Nato il 3 marzo 1933, Dario Del Corno è scomparso il 28 gennaio 2010. La sua carriera accademica si è svolta interamente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, dove il giovane Del Corno si laurea in Letteratura greca sotto la guida di Raffaele Cantarella, di cui diventa l’allievo prediletto e il successore.
Gli subentra infatti sulla cattedra di Letteratura greca nel 1972, e tiene questo insegnamento fino al 2001, per ricoprire poi – negli ultimi anni della sua attività accademica – la cattedra di Letteratura teatrale della Grecia antica.
Per il gran pubblico il nome di Del Corno è inevitabilmente collegato alla sfera del teatro. Allo studio del teatro attico lo spinge, fin dagli anni giovanili, l’esempio del suo maestro Cantarella, editore di Aristofane, traduttore e commentatore dei tragici. Negli anni ’60 del Novecento, gli anni della ‘seconda riscoperta’ di Menandro (con la pubblicazione dei Papiri Bodmer, che danno un sostanziale incremento alla massa di versi restituiti dal Papiro Cairense), Del Corno è uno degli studiosi che più contribuiscono a interpretare e commentare i nuovi testi menandrei e a ridefinire – sulla base delle nuove conoscenze – la figura del commediografo ateniese.
Al teatro attico del V e del IV secolo Del Corno dedica gran parte delle sue energie di studioso. Nel 1985 vede la luce l’edizione delle Rane, nella collana «Scrittori greci e latini» della Fondazione Lorenzo Valla.
La tragedia, naturalmente, è oggetto di riflessione e indagine appassionata. Si può dire che negli ultimi decenni del Novecento Del Corno abbia dato un contributo decisivo all’evoluzione e al progresso degli studi sulla tragedia, sviluppando un nuovo approccio interpretativo, che guarda ai lavori dei tragediografi attici come testi destinati alla performance, da indagare per la loro valenza spettacolare, oltre che per i pregi letterari e il messaggio concettuale.
Tra i moltissimi lavori, mi sembra di dover ricordare almeno la raccolta di saggi I Narcisi di Colono. Drammaturgia del mito nella tragedia greca, Milano 1998, e l’articolo Euripide e la ‘tragedia nuova’ (in Euripidaristofanizein. Scritti sul teatro greco, Napoli 2005, 79-91), in cui viene proposta e teorizzata per la prima volta questa nuova definizione critica, destinata a rapida fortuna.
Di grande interesse sono anche gli interventi (molti, e di varia natura) in cui Del Corno riflette sulla relazione tra tempo mitico e tempo scenico; in quanto drammatizzazione del mito, la tragedia propone sulla scena – come se si svolgesse nell’ hic et nunc del tempo reale – ciò che appartiene a un pregresso remoto e immutabile: appunto da questo paradosso nascerebbe l’antinomia fra la scelta e la necessità, in cui consiste il nucleo fondamentale del conflitto tragico.
A questa straordinaria sensibilità e finezza di interprete teatrale Del Corno è stato condotto anche dalla vasta esperienza di teatro militante. A partire infatti dall’inizio degli anni ’80 egli intraprende un’intensa collaborazione con fondazioni teatrali, compagnie e registi, per la messa in scena di drammi antichi (o comunque classici). In questi spettacoli il suo apporto viene via via crescendo, mano a mano che prende corpo in lui una vocazione e una competenza di autentico teatrante (così lo ha definito, in un commosso ricordo, il regista Lamberto Puggelli).
Le sue traduzioni e i suoi adattamenti teatrali sono molti e famosi: basti ricordare, per il Teatro Greco di Siracusa, l’Ifigenia in Tauride (in collaborazione con Vincenzo Consolo[1]), la Medea di Euripide[2] con la regia di Peter Stein, il Prometeo incatenato di Eschilo con la regia di Luca Ronconi (poi riallestito dal Piccolo Teatro di Milano); e poi il Ciclope per i Filodrammatici di Milano, le Troiane (1989, regia di Alessandro Giupponi con Adriana Innocenti) e l’Ifigenia in Aulide per il Teatro Popolare di Roma (regia di Memé Perlini[3]), l’Alcesti e l’Antigone per il regista Walter Pagliaro.
Con Glauco Mauri, Del Corno cura allestimenti dell’Edipo re e dell’Edipo a Colono, del Filottete, del Re Lear e del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, del Faust di Goethe. Dal 1987 al 1995 collabora con la scuola di Giorgio Strehler, tenendo lezioni di storia del teatro. Negli stessi anni, diresse la rivista «Dioniso», la rivista della Fondazione INDA.
Dario Del Corno era solito dire che l’attualità dei classici si coglie allorché si prende coscienza della distanza che ci separa da essi, più che nella percezione di una continuità immediata. Si riferiva soprattutto alla tragedia. Nella sua intensissima attività teatrale tradusse e adattò per la scena moltissimi drammi antichi, e si rese conto che una simile operazione è in realtà una rivisitazione totale (quasi una riscrittura) del testo: quindi un’azione per molti versi arbitraria, e inevitabilmente legata alla sensibilità – tutta moderna – dello studioso.
Proprio la traduzione (arte in cui Dario Del Corno eccelleva, in virtù di una genialità indiscussa) è l’espressione più chiara di questa contiguità nella differenza. Tradurre è infatti esprimere la stessa idea in un diverso codice: è quindi un’azione segnata insieme dalla corrispondenza e dall’alterità.
Consideriamo i versi iniziali del primo stasimo dell’Edipo a Colono. I corali sono le sezioni tragiche più ardue da tradurre: alla complessità del dettato, che è sempre di tonalità alta, si aggiunge la difficoltà di riprodurre la ritmicità di versi che nell’originale erano cantati. Il rischio di prodursi in goffe astruserie è molto forte. Del Corno però si muove con leggerezza straordinaria:
A questo paese di forti cavalli, ospite straniero,
sei giunto, la migliore dimora della terra,
la candida Colono, dove
l’usignolo canta senza fine
il suo lamento triste
in fondo al verde delle valli,
abitando l’edera fosca
e l’inaccessibile selva frondosa
del dio, intatta dal sole,
inviolata dal vento di ogni
tempesta, che l’ebbro signore
Dioniso in ogni tempo percorre
insieme alle sue nutrici divine.
Del Corno non è stato solo studioso di teatro. Si è occupato, tra l’altro, di interpretazione dei sogni (sua la prima traduzione del Libro dei sogni di Artemidoro, nel 1975), di Nonno di Panopoli, di prosa imperiale (basti ricordare la serie dei Moralia curata per Adelphi), e ha svolto un’incessante attività di curatore e traduttore di testi classici. Ma, come osserva Eva Cantarella, l’aspetto più notevole e affascinante della sua personalità «è stata la capacità di parlare del mondo classico con linguaggi diversi da quelli ai quali si affida tradizionalmente l’accademia». Grande comunicatore e divulgatore, ha contribuito a diffondere la conoscenza dei classici con cicli di conferenze e lezioni nei licei (per i quali ha scritto un manuale di letteratura greca, amatissimo dagli studenti) e con la formula delle ‘lezioni spettacolo’ (un format di sua invenzione, presto imitato); anche da giornali come il «Corriere della Sera» e il «Sole 24 ore» ha saputo parlare dei classici suscitando l’interesse del vasto pubblico.
Era un maestro naturale, un didaskalos. È questa un’attitudine dello spirito, oltre che una disposizione della mente: un’attitudine che nasce da un’attenzione alla persona degli altri, e dalla percezione di sé come ton pollon tis (“uno dei tanti”: cioè uomo tra gli uomini, secondo la definizione di Menandro). Dario Del Corno corrispondeva perfettamente a questa immagine, come ben sa chiunque l’abbia conosciuto.
Perciò vorrei concludere con un ricordo. Tarda primavera del 2003, siamo in Grecia con un gruppo di studenti. Si fa visita al Nekromanteion (‘oracolo dei morti’) di Efira, lungo la costa ionica, qualche decina di chilometri a nord di Preveza. Il sito è bellissimo: dall’alto di una collina domina la piana dell’Acheronte fino al mare, che si intravede in lontananza; erbe palustri e ginestre in fiore completano lo scenario. Mi incarico io di intonare l’uditorio, leggendo i primi versi dell’XI canto dell’Odissea, che descrivono l’incontro di Ulisse con le ombre dei defunti (“s’affollarono le anime dei morti, giovani donne, ragazzi, vecchi che molto soffrirono, e guerrieri squarciati dal ferro spietato…”). Dopo questa introduzione, il professor Del Corno fa lezione agli studenti, che gli siedono intorno sulle pietre del santuario. Parla delle misure del tempo, della relazione che il mito costruisce tra il passato e il presente (inverato, cioè reso reale, proprio da quel misterioso rapporto). I ragazzi lo ascoltano con attenzione totale: intuiscono che il suo discorso, partito dall’Ulisse di Omero, arriva fino a loro, anzi investe le loro persone.
Le immagini: 'Prometeo incatenato', regia di Luca Ronconi (https://lucaronconi.it/scheda/teatro/prometeo-incatenato); la locandina dello spettacolo al Piccolo di Milano; 'Medea', regia di Peter Stein al teatro di Siracusa; Glauco Mauri e Roberto Sturno in 'Edipo Re', regia di Andrea Barocco; sempre Glauco Mauri nel 'Faust 'di Goethe (Del Corno fu un ottimo e noto traduttore dal tedesco); la locandina dell’ Ifigenia in Tauride'p er il Teatro popolare di Roma; un’immagine dall’ opera Outis di Luciano Berio alla Scala di Milano: Dario Del Corno è infatti l’autore del testo dell’ ‘azione musicale in due parti’ di Berio. Abbiamo tratto l’ultima immagine dal sito ufficiale di Luciano Berio. A Del Corno, Berio dedicò anche la composizione Ekphrasis. La foto è stata concessa al sito di Luciano Berio da Lia Del Corno, che lì così la commenta: … mi piace il gesto affettuoso e quel recondito ammiccamento tra i due, quasi volessero dire: «a farci da sfondo ci sono tanti libri, ma noi due non abbiamo bisogno di consultarli per le citazioni, le abbiamo già tutte in testa»…
(Parti di questo profilo sono state pubblicate da Giuseppe Zanetto sulla ‘Rivista di filologia e di istruzione classica’ del 2010 e ‘il Sussidiario’ del 1.2.2010)
[1] Su questo vedi l’articolo di Addolorata Bellanova, Tragedie siciliane: la Tauride di Vincenzo Consolo, in Levia Gravia, Quaderno annuale di letteratura italiana, XX (2018), Scrittori che traducono scrittori. Traduzioni “d’autore” da classici latini e greci nella letteratura italiana del Novecento, a cura di Monica Lanzillotta, pp. 189-206, in parte ripreso qui.
[2] Un ricordo da quell’edizione della Medea di Euripide (2004) a Siracusa, da parte di Fabio Sartor (Egeo), si può leggere sulla nostra rivista ‘Visioni del tragico. La tragedia greca sulla scena del XXI secolo’, 1,1.
[3] Uno spettacolo che non piacque a Franco Quadri (https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/09/09/povera-ifigenia-in-cerca-di-identita.html)