di lemure e sottoforma di un Angelo gaudente, deciso a recarsi a Roma al giubileo. Il contatto cogli assenti si fa tragicomico, e utilizza un ritmo da vaudeville a riempire una solitudine metafisica, quasi una quarantena, imposta non da un virus ma da un’incapacità a vivere. 

 

 La collina di Euridice   (finale)

Sogno di Piero. Lo studio di Padova che si affaccia sul Prato della Valle, pieno di sole. Lui è al tecnigrafo come un tempo, Carla è seduta vicino e lavora ad un golf. Paolo e Giudi sono alla finestra, dando  le spalle alla scena. Guardano verso la piazza. Dalla porta aperta, si sente lo scroscio di una doccia.

 

PIERO

La senti che si sta lavando? Non dici niente? No, non ti muovi?

Non corri a portarle la biancheria pulita? E' tornata, lo capisci sì o no? Tornata. E' tornato il pirolo. E' stato solo uno strano incubo. Anzi, devo confessarti che ogni tanto mi sognavo che. Se andava al mare, o in bicicletta, o in aereo, ero sempre convinto che prima o poi il telefono squillava da un qualche ospedale, e teche impazzivi. Poi, quando è successo. Guardatela la Carla, guardatela che sta calma e non si muove, e non corre a controllare se sotto la doccia c'è o non c'è. Ma la Carla non è impazzita per niente. Non è impazzito nessuno, quando è successo. Questo è il male. Ci siamo solo chiusi ancora di più. Io, in cambio, mi son sen tito quasi sollevato perché non avevo più da temere niente. E un po' in colpa anche. Ma Carla, perché non ti muovi? Non posso mi ca andarci io in bagno, se magari il pirolo è senza niente addos so, come faccio? Sono tanti anni che non la vedo nuda, il pirolo.

Non mi pare che adesso sia. Ma se non lo fai te, tocca a me. Ah, io non ho inibizioni, sai, cosa credi Carla! Lo faccio. Ma ti prego,una volta, almeno una volta nella nostra vita, contentami. Va a, va tu a vedere. Paolo, Paolo mio perché non la convinci ad alzarsi, a lasciare quella lana schifosa. Così magari avrà terminato il golf e non saprà se sua figlia. E chi è quella ragazza orribile vicino a te, Paolo? Cosa ci fai vicino a quel cesso? No, non è brutta, ma vuoi mettere col pirolo? Non ti parlo come un padre adesso, ma come un uomo. Dove la trovi una che parla con tanta responsabilità, che non balbetta mai, che pensa sempre tanto. Così seria. Io sono tanto, tanto fiero di lei. Oddio, Dio, Dio, ma allora il pirolo ha un futuro, o no? Io non pongo limiti alle sue possibilità. La laurea in lettere non è che sia, non è che sia, non è che sia il, il meglio oggi, ma il mio pirolo non si ferma qua, non si ferma qua, te lo dico io. E te non metterti in testa l'idea che non deve lavorare. A Bruxelles, a Bruxelles, una bella carriera diplomatica, ecco. Potrai sempre andarla a trovare nei week end, Paolo, non preoccuparti. Carla, ma l'acqua continua a scorrere. Fa un piacere, fammi un piacere, ti prego, per una volta soltanto, unpiacere, dopo ti giuro che non ti chiedo più niente, ma va a chiudere.

Può essere che si senta male. Il pirolo può prendere freddo, sotto tutta quell'acqua. Lo farei io, ma non posso. Sono un uomo. E tra donne, vi sarà più facile, no? Carla, non vedi che sto lavorando come sempre? Se faccio l'infarto, dopo voglio proprio vedere cosa fate. Insomma, devo proprio vedere nuda il mio pirolo? E così Paolo, adesso cosa farai? Glielo dici, glielo dici tu, sissignore, glielo dici tu, o devo farlo io, che mentre il pirolo era, era, era, te subito ti sei messo con quella là, sì con quel puttanone, ecco lo dico a bassa voce, ma insomma chi glielo dice? La Carla per caso? Se lo facciamo noi, è peggio, ti assicuro che è peggio. Pirolooooooo, scusa sai, ma se non chiudi l'acqua, il vapore vien fuori e mi sciupa tutti i fogli. Io devo lavorare, lavorare.

Per mantenervi tutti. Io non accetto regali da nessuno, è obbligo mio. Finché Paolo almeno non apre il suo studio di procuratore. Paolo, cosa fai là in fondo? Voltati. Ti perdono, ma sì ti perdono, anche per quella serata ridicola. Ora glielo racconto al pirolo appena esce, voglio proprio dirglielo, che ci mancavano le candele.

Ma perché Paolo non ti metti in canottiera e corri là dentro? Ma figurati se mi imbarazzo. Tu sei così bello, sì, non c'è niente di male ad ammetterlo. Sei un bel ragazzo, ricco e dolce, il figlio che avrei voluto. Quei macchinoni, e il circolo del golf, e quei parenti sempre eleganti. Io sarei un po' di sinistra, ma che male c'è? Io sogno, io sogno delle gran belle domeniche piene di sole, e voi che venite a trovarci coi piccoli, e la Carla prepara l'arrosto, il maiale colle mele. Signorina, sì, dico a lei, cosa aspetta a ritirarsi, via, via, se ne può andare adesso, il mio pirolo è tornato, e per lei non c'è più posto qua. Lo capisce anche lei. I genitori di Paolo non sono stati molto gentili, dopo, dopo l'incidente. Ma se venivano in visita, cosa potevo dirci? Magari piangere? Per carità. Signorina, dico a lei. Lo capisce vero che qua non ha più niente da. E va bene, le pago io il viaggio in Messico, non si senta emarginata, ma davvero a questo punto, no? Ora che ho riaperto lo studio, ho spolverato bene i mobili, i soldi verranno giù come una volta, e la Carla me li spenderà tutti che è unagioia vederla. Ma Carla, cosa devo fare perché tu ti decidi a?

Non senti l'acqua della doccia? Fa, fa qualcosa per chiuderla!

Chissà come sarà il pirolo, dopo due anni? Più piccola, vero, e magra, più magra ancora? E più seria. E più silenziosa. Piroloooooo. Pirolooooooooooo, come sei diventata adesso? Mi puoi rispondere? Era brutto vero star sotto le colline di Teolo, colla pioggia? Ma io e tua madre venivamo tutti i giorni, cosa credi? Più di così? No, insieme no. Mai insieme. Non sopportavo che mi vedesse se mi veniva da piangere. Ma adesso tutto è diverso. No?

E sei sempre così seria? Però, quando esci, ti voglio guardare bene in faccia, non ho mica paura io, l'altra volta non potevo,era più forte di me, facevo grandi sforzi per non cadere a terra, comunque dicevo voglio guardarti bene bene in faccia e chiederti cos'era, mi viene da ridere, mi viene anche da ridere, cos'è sta storia di andare da lui e non da noi? Eh, pirolo, mi vuoi rispondere? Lo sai poi che il signorino non verrà più qua? Basta, non ne vuol più sapere di noi, di te. Prima ci ha fatto quasi morire con una cerimonia mostruosa. Prima non ci lasciava mai in pace, e ora. Ora il signorino non ti pensa più. E te andavi solo da lui.

Mi sa, Carla, che il pirolo vuol cedere, ma sì, che vuol entrare qua dentro e dire a Paolo che è contenta se sposa quella zoccola là che non vuole andarsene. Perché non fai qualcosa? Perché non difendi tua figlia? Felice se sta solo con noi? Che discorsi?

Certo che ho piacere, ma deve tornare tutto come prima, e poi basta coll'orrore dei nostri silenzi, te col televisore e io in camera che mi giro sul letto, coll'affare piccolo piccolo, come un vecchio pronto per l'ospedale. In camera con tutti i miei odori, per le verdure che mi fai mangiare. Odore di cadavere futuro.

Invece voglio tornare a dormire con mia moglie, pirolo, hai capito, così un po' mi controllo e torno civile. Una persona educata come una volta. Voglio tornare ad averlo grosso e lungo come da ragazzo. Parlo piano, sì, sì, se no il pirolo ci sente, parlo piano va bene ma l'importante, ora che è tornata, è che noi si ricominci. Io son di nuovo giovane, o no? Ma nelle stanze di quella casa in collina, coi muri sporchi, ma come abbiamo potuto rinchiuderci là? Dimmelo,ti prego, spiegami un po' come abbiamo potuto. Non c'era nessun motivo! Cosa? Cosa dici? Ma se il pirolo si sta facendo la sua bella doccia. E fra poco andrò a controllare se si è lavata anche le orecchie. Le ho insegnato a lavarsi tutti i buchetti.

Come? Cosa dice, mia cara? Oh, per me, se proprio ci tiene. Può fermarsi a pranzo con noi quattro. Sa, siamo in famiglia e festeggiamo il fidanzamento e lo sa che Paolo ha deciso di rinunciare alla macchina? Sì, via brutte macchine costose e mortali! Così, per non farci stare col cuore in gola ogni volta. Può restare, può restare, se Paolo e il pirolo sono d'accordo. Le mostro questa foto qua, del pirolo e del "moroso" in montagna. Non sono belli? Li vede bene? Perché non viene qua che le mostro. Nel cassetto, le conservo tutte. Lei non si è mai laureata, ma mia figlia sì. Ce n'è di belle, alla sua laurea. Le ho scattate io. Quanto futuro splendeva quella mattina attorno al pirolo. Carlaaa, Carlaaa puoi andare di là ad accendere il fuoco? Basta con quel golf, pensa alla tua fama, ai tuoi famosi pranzetti. Ecco, e già che ci sei, passa vicino al bagno e chiedi a nostra figlia se accetta che quella signorina si fermi a pranzo con noi, ma dille di farsi più furba e che la smetta di dar ragione a tutti. Io sono un po' stanco. Paolo, come va col lavoro? Io non so fino a quando potrò reggere.

Verrà un giorno che tu ci manterrai, eh? Verrà quel giorno? Sarebbe delizioso da parte tua. Vedi io sono un po' un fallito. Non ho combinato niente d'importante, ho pensato solo alla mia famiglia, e non agli altri come quel peperino là dentro continua a rimproverarmi. Ho fatto bene, vero? Vedi che anche tu mi dai ragione. Certo però, lascerò il mondo come l'ho trovato. Se tutti facessero come me, se tutti pensassero al loro lavoro e ai soldi, cosa succede? Boh, sai che non lo so. Io ho lavorato, lavorato, disegnato, disegnato, visto cantieri, case, e, e, intanto la mia vita scivolava via. Bello questo scivolava via, Carla? Ti piace questo scivolava via? Lo uso spesso, mi pare. L'ho già usato altre volte. No, non sto facendo il brillante. Niente brillante. La corte a quella ganza? Ma se faccio di tutto perché il pirolo quando si deciderà a entrar dentro ad asciugarsi col phon non la veda. Deve andarsene, ti dico, se no rovina tutto, e il pirolo cede e rinuncia

e resta al palo. Vuoi perdere Paolo per caso, Carla? Dimmi solo questo. Vuoi perdere Paolo? Ehi, Paolo, scusa un momento. Puoi lasciare la compagnia della signorina che non ci hai ancora presentato, e risponderci in tutta sincerità se preferisci lei, qua, viva e presente, al pirolo di là sotto la doccia. Certo, il pirolo è magro, e pare un ragazzino coi capelli corti, e non ha sul petto quelle protesi là, ma i lineamenti al mio pirolo glieli hai visti bene?

Sono perfetti o no? Va, va subito in bagno e osservali. Fammi questo piacere, visto che nessuno qua mi bada, prova ad osservarle bene bene il nasetto, per esempio. Eh, ho ragione o no? Mi dici che il pirolo parla solo dei poveri e della mafia, e della gente minacciata, e io allora, io, cosa ho patito in questi due anni, o sono di più? Ma lo sai che la notte non dormo mai, e la sogno sempre, e non prendo potacci come questa povera vecchia che si droga, sì si droga perché non regge al dolore. Ma io, ma io non voglio cedere e continuo a pensare colla mia testa, però altri giorni così non li auguro a nessuno. Se sapessi le mie giornate, Paolo, e quello che ero un tempo. Un tempo mi funzionava tutto, sta pur sicuro, tutto. Non ho i tuoi muscoli, ovvio, ma mi funzionava tutto lo stesso. Carla, sento l'acqua che scende meno forte. Che succede? Va a vedere se il pirolo ha gli asciugamani puliti. Si sta asciugando, si sta asciugando e come può se gli asciugamani non sono puliti? Fa' un piacere, Dio mio, cosa ti costa? Se dopo si ammala, non pensi alle conseguenze. Vuoi per caso che ancora? Insomma Paolo, qua mi dicono tutti delle tue visioni, e che hai il privilegio di parlarle e di comunicare con lei, col mio pirolo, tu solo. Intanto venircelo a dire, non è stato bello, o elegante, scusa, ma te lo volevo dire da un pezzo. Dunque, hai proprio deciso di non pensarci più al mio pirolo? Per te è co me se fosse ? Invece, adesso che il pirolo è di là, adesso che il pirolo è di là,quando il pirolo verrà qua dentro, io sollevo la matita, bella vero? ne ho più di cento colla punta così, e chiederò al pirolo di smentirti. Se è vero che veniva da te. Ma non voglio questioni, cosa credi? , solo una gran festa sarà, e durante i brindisi, io chiederò scherzando al pirolo di interrompere i suoi sorrisi severi e di spiegarci tutti questi misteri. Però tu adesso accompagna fuori la signorina, e alza il tuo volto bene bene in direzione della porta perché la doccia si è fermata, e il pirolo sta per.

Ma Carla, cosa succede? C'è questo brutto silenzio all'improvviso. Il pirolo si veste in fretta di solito, è come me, non come te, non ci bada ai vestiti, troppo intelligente. La doccia si è fermata, o sono io che non la sento più? C'è qualcuno che può dirmi cosa esattamente succede? Ma io non ho nessuna intenzione di tornare in collina col freddo e le foglie che cadono sul tetto. Quella casa non ha più sole, non so perché, ma c'è sempre buio e buio. E si mangia così male. La Carla diventa brutta e ostile là dentro, non è più gentile con me, e nemmeno io con lei, e poi tu Paolo vieni a tormentarci, a confonderci, non sei più rispettoso come una volta. Sì, ho sbagliato a comprare la casa in collina. Hai ragione, va bene, va bene Carla, hai ragione. La zona doveva avere un certo sviluppo che poi non c'è stato. La cambieremo. Andremo tutti a Cortina, vuoi? Carlaaaa! Ascolta! Forse, hanno solo baruffato da bravi sposini, e tocca a noi farci fare la pace. Le cose stanno così, no? Il pirolo per qualche sua ragione si sarà risentita, e adesso non vuol uscire dal bagno. Ma il pirolo non si arrabbiava mai con nessuno. E' questo che non quadra. Però, te lo confesso, Paolo, se vieni di nuovo, è molto meglio, molto, molto meglio, perché così il pirolo è come se.

Pirolooooo, almeno te potresti rispondere. Sai che la nostra vita, la mia vita è cambiata tutta quando sei nata? Lo sai vero che ci hai cambiati, che mi hai cambiato, e anche quando sei, quando sei, ci, mi hai sempre condizionato. Lo sai vero che per te ho fatto tante rinunce, anche sul piano personale. C'era una donna.

Ma, niente, Carla, cosa pensi. Guardala come alza la testa! Non è successo niente, Carla. Non merito almeno questo? Carla, Carla,Carlaaaaaaaaaa, ma perché la doccia s'è fermata? Devo, devo saperlo. In ogni caso a Teolo, in quelle colline fradice, non ci tor no più. Non sento più rumori. Non posso andarci io di là, lo capisci anche tu. Ma se non c'è il pirolo, allora, allora, io parlo parloma faccio fatica a non pensarci a quella roba. Pirolo, ti prego, se sei tu, vieni fuori. Carla, Carla, mi pare che l'acqua stia di nuovo.

Io credo che così non si può andare avanti. Non si può.

Ponte dell'Accademia a Venezia

 

Ponte all’Angelo (Finale)

 

TRASFIGURAZIONE

 

Sommità del Ponte dell’Accademia. Come all’inizio. Stavolta, però, è notte. In più, nebbia che filtra la luce opaca di un lampione. Lui, lo sguardo ormai folle, porta attaccate sulle spalle le ali sanguinanti di Enrico, e tiene in grembo il ragazzo pallido e rantolante, come in una eccentrica Deposizione. Passano sagome di comparse che ignorano la strana coppia. Verso la fine Lui si butterà giù, in acqua, tenendosi abbracciato Enrico.

 

LUI:    Anch’io, anch’io. Sono come te ora. proprio come te. E posso volar via allora. Volar via. Tanto non ho nessuno da salutare. Non i miei studenti, non il direttore dell’archivio, non la mia compagna. Non lascio rimpianti. Non ho rimpianti. Via, via con te, per sempre.

ENRICO: Guardi piuttosto se c’è questa signora. Guardi questo piuttosto, per favore. Le avevo detto ai piedi del Ponte. Guardi in giù, professore. Forse è ancora là. Ho freddo, tanto freddo. Cerchi di non gridare, per favore. Potrebbero sentirci. Non mi piace far aspettare le signore.

LUI:    Ho sempre sognato di uscire così dalla vita. A Natale, e volar via, e avere qualcuno che mi accompagna. Sei venuto qua per me, vero? Hai fatto tutto tu, sapevi tutto fin dall’inizio vero? Sei il mio destino, allora, il mio dolce, inesorabile destino.

ENRICO: Non so niente io. Ma, scusi se insisto. Può guardare in giù, dove c’è quel gruppo. Forse lei sta là, in mezzo a quella gente.

LUI:    Pensi ancora alla tua americanina? Invece di spiegarmi come devo fare con quest’affare alle spalle. Come devo usarle? Come funzionano? E io vorrei portarti con me. Sempre con me. Ma come devo fare? Dove dobbiamo andare, allora?

ENRICO: Abbassi la voce, perché ho mal di testa e tremo tutto. Sono debole. Si è accorto almeno che sono debole?

LUI:    Tutte quelle parolacce. Tutte quelle volgarità. E poi eccoci qua. Io con te. Perché mi dai del lei, adesso? Questo vorrei capire. Solo questo.

ENRICO: Non ci vedo nemmeno. Non ci vedo più. Faccia qualcosa per favore. La mia bella americana. Sta ancora aspettando per caso?

LUI:    Io comincio ad alzarle su e giù e vediamo cosa succede. Se tu non mi vuoi spiegare niente, faccio da me. Si alzano e si abbassano questi affari e poi cosa succede? Ma ti porto con me, caro mio. Non ti lascio mica adesso. Con te mi sembra di stare a casa, in fondo. Avere qualcuno, qualcuno. E’ possibile avere qualcuno da servire, di là? Prova a dirmi almeno questo. Tu che sei il mio custode, il mio angelo custode, no?

ENRICO: E’ tutto buio intorno, o sono io? Eh, è tutto buio adesso. Non si vede niente? Può dirmi l’ora esatta, professore.

LUI:    E dagliela col professore. E tutte queste gentilezze! Sei diventato gentile tutt’a un tratto. E’ strano. Ora sembri un ragazzo proprio educato. Un piccolo gentiluomo. Ora sembri proprio mio figlio. Lo sai questo, eh, eh, eh?

ENRICO: Non capisco dove sono, chi sono, con chi sono. Può aiutarmi a, a, a.

LUI:    Potrebbe essere il tempo dei turchi. Delle stragi di Cipro. Se è per questo. Fra poco sentiremo sotto il ponte il grido del povero Bragadin, di Marcantonio scuoiato, sììììììì. Se ce la fai ad alzarti, altro che americana, vedrai sotto il ponte passare la galea turca colla pelle di Marcantonio piena di paglia, e le campane della Salute che invadono l’aria. Noi voleremo tra poco, vero, in alto, in alto, verso le nuvole, come in un quadro del Tintoretto. Su da bravo, ecco così, ancora un piccolo sforzo, montiamo sul ponte e poi si volaaaaaa.

ENRICO: Per favoreeeeeee, può chiamare qualcunoooooo. Non ce la faccio più. Ho la schiena che bruciaaaaaa. Ho buchi sulla schiena, vero?

LUI:    La mia schiena, invece, trionfa. La schiena diventata la parte più gloriosa di me. Come dire, la schiena in erezione, eh, eh, sempre in erezione. E niente buchi. Ma che paura hai, creatura del cielo? Se già una volta sei, se già una volta sei. Non capisco proprio questa paura. Perché poi dovresti avere paura? Ci sono qua io. E non ti ricordi, tua moglie, i tuoi amici che vegliavano su di te, tanti anni fa? Quando hai chiuso gli occhi in ospedale. Tua moglie e i tuoi amici della montagna, e quelli dei cortei politici, e quelli dello studio di architettura. Vedi, ragazzo mio, ti sto cullando, e così ti addormenti. Non devi aver paura. Come te lo devo dire? Se vengono i turchi, coi loro pali appuntiti, per farci violenza, basterà un gesto della mano, o del braccio e allora via radente ai tetti, una piccola spinta ulteriore colle spalle, e via un altro balzo, su su su verso le stelle! Che senso ha aver paura! Siamo in due, no. E allora, perché questo pallore? Dai, ancora un piccolo sforzo.

ENRICO: Ma dove sono? Lei chi è? Cosa vuole da me? Quando verrebbero i turchi? Che turchiiiiiiiiiii.

LUI:    O caro! Ma allora non ricordi proprio niente? L’operazione che hai voluto a tutti i costi, per colpa di questa americana, che manco t’ha aspettato. Te lo dicevo io. Basta adesso. Basta parlare che diventi ancora più pallido e sciupato. Ti voglio sano per il volo, io. Dai, che ti alzi, adesso ci alziamo, no? Adesso cominciamo a sollevarci. Pensa intensamente alle cose belle che potrai fare lassù, alle nuove ali stupende e rosa che ti metteranno una volta che arriviamo in porto. Dai su, non fare il pelandrone. Dai, caro, su su. Allora? Che succede? Si può sapere perché? Non vuoi più?

Un balcne durante il primo lockdown

 

 

Dal Diario del Virus

Ma sapete cosa vi dico a questo punto? Che l’avete voluto voi. Sì, cari miei. Ieri sera ho visto spuntar facce dai balconi con un’espressione assurda di speranza, e tutto perché qualche cretino nelle notizie di turno ha accennato, com’è? com’era? Ah sì, accennavano a curve di decrescita nella crescita e parlavano difficile, citavano un certo signor Ossimoro, che io confesso l’ignoranza non so dove abita costui. Non mi è piaciuta per niente questa storia. Sissignori, mi sono incazzato/a/i/e. Scambiano una mia pausa di riflessione per la mia imminente messa fuori gioco. Ma come si permettono dico io, come si permettono? Così sto pensando di puntare tra qualche giorno, non subito, non subito,  calmaaaa, nessuna fretta. Fra qualche giorno, dunque, punterò dritto alle banche e alla distribuzione di viveri. Trasformerò le agenzie e i negozi delle grandi rivendite in nursery delle mie creature. Tante belle coroncine tonde tonde, coi ciuffetti, i peletti come appaiono nei vostri cannocchiali.  Sììììì, sarà bellissimo. Quando i vostri sudati risparmi, poverini che pena, diverranno carta da giocarci al monopoli, si chiama così vero?, e non potrete attingere più se non ai gioielli. E chi non ce li ha? O all’argenteria di casa. E poi quando soprattutto troverete sbarrata la portiera mobile del vostro mercatone all’angolo, e vi spingerete oltre, nonostante divieti e coprifuoco. Perché fra poco vi sparano, lo avete capito che i vostri governanti vi hanno or-di-na-to, non consigliato di rimanere  sul divano col telecomando che vi fa male al polso a furia di premere sui tasti? Vedo già le scene, che mi faranno tornare alla mente i bei momenti vissuti qualche tempo fa, col grattacielo in fumo al di là della grande acqua. Anzi due erano, che pareva un cartone animato, e il volo d’angelo, ma in giù, dai piani più alti, di quelli che non ce la facevano più. E magari li trovavano sul cemento, le mani intrecciate ma di corpi diversi, catapultati giù assieme, come fosse nelle piscine. Ah che gusto ci ho. Anche voi, carini, fra qualche giorno. Voglio vedere i più nervosi, quelli che non reggono alla tensione, quelli che danno inizio alle danze. Guardando col naso schiacciato sul vetro, una delle vostre ragazze, la più inquieta e curiosa, griderà tanto per aumentare il panico: “Mammaaaaa, vieni qua. Guarda quel matto! Ma che fa! Oddio, mammaaaaa, ma si butta, mamma, mamma guarda?”. E sarà solo questione di qualche giorno, perché anche la vostra mammina, colle smorfie dettate dalle circostanze, l’occhio tutto bello dilatato e senza più rimmel,  stringendosi in seno il più piccolo che pure scalcia, tuffete, ohe che  stile! Quello là secondo me è un triplo salto mortale, eh, eh,  e mezzo indietro raggruppato, si dice così? Che il linguaggio sportivo non è mai stato il mio forte. Il bello è quando nelle vostre scatolette qualche guitto se ne viene fuori e ripete “Andrà tutto bene! Andrà tutto bene”. Ma certoooo, sicuro. Come no! E invece hanno ragione quelli tra voi che hanno gli occhi stanchi, la pressione alta, che faticano ad alzarsi dal letto, i depressi. Sono loro, ragazzi, che hanno capito tutto. Loro, sì.

 

Il momento più divertente, credetemi, è la sera quando vi riunite davanti alle scatolette che mandano luce, il piccolo schermo che sembra l’altare dove pregate sempre più spesso da qualche giorno, eh, eh. Vi comunicano infatti i numeri in modo così serio che mi metto subito a sghignazzare. Voi ve ne state in silenzio religioso, la mammina col mestolo in alto, e il piatto fumante nell’altra mano, i bambini che non capiscono la ragione di quel rallentamento, il pappino colle rughe sulla fronte che zittisce i pargoli. Sembrate davvero come nelle case col soffitto alto che chiamate chiese. E vi trasmettono pure le curve colla proiezione. E gongolate, ma che cretini, se l’aumento in qualche città rallenta. A me piace cambiare, ragazzi, tutto qua. Il fatto è che mi stanco presto a starmene nello stesso posto. Nessuna logica, nessun ordine. Per carità. Ci mancherebbe altro. E poi, state diventando all’improvviso più buoni. Non vi odiate più. Uniti contro di me. Che bello! Che eccitante. Fate fate. Prego. Fate pure. Accomodatevi. Nessun problema per me. Tranquilli. Una cosa mi sorprende molto. Devo dirvelo. Il vostro cattivo rapporto col tempo. Non sapete vederlo nel suo insieme, il tempo. Mi spiego. E’ solo questione di attesa. Anche se qualcuno di voi la fa franca, al momento, perché decido di lasciarlo, perché fingo di cedere ad una pulizia più sistematica nella sua abitazione, o a una mascherina meglio fissata sul muso, questo chiamiamolo pure scampato alla mia strage tra qualche anno dovrà sempre andarsene coi suoi stracci. Cosa cambia tra adesso o fra dieci anni? Eh? Eh? Un’alternativa a me che avrebbe senso sarebbe solo l’eternità. Che non esiste! O no? Chiaro?  Si parteeee, ragazzi! Tutti a bordo!

 

Un breve estratto del Diario del virus è apparso nella rivista bolognese «Culture teatrali», 29, 2020, pp. 45-47, col titolo  Un’inquieta coroncina. 

La collina di Euridice, vincitrice del premio Pirandello 1997, poi allestita il medesimo anno dallo Stabile Veneto nel 1998, è uscita in volume assieme a Alida volontaria, Oedipus, Salerno 1998.

Ponte all’Angelo è uscito nel volume Angeli ed acque. Cinque commedie veneziane, Introduzione di Nico Garrone, Corbo Fiore, Venezia 2003.

Le immagini sono tutte tratte dal web.