"Noi non vogliamo perdere ciò che è nostro", ha dichiarato al parlamento inglese il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Che si possano trovare ragioni analoghe nelle parole del Creonte di Sofocle?
Solo un dubbio, che ci viene in mente anche leggendo le note di regia di Giovanna Cordova a Antigone. Una storia di famiglia in scena il 16 marzo 2022 al teatro Mario Del Monaco di Treviso (vedi qui), e che presenteremo insieme a 'Classici contro' (vedi qui). Ringraziamo la regista per averne permesso la pubblicazione sul nostro blog.
Nella scrittura drammaturgica che si propone il punto di partenza è il legame di sangue che lega tutti i personaggi della tragedia: Antigone è figlia di Edipo e di Giocasta, è sorella di Polinice ed Eteocle, è nipote di Creonte a sua volta fratello di Giocasta.
Quella che si racconta è la storia di un conflitto in cui non si può agire senza essere, in un modo o nell'altro, colpevoli ed innocenti nello stesso tempo. È affidato al “Coro degli Dei”, in apertura di spettacolo, sottolineare come la storia di Antigone “arrivi da lontano”, dalla maledizione che pesa su di lei e su tutta la sua famiglia: lo stupro di Crisippo da parte di Laio, che ha portato alla fine ingloriosa di Edipo e al suo esilio da Tebe assieme alle figlie. La conoscenza del “prima” rispetto agli eventi narrati nello spettacolo è un prologo imprescindibile per comprendere appieno la storia di Antigone e il suo tragico epilogo.
Questo filo conduttore influenza tutta la scrittura del testo e viene più volte sottolineato dai personaggi, ma non solo: il registro narrativo prescelto si distacca da qualsivoglia tono epico e celebrativo adottando una sorta di “lessico familiare” in grado di meglio esprimere il legame che lega e condanna tutti i protagonisti della tragedia.
La scrittura drammaturgica ripropone la sequenza degli episodi così come si trovano nel modello sofocleo, sarà un giovane cantore, con le note della sua arpa a dare inizio allo spettacolo.
L’IMMAGINE ICONICA DI ANTIGONE
In una scena totalmente spoglia unico elemento è la scultura in bronzo, di un rinoceronte che sin dall’inizio porterà su di sé il “segno di Antigone” quel filo della memoria che lega tutti i personaggi della tragedia.
Perché il rinoceronte? Il rinoceronte, è uno dei pochi animali che ha mantenuto sostanzialmente identiche le caratteristiche fisiche preistoriche, è simbolo di una temporalità ancestrale, testimonianza di quello che attraverso i secoli persiste e si perpetua nel presente.
Il pulcherrimum mostrum, nella sua bestiale eleganza è presente in scena nell’opera in bronzo fuso a cera persa, dell’artista veneziana Gigi Bon.
ANTIGONE E CREONTE
“Quanto sono disposta a perdere?”
La figura di Creonte viene interpretata, per la prima volta, da una donna che si trova per scelta (o necessità) a svolgere un ruolo maschile dove l’appartenenza di genere è del tutto indifferente, dove la ragion di stato supera e travalica qualsiasi riferimento alla sua femminilità. Quello che si racconta è un Creonte contemporaneo, una figura che si distacca da qualsivoglia tono epico e celebrativo e che si palesa nella sua struggente e profonda umanità dove il maschile e il femminile si legano e si confondono in modo inscindibile. Tutte le donne che (nel passato come nel presente) si trovano a ricoprire delle “funzioni maschili” prima o poi si pongono una domanda: “quanto sono disposta a perdere?” Questo è l’unico momento nel quale Creonte parla di sé al femminile. La risposta è: “tutto” poiché considera il bene della sua città superiore a qualsiasi altro valore. Una volta presa questa decisione continuerà ad agire e rapportarsi con i personaggi della tragedia, come farebbe un uomo, o meglio come gli è richiesto dal ruolo che ricopre. Anch’egli è imbrigliato dai “fili della memoria” che attanagliano tutti i personaggi della tragedia e che lo condannano, come successe prima di lui ad Edipo, a subire la “punizione del giusto”
“Non sono nata per condividere l’odio ma l’amore”
Antigone si presenta come una giovane fanciulla immersa in un’assoluta “naturalità”, priva di qualsiasi sovrastruttura intellettualistica. Esordisce in scena con il racconto di “quella passeggiata” fatta all’alba per dare sepoltura al fratello Polinice di cui però non parla, ma preponderante è la descrizione del suo rapporto di medesimezza con una natura incontaminata di cui si sente parte e che le dà la forza per affermare la preminenza di un legame di sangue che travalica le leggi degli uomini. Profondamente vera, come può esserlo un’interprete di vent’anni, in lei non vi è nulla di didascalico o dimostrativo e la grandezza morale del suo gesto è presente senza mai essere “esibita”.
DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA: IL MESSAGGERO E IL CORO DEGLI DEI
Il segno della contemporaneità
Il personaggio del messaggero, che nella versione classica racconta la fine di Antigone ed Emone, introduce, in questo spettacolo, un elemento di contemporaneità: un’interpretazione della vicenda scevra da riferimenti al fato o alla volontà divina, ma riconducibile alla libera scelta di ognuno dei personaggi. L’uomo del duemila è libero in quanto ha la possibilità di autodeterminarsi. Questo modo contemporaneo di leggere il senso dell’azione umana sta nel considerare le conseguenze della stessa come frutto di una scelta personale scevra da qualsiasi elemento deterministico. Questa la soluzione proposta dal “messaggero del 2000”, diametralmente opposta a quella del “Coro degli dei” che si affidano alla legge del fato a cui nessuno può sottrarsi: due facce della stessa medaglia.
“Tutto è stato fatto così come predetto”
il “Coro degli Dei”, è un personaggio terzo rispetto all’azione, portatore di quel disegno divino che sovrasta l’umano. Ad amplificare questa posizione anche iconograficamente si distacca dal resto dei personaggi e si presenta con sontuose vesti di damasco rosso ed il viso semi coperto da maschere di perle. Sempre presente in scena, il coro degli Dei interagisce con i personaggi, senza dimostrare alcuna empatia nei loro confronti: con assoluto distacco accoglie Antigone nella sua prima entrata in scena, e con la stessa spietata freddezza consiglia a Creonte di “entrare nella caverna” al solo fine di farlo assistere al suicidio del figlio.
CHI DI NOI ANDRÀ VERSO MIGLIOR DESTINO È IGNOTO A TUTTI, TRANNE CHE AL DIO
Il coro delle donne nel corso di tutto lo spettacolo muove pesanti fasce (25 metri) di lana grezza che ognuna delle coreute ha legate al corpo. Quelle fasce sempre in movimento anche se, a volte, in modo quasi impercettibile, simboleggiano il legame che unisce, interseca, distende, annoda ed aggroviglia tutte le vite dei personaggi. L’uso della lingua originale diventa elemento significante dell’azione del coro, evocativa dell’energia originaria che muove i fili del destino di tutti i protagonisti della tragedia
Personaggi interpreti:
ANTIGONE: PAOLA ZULIANI
CREONTE: IVANA MONTI
ISMENE: LIDA ATZORI
EMONE: FILIPPO VALESE
TIRESIA: LEO COPPETTA, SEBASTIANO MASELLI
MESSAGGERO: FEDERICO BARBISAN
LE GUARDIE: FILIPPO LOCATELLI, FEDERICO DELIA, MARCO MENONCELLO, SAMUELE FAVRETTO, GIUSEPPE MANFREDI
CORO DEGLI DEI: GIACOMO VIANELLO, MATTIA CERVELLIN, ALESSANDRO GABRIEL
CORO DI DONNE: ILARIA BENVENUTI, ANASTASIA BREEDVELD BORTOLOZZO, SALVADORI ISOTTA, SASHA CASTRIGNANO’, COSTANZA PEZZATO, GAIA GIACOMIN, CATERINA BACCICCHETTO, ANITA BACCICCHETTO, ADA OKUROGLU
ARPA: QUIM ROVIRA CAMACHO-ISTITUTO MUSICALE MANZATO TREVISO
COREOGRAFIE E MOVIMENTI SCENICI: SILVIA BENNETT
DISEGNO LUCI: GIANLUCA CIOCCOLINI
COSTUMI: RAFFAELLA BERTON
MASCHERE: BOUDOIR VENEZIA
TRUCCO: SUSY ZANCANARO
FOTO DI SCENA: MARISTELLA VIOTTO
TESTO E REGIA: GIOVANNA CORDOVA
PRODUZIONE: TEMA CULTURA