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Nella poliedrica attività del grecista Ettore Romagnoli (1871-1938)[1] la musica greca occupò un ruolo non secondario sia come materia di studio sia come modello per la composizione di brani originali.

Nei suoi contributi critici sull’argomento Romagnoli divulgò i risultati degli studi filologici coevi[2], basandosi sulle principali edizioni di frammenti e di scritti musicografici[3], nonché sulle teorie di F.-A. Gevaert intorno alla genesi dei principali versi greci, su La nascita della tragedia di Nietzsche e sulle sperimentazioni di H. Browne e G. Pachtikos riguardanti la ricostruzione di metri lirico-corali attraverso riproduzioni melodiche ad essi ritmicamente equivalenti[4].

 Ritratto di Ettore Romagnoli

 

Le indagini suggerirono al grecista i presupposti teorici di alcune scelte poetico-musicali effettivamente attuate nelle traduzioni e negli spettacoli del dramma antico ideati e diretti dal 1911: grazie ad un’analisi degli studi e dei documenti d’archivio dello stesso Romagnoli è possibile ricostruire in che modo le teorie sulla musica e la ritmica greche abbiano più o meno influito sulle sue idee intorno alla ‘rievocazione’ moderna del teatro greco.

In un primo contributo dal titolo La musica greca[5] Romagnoli, allineandosi con le tesi sostenute dai ritmici sulla derivazione melica dei componimenti poetici greci, tenta di dimostrare come musica e poesia fossero in origine strette in un legame che implicava da un lato l’uso delle parole nella loro valenza di strumento necessario all’espressione logica, chiara, simmetrica del pensiero umano, dall’altro il riconoscimento di una facoltà passionale che esiste insita alla natura e che l’uomo esprime, in una fase primitiva, attraverso un canto privo di elementi fonici dotati di significato ma esteso nel tempo secondo una linea armoniosa:

 

[…] prima del poeta che dicesse, ci fu, tra gli Elleni, come tra ogni popolo selvaggio, come nelle umili sfere sociali, dove i fenomeni d’origine sono in perpetuo divenire, il poeta che cantò. E cantando, ordinava delle voci prive di significato preciso, ma ricche di melodia, in tante frasi misurate e simmetriche, lineantesi nel tempo secondo le medesime leggi armoniche onde si componevano nello spazio le prime architetture semplici e precise. Ma intanto la lingua andava affinando i proprî suoni, moltiplicando i mezzi d’espressione; e diveniva a sua volta una efficace interprete del sentimento. Allora il cantor poeta, alle sillabe prive di significato onde simboleggiava i sentimenti, sostituì via via le sillabe del discorso logico che li concretavano e determinavano[6].

Frontespizio libro di Romagnoli 'Nel regno di Orfeo'

 

Sostituendo le parole ai primitivi suoni inarticolati il discorso logico si modellò, sulla base di quelle prime melodie, in parti uguali e simmetriche (στίχοι), mantenendo tale armonia anche quando non era accompagnato dalla musica: così, sarebbero stati foggiati i primi versi recitati, i quali fornirono a loro volta il modello a molti altri accendendo «d’una differente colorazione la favilla melodica lasciata in essi dalla melodia generatrice»[7]. Gli antichi poeti-musicisti costruirono, così, «il preciso disegno ritmico su cui doveva stendersi l’obbligatoria melodia»[8] il cui schema, mantenendosi inalterato, può essere recuperato anche dai moderni.

Nonostante lo scritto presenti analogie con passi nietzschiani[9], Romagnoli si discosta dalla tesi del canto popolare come «perpetuum vestigium di un’unione tra l’apollineo e il dionisiaco»[10] enfatizzando, invece, l’esistenza di uno stato musicale esclusivamente dionisiaco[11] che precede e genera l’idea poetica e trova la sua espressione più spontanea nel canto[12]: abbinando quest’ultimo alle parole si è avuta, dunque, l’origine della poesia lirica che «i Greci, dicendola lirica, non vollero forse intendere, come si suole ripetere, quella che è accompagnata dalla lira, ma quella che dalla lira si origina»[13].

Questo stato di esaltazione che la musica produce non solo nell’esecutore ma anche nell’ascoltatore permise agli antichi greci di giungere ad una «rivelazione nubilosa e balenante d’uno stato sovraumano più intenso e vibratile. Indi la concezione d’una umanità eletta che sempre ardesse di quella vita, che sempre parlasse quel linguaggio alato: indi la origine della tragedia che presenta in forma obbiettiva quella umanità ideale. In questi limiti la tragedia è figlia della musica»[14].

Grontespizio libro Romagnoli Musica e poesia

 

La musica greca, dunque, nella visione di Romagnoli si presentava come essenzialmente monodica e, in quanto tale, generò all’unisono con il canto ogni forma poetica che mantiene lo schema melodico originario grazie al ritmo: per questo motivo il grecista, richiamandosi a Erodoto (2, 5, 1), definì la poesia «un magnifico dono della musica»[15].

Ritenendo la poesia greca diretto prodotto del melos che ne orientò anche la scansione metrica, Romagnoli avvalora, di conseguenza, il primato delle traduzioni in versi dei testi antichi: «il ritmo per un poeta degno di questo nome, non è cosa esterna, accidentale, scelta; anzi è il nucleo primo e più profondo dell’ispirazione» e, insieme, l’unico elemento che è possibile quasi immutabilmente trasportare da una lingua all’altra[16]. Tuttavia, soluzioni di metrica barbara già precedentemente sperimentate[17] non sembrano rispondere alle esigenze del Romagnoli traduttore, in quanto «le norme le quali producono un perfetto contemperamento fra linguaggio e melodia in una data fase della lingua, non possono riuscire soddisfacenti se trasportate bruscamente in un’altra»[18].

Locandina Agamennone Siracusa 1914

 

 

Nella sue versioni il grecista privilegerà, invece, un’attualizzazione dello schema ritmico dei componimenti greci attraverso i metri della poesia italiana, giustificando la propria scelta a partire da una precisa teoria esposta nello scritto Il verso greco[19].

Utilizzando a titolo d’esempio la notazione musicale della cantilena di un uccellino, Romagnoli evidenzia come il periodo ritmico presenti un’estensione facilmente riconoscibile, si divida in due parti simmetriche segnalate da un mutamento nel disegno melodico e organizzi le note in gruppi (‘piedi melici’) distinti da una maggiore intensità all’inizio di ciascuno[20]. Romagnoli definisce questi fenomeni corollari di una «legge generale degli sviluppi ritmici»[21] e li applica anche al linguaggio quando questo si trova accoppiato alla melodia: se ai primi due corollari – afferma l’ellenista – la lingua si adatta senza difficoltà, in quanto un periodo di senso compiuto facilmente corrisponde alla frase melodica e può, similmente, suddividersi in due periodi minori, il terzo corollario è invece determinato dalla natura delle sillabe che compongono la frase.

Infatti, il linguaggio distingue sillabe più o meno salienti e tende a far coincidere le prime con i tempi forti della melodia. Eppure, lo status sillabico non è necessariamente tale da essere collocato nella sede del ritmo in quanto è sottoposto anch’esso ad un processo di sviluppo che procede dall’agglomerazione di monosillabi, ciascuno con il proprio accento, in polisillabi che precisano la propria colorazione vocalica (e quindi sillabica) in quattro ordini (vocali lunghe, di suono cupo, seguite da due o più consonanti, di maggior contenuto ideologico); in seguito la sillaba tematica (cioè «l’elemento fonico di contenuto ideologico più importante»[22]) assume su di sé l’accento e tende a collocarsi sotto l’ictus ritmico; infine, in virtù del moltiplicarsi di suffissi e di leggi ritmiche, come quella del trisillabismo, si sviluppano accenti su altre sillabe della parola che attenuano il valore dell’accento tematico e lo vanno a sostituire come testimoniato dalla forma grafica sopravvissuta[23].

Volumi con le traduzioni dei lirici di Ettore Romagnoli

Così delineati, lo schema evolutivo del verso e le leggi che ne determinano il ritmo anche quando è indipendente dalla melodia servono a Romagnoli per descrivere lo sviluppo del trimetro giambico «che primo e più costantemente d’ogni altro si separa dal μέλος, passa, usatissimo e dilettissimo, nella letteratura latina, e diviene il beneamato della italiana [scil. l’endecasillabo]»[24].

La metrica italiana offrirebbe, così, spontaneamente il mezzo più appropriato per rifarsi all’esempio della poesia antica dal momento che, secondo l’ellenista, il sistema odierno non è altro che il frutto «di evoluzione millenaria, che supera, comprende, riassume tutti i tentativi anteriori, che è la suprema lingua dei suoni, l’unica che conviene a noi moderni»[25]. In tal modo, quindi, l’autore legittima una delle scelte stilistiche maggiormente evidenti nelle traduzioni del dramma antico: quella di sfruttare l’endecasillabo per le parti dialogate in apparente rispetto all’evoluzione del metro originario[26].

 Ritratto di Alberto Favara

Le teorie di Romagnoli sembrano trovare conferma pratica nei canti siciliani raccolti da Alberto Favara (nella foto sopra)[27], che il grecista prende in analisi nell’articolo I canti popolari siciliani e la musica greca proponendo una comparazione tra le caratteristiche estrinseche e strutturali comuni alle due tradizioni musicali[28].

Dal punto di vista della struttura Romagnoli evidenzia come nei canti siciliani le parole «sotto la prepotente influenza della musica, rinunciano a tutte le loro rigide articolazioni, per adattarsi docilmente alla forma ritmica della melodia»[29]. Tra gli esempi riportati vi sono alcuni casi di spostamento d’accento e fratture dell’unità verbale dovuti alla respirazione che, a sua volta, dipenderebbe da un accento melodico primitivo: «questo fenomeno – ribadisce Romagnoli – tuttora vivo nella nostra Sicilia, ci spiega la struttura tecnica della lirica greca assai meglio di qualsiasi alchimia filologica»[30].

Riguardo all’aspetto ritmico, il grecista ravvisa all’interno delle canzoni di misura in 6/8 la presenza all’interno o in attacco di verso del peone, che concorre a testimoniare l’antica derivazione greca di parte di questi componimenti[31]. Maggiore rilievo, invece, presenta l’elemento melico in quanto, secondo Romagnoli, tutti i modi greci sono riprodotti all’interno dei canti che mostrano, così, una «vera messa in opera artistica»[32] della pratica musicale greca, contribuendo a comprendere alcuni problemi di teoria musicale quali l’esistenza di caratteristiche speciali che identificavano chiaramente ciascun modo[33].

Gli studi filologici sulla musica greca, pur avendo guidato la scelta della traduzione in versi e la concezione del dramma antico come oratorio musicale[34], non sembrano aver condizionato totalmente l’attività del Romagnoli compositore. Come da lui stesso dichiarato, infatti, si trovò ad utilizzare (ed esaurire) i pochi frammenti di musica greca solo per la prima rappresentazione delle Nuvole (1911) e, successivamente, alle ricostruzioni ‘archeologiche’ preferì «le impressioni che nel mio spirito producevano i vari episodi drammatici e corali»[35].

Similmente, nelle traduzioni dei lirici greci Romagnoli adottò il metodo delle ‘coloriture melodiche’ sostituendo, nell’esemplificazione di passi significativi, le sequenze di sillabe lunghe e brevi con melodie semplici che «rendessero vivace e percepibile il ritmo del verso»[36] e che riproducessero le sue idee attorno ai componimenti musicali greci, senza pretesa di rispettare le interpretazioni ritmiche filologicamente più probabili: secondo Del Grande, infatti, il metodo di Romagnoli risultava certamente simpatico ma pericoloso in quanto condotto più per lusus personale, spesso fuorviante e figlio di una particolare epoca che ne ha conformato la prassi filologica[37]

Coro dell'Agamennone 1914

 

Nel 1914 Romagnoli assunse la direzione artistica del primo ciclo di rappresentazioni classiche a Siracusa curando, oltre alla traduzione e all’allestimento complessivo, la composizione dei cori di Agamennone.

Foto di Scena Agamennone 1914

 

Sulla base delle testimonianze e di un testo della rappresentazione con tagli e note a matita dell’autore[38], lo spettacolo presentava cinque brani: un preludio che interrompeva il monologo della Scolta dopo la battuta «col fausto aiuto del fuoco notturno» e prima della didascalia «Lunga pausa. Poi, sulla cima del monte Aracneo, che incombe sulla città, s’accende e giganteggia un’immensa fiammata»[39] a segnalare, quindi, un cambio importante ai fini dell’azione drammatica; un coro in anapesti inserito all’interno della parodo; una preghiera a Zeus eseguita da «Tutto il coro dei bambini» accompagnato dalla cetra e ripresa dal primo stasimo, come si evince dalle note autografe che riportano le parole «Notte ministra di gemito feral»[40] forse a variazione del «Deh, Giove signore, deh, Notte, | amica ministra di gesta preclare»[41]; una monodia alternata a cori successiva alla profezia di Cassandra[42]; un’elegia intonata da tutto il popolo mentre Agamennone è trasportato su una  bara. Nel concepire la musica per lo spettacolo Romagnoli ha seguito criteri analoghi a quello [sic] che lo hanno guidato nell’ideazione della scena e nel disegno dei vestiti: è partito – cioè – da elementi accertati con severità d’indagine per giungere ad una sintesi personale che si armonizzasse con tutti gli altri elementi, da cui risulta l’unità armonica di tutto lo spettacolo che non vuole essere una fredda ricostruzione archeologica ma una rievocazione artistica del mito trattato, quale può idearla un poeta moderno che possiede sicuramente tutti i risultati dell’esegesi filologica e archeologica – l’istinto e il sentimento dell’arte[43].

Cartolina con foto di scena Agamennone 1914

Per i successivi spettacoli siracusani, ripresi nel 1921 dopo la parentesi della prima guerra mondiale, Romagnoli avrebbe trovato nel compositore siciliano Giuseppe Mulè (nella foto sotto) un primario collaboratore artistico.

Ritratto di Giuseppe MulèQuest’ultimo, infatti, firmò le musiche di quasi tutti gli spettacoli sotto la direzione del grecista[44] e per le rappresentazioni di Antigone e Medea, in particolare, avrebbe adattato «nelle intonazioni liriche chiare derivazioni dal canto popolare siciliano, con l’intenzione di volerlo riallacciare ai modi dell’antica musica greca»[45]: un’operazione già teoricamente avanzata da Romagnoli ma non da lui praticata, in quanto le sue composizioni si orientarono, piuttosto, a riprendere il presunto ethos musicale greco tramite lo studio oggettivo di forme antiche unito ad una realizzazione tutta moderna[46].

 «Sposando a traduzione e musica il lavoro di regista»[47] Romagnoli avrebbe così delineato la propria interpretazione su come rappresentare un dramma antico: ricercando, in primo luogo, l’unità formale dei vari aspetti concorrenti alla messinscena[48] e, riguardo alla musica, riproducendo qualche colore che richiamasse ‘filologicamente’ al ritmo o ai frammenti superstiti.

Foto di scena di Antigone (1924)

Nonostante la sensibilità moderna, l’insegnamento dell’antico rimane latente nei suoi esperimenti musicali in riferimento alla riconosciuta contenutezza e politezza dell’esecuzione e alla composizione di una melodia concepita all’unisono con il testo della traduzione.

 

* Un ringraziamento a L. Belloni, G. Ieranò e T. Lynch per i preziosi consigli elargiti durante la stesura del presente contributo. Un grazie particolare va ad Angela Romagnoli e all’Accademia Roveretana degli Agiati per aver reso disponibile la consultazione della Biblioteca e dell’Archivio di Ettore Romagnoli, agli Archivi storici della Biblioteca ‘G. Tartarotti’ di Rovereto dove il suddetto fondo è attualmente conservato e in corso di catalogazione e, infine, all’Archivio della Fondazione INDA (AFI).

Le foto di scena dall' Agamennone (1914) e dall' Antigone  (1924) sono tratte dall' Archivio dell' Inda. 

Coro dell'Antigone, spartito (1924)

 

Questo articolo è apparso in: Linguaggi, esperienze e tracce sonore sulla scena, a cura di Angela Albanese e Maria Arpaia, Ravenna, Longo editore, 2020, che è possibile acquistare qui. Si ringrazia l'autrice e le curatrici per averne permesso la ripubblicazione. 

[1] Per una bibliografia su Romagnoli cfr. i contributi in «Dioniso», n.s., XI, 2, 1948, pp. 67-141; G. Perrotta, Ettore Romagnoli, «Maia», I, 2, 1948, pp. 85-103; E. Paratore, Ettore Romagnoli, «Dioniso», n.s., XXII, 1-2, 1959, pp. 23-39; G. Cucchetti, Ettore Romagnoli. A venticinque anni dalla sua morte e cinquant’anni dalla prima delle rappresentazioni classiche di Siracusa, a cura dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, Urbino, S.T.E.U, 1964; E. Degani, Ettore Romagnoli, in I critici, vol. 2, a cura di G. Grana, Milano, Marzorati, 1969; L.A. Stella, Ettore Romagnoli umanista nel centenario della sua nascita, «Studi Romani», XX, 2, 1972, pp. 169-180; G. Blanco, Ettore Romagnoli e la civiltà ellenica, Gela, Archeoclub d’Italia, 1982; P. Treves, Tradizione classica e rinnovamento della storiografia, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992, pp. 277-298; P. Zoboli, La rinascita della tragedia. Le versioni dei tragici greci da D’Annunzio a Pasolini, Lecce, Pensa MultiMedia, 2004, pp. 33-36 e 85-109; L. Serianni, Ettore Romagnoli latinista, «Spudasmata», CXLVII, 2012, pp. 639-654; G. Piras, Ettore Romagnoli, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 88, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2017, pp. 189-194.

[2] C. Del Grande, Ettore Romagnoli studioso di musica greca e compositore, «Dioniso», n.s., XI, 2, 1948, p. 82.

[3] Le ricerche di Romagnoli rimandano alle edizioni di Jan (1882, 1885), Macran (1902) e riportano le conclusioni di Westphal (1883) intorno agli ἁρμονικά στοιχεῖα di Aristosseno.

[4] Cfr. E. Romagnoli, Vigilie italiche, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1917, pp. 124-125. Browne espose l’intervento The Teaching of Greek Choral Metre durante il Sixth General Meeting di Birmingham (1908), concludendo con esecuzioni fonografiche di alcuni cori da lui ricostruiti in collaborazione con R. O’Dwyer. Un estratto del discorso è presente nel Fondo Romagnoli.

[5] Pubblicato sulla «Nuova Antologia», CXVI, 800, 1905, pp. 650-672 poi ristampato in E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, Bari, Laterza, 1911, pp. 3-44 e in Id., Nel regno d’Orfeo. Studi sulla lirica e la musica greca, Bologna, Zanichelli, 1921, pp. 151-192.

[6] E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, p. 16. Secondo Romagnoli (ivi, pp. 5-6) i primi accompagnamenti melodici, nati all’unisono con i «canti pastorali dalle modulazioni semplici e libere», disciplinarono gli accordi della lira attorno a intervalli di quarta, quinta e ottava, come nei canti popolari che inizierebbero proprio con un salto di quarta. Cfr. anche F.-A. Gevaert, Histoire et théorie de la musique de l’antiquité, Gand, C. Annoot-Braeckman, 1875, pp. 3-4. Sulla medesima accordatura della lira cfr. anche Philol. fr. 6a Huffman.

[7] E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, p. 17.

[8] Ivi, p. 18. Per una panoramica generale sul rapporto tra parola, musica e ritmo nella poesia greca vd. B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da Omero al V secolo, Milano, Feltrinelli, 20064, pp. 48-56.

[9] E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, pp. 25 e 29. Sulla conoscenza della Nascita della tragedia da parte di Romagnoli cfr. P. Zoboli, op. cit., p. 96.

[10] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, a cura di V. Vivarelli, Torino, Einaudi, 2009 [1872], p. 63.

[11] Cfr. P. Zoboli, op. cit., p. 97.

[12] E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, p. 40. Cfr. anche Thphr. ap. Plu. Quaest. Conv., 623a-d per la distinzione di tre tipi di canto in relazione ad altrettante espressioni del sentimento.

[13] E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, p. 40.

[14] Ivi, p. 41. Sugli effetti psicagogici della musica cfr. L.E. Rossi, Musica e psicologia nel mondo antico e nel mondo moderno: la teoria antica dell’ethos musicale e la moderna teoria degli affetti, in Synaulía. Cultura musicale in Grecia e contatti mediterranei, a cura di A.C. Cassio-D. Musti-L.E. Rossi, «AION(filol)», Quaderni 5, 2000, pp. 57-96.

[15] E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, p. 42.

[16] Id., Vigilie italiche, p. 108. E. Pound, Saggi letterari, a cura e con introduzione di T.S. Eliot, Milano 1973, p. 47 avrebbe, invece, escluso la possibilità che la melopea potesse essere trasferita in una lingua diversa da quella originale se non «per puro miracolo, e mezzo verso alla volta».

[17] A proposito vd. R. Pretagostini, Teoria e prassi nella trasposizione metrica e ritmica nelle traduzioni dal greco, in La traduzione dei testi classici. Teoria, prassi, storia, a cura di S. Nicosia, Napoli, D’Auria, 1991.

[18] E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, p. 335.

[19] Pubblicato su «Atene e Roma», 113-114, 1908, pp. 141-183 e ristampato poi in E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, pp. 317-368 e in Id., Nel regno d’Orfeo. Studi sulla lirica e la musica greca, pp. 193-241.

[20] E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, pp. 329-330. È probabile che Romagnoli fondi le proprie tesi sulla lettura ritmica introdotta negli studi classici italiani a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento sull’esempio delle università tedesche. Per un esame sulla controversa distinzione terminologica tra arsis e thesis nelle speculazioni dei ritmici e dei metricisti antichi cfr. T. Lynch, Arsis and Thesis in Ancient Rhythmics and Metrics: A New Approach, «QC», 66/2, 2016, pp. 491-513.

[21] E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, p. 330. A tale legge si aggiungerebbe, poi, un quarto fenomeno, definito «cadenza melica», secondo il quale «l’ultimo piede della seconda parte non corrisponde perfettamente all’ultimo della prima, ma è interrotto dopo la prima percussione. Poiché nella melodia il tempo di riposo si ottiene solo quando la voce posa ed indugia indefinitamente sopra una nota percossa da un accento principale […]» (ivi, p. 331). Il fenomeno della ‘cadenza melica’ non viene ulteriormente chiarito da Romagnoli. M.L. West, Ancient Greek Music, Oxford, Oxford University Press, 19942, pp. 132-133 riferisce l’opinione di Dionigi di Alicarnasso (Comp. 64) sull’alterazione della lunghezza sillabica causata da musica e ritmo: da un’analisi dei frammenti musicali è possibile ipotizzare che si trattasse di un’anomalia occasionale, riguardante la protrazione di una sillaba lunga fino a quattro tempi oppure l’allungamento di sillaba breve in un caso all’interno di verso, più comunemente alla fine.

[22] E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, p. 334.

[23] Ivi, pp. 331-335.

[24] Ivi, p. 351.

[25] Ivi, pp. 367-368.

[26] P. Zoboli, op. cit., p. 105. L’endecasillabo viene usato da Romagnoli anche nelle traduzioni del senario latino (vd. L. Serianni, op. cit., p. 644).

[27] A. Favara, Canti della terra e del mare di Sicilia, Milano, Ricordi, 1907-1959.

[28] E. Romagnoli, I canti popolari siciliani e la musica greca, «Rivista d’Italia», XXIII, 5, 1920, pp. 3-24. Riguardo alle coincidenze ‘esteriori’, Romagnoli (ivi, p. 5) considera come i titoli dei singoli canti siano desunti dal nome di una regione dell’isola, di una classe di persone oppure di una celebrazione o festività che denotano, così, l’appartenenza pressoché esclusiva delle canzoni. Similmente, anche i greci designarono i vari nomoi a partire da nomi etnici o da categorie professionali (ad es. il bukoliasmós proprio dei mandriani che guidavano le bestie al pascolo). Romagnoli identifica qui il nomos come un canto semplicissimo tale da determinare i limiti del modo, dal quale riceve la stessa designazione perché ad esso correlato (ivi, p. 21).

[29] Ivi, p. 5. La citazione è ripresa da Favara e sembra coincidere con analoghe affermazioni in E. Romagnoli, Musica e poesia nell’antica Grecia, p. 321: «Due ritmi non ci sono e non ci possono essere, e quello del verso è proprio quello della melodia. Solo bisogna vedere fino a quando esso riesca a dominare la indocile materia del linguaggio, e fino a che punto questo faccia valere le sue proprietà entro e contro le pastoie impostegli».

[30] E. Romagnoli, I canti popolari siciliani e la musica greca, pp. 5-6.

[31] Ivi, p. 7.

[32] Ivi, p. 9.

[33] Romagnoli indagando le differenze tra i modi dorico, frigio e lidio registra come la loro estensione melodica si limitasse all’intervallo di quarta (primo tetracordo) e, quindi, come la disposizione degli intervalli propri di ciascuno risultasse in ultima analisi trascurabile ai fini del riconoscimento. A fornire indicazioni più precise sul carattere della melodia sarebbe invece stata la posizione della nota finale, anche se risulta difficile determinare l’efficacia artistica di tale effetto retroattivo. Cfr. E. Romagnoli, Nel regno d’Orfeo. Studi sulla lirica e la musica greca, pp. 255-257 e 274-275. Sulla ricostruzione delle scale ‘damoniane’, «all closed systems containing enharmonic tetrachords» (M.L. West, op. cit., p. 174), cfr. Aristid. Quint. 18, 5-19, 10.

[34] E. Romagnoli, Vigilie italiche, pp. 110-111.

[35] Documento dattiloscritto dal Fondo Romagnoli. Vd. anche M. Pintacuda, Tragedia antica e musica d’oggi, Cefalù, L. Misuraca, 1978, p. 10, n. 1. Similmente, I. Pizzetti, La musica e il dramma, in Id., Musica e dramma, Roma, Edizioni della Bussola, 1945, pp. 36 s. constata quanto l’alterità fra la pratica musicale greca e quella moderna avrebbe reso possibile la ricreazione dell’«atmosfera musicale» di una tragedia greca solo «secondo le mutevoli esigenze e necessità o le mutevoli illusioni del nostro spirito». Sull’uso della tragedia greca nell’opera di Pizzetti vd. L. Belloni, La parola ‘eschilea’ di Ildebrando Pizzetti in Assassinio nella cattedrale, «Paideia», LXXIII, 1, 2018, pp. 335-360; M. Napolitano, Ildebrando Pizzetti e la tragedia greca, «Chigiana», s. III, 1, 2019, pp. 89-105.

[36] C. Del Grande op. cit., p. 80.

[37] Ibid.

[38] Eschilo, Agamennone, tradotto in versi italiani da E. Romagnoli, edito a cura del Comitato per le Rappresentazioni Classiche al Teatro Greco, Siracusa, Società Tipografica, 1914. L’edizione proviene dal Fondo Romagnoli e se ne può riconoscere la grafia.

[39] Ivi, p. 10.

[40] Ivi, p. 51.

[41] Ivi, p. 33.

[42] Ivi, p. 92 indica semplicemente «Coro».

[43] F.P. Mulè, Sulle sponde dell’Anapo sacro rivive, dopo 24 secoli. La prima dell’Agamennone al Teatro Greco di Siracusa, «L’Ora», 17 aprile 1914 (AFI, Rassegna Stampa, 1914).

[44] Mulè compose musiche e cori per Coefore (1921), Baccanti (1922), Sette a Tebe e Antigone (1924), Medea e per i due drammi satireschi Ciclope e Satiri alla caccia (1927). Romagnoli avrebbe ancora rivestito il ruolo di compositore con le rappresentazioni siracusane di Edipo re e Nuvole, rispettivamente nel 1922 e nel 1927.

[45] M. Pintacuda, op. cit., p. 12.

[46] C. Del Grande, op. cit., p. 81. Lo studioso riporta il caso di Alcesti, rappresentata per la prima volta nel 1913 con musiche originali di Romagnoli. Dei nove brani, solo due evocherebbero ritmi e melodie elleniche: un componimento a ritmo dattilico con finale anapestico che accompagna le ultime battute del monologo di Apollo e la prima parte del primo stasimo con accenni al frammento melico dell’Oreste. Riguardo agli altri pezzi gli spartiti segnalano una pastorale, brani sinfonici a commento di particolari scene e una danza funebre.

[47] Ibid.

[48] L. Piazza, Il paradigma dell’arte sinestetica: la rinascita della messa in scena tragica al Teatro greco di Siracusa, «Sinestesieonline», XXV, 2019, p. 15.