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Il 19 gennaio 2022, davanti al Parlamento Europeo, Emmanuel Macron dichiarava:

«L’Europa, la nostra costruzione europea, si fonda su tre grandi promesse. Una promessa di democrazia, nata nel nostro continente, reinventata, rifondata sempre nel nostro continente e ravvivata negli ultimi 70 anni. Una promessa di progresso condivisa da tutti e una promessa di pace. Ha mantenuto le sue promesse lungo quest’ultimo decennio. Ma il periodo che stiamo attraversando, con il ritorno del carattere tragico della storia e di alcune evidenze geografiche, lo sconvolgimento attuale che stiamo vivendo scombussola queste tre promesse. (…) La promessa di progresso futuro [per l’Europa] vale solo se, di fronte al disordine geopolitico, alla minaccia del terrorismo, agli attacchi informatici, all’immigrazione illegale e a questi grandi tempi di turbolenza, dimostriamo di saper rispondere. E di fronte a questo ritorno del tragico nella storia, l’Europa deve essere armata, non per sfidare le altre potenze, no, ma per garantire la sua indipendenza in questo mondo di violenza, per non essere sottomessa alle scelte altrui. Per essere libera»[1].

Tutto il discorso, di cui qui si è riportato uno stralcio, tende a evidenziare l’indipendenza dell’Europa dalle grandi potenze (Stati Uniti, Russia, Cina), sottolineando in particolare la necessità di dialogare con la Russia, nel momento in cui il riarmo dell’Europa diventa, secondo Macron, indispensabile per un equilibrio di pace, anche tenendo conto del «conflitto in Ucraina, che rimane la causa delle tensioni attuali» e per il quale il Presidente francese invita a «cercare una soluzione politica».

Il Presidente francese Emmanuel MacronLa guerra alla pandemia in Europa e nel mondo non era ancora finita – come è noto, non lo è ancora – e appena un mese dopo il discorso di Macron la Russia iniziava la sua «operazione militare speciale», ‘operazione’ ampiamente annunciata e prevedibile già nello stesso discorso di Macron, ma che pure sembra aver colto la maggior parte dell’opinione pubblica europea di sorpresa. Il ‘ritorno del tragico’ di cui parlava Emmanuel Macron preannunciava lo scoppio imminente della guerra?

La tragedia pare divenuta, dall’attacco alle torri gemelle, l’11 settembre 2001, la cifra del nostro secolo. Negli ultimi anni e mesi, però, pandemia e guerra in Ucraina hanno stabilito quasi una gerarchia del tragico nel nostro presente: l’una e l’altra sono diventati gli eventi più tragici, mettendo in secondo piano gli altri, ad esempio l’immigrazione, le questioni medio-orientali, il terrorismo, il destino dell'Afghanistan.

Nel linguaggio quotidiano, pandemia e guerra in Ucraina valgono come eventi catastrofici venuti a sconvolgere d’improvviso la nostra quotidianità, a sovvertirne ogni regola, sì da avere l’impressione, grazie anche al lessico militare in uso nei media Fin dall’inizio della pandemia, di essere passati da una ‘guerra’ all’altra.

Il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin

Perciò non meraviglia che in un articolo apparso su Le Monde del 22 aprile 2022, intitolato Dopo le piaghe della guerra e della pandemia, pensare il ritorno del tragico in Europa, Nicolas Troung ricordi le radici greche del tragico e scriva che «tragico è quel momento funesto, in cui niente avviene come previsto», il «momento brutale in cui si scade dalla felicità all’infelicità».

Il concetto viene allegorizzato con una antica figura mitologica, Ecuba, la sposa di Priamo e regina di Troia, «il cui mondo crolla d’improvviso e che vede tutti i suoi figli cadere in guerra» - afferma lo scrittore Laurent Gaudé. Tragico ancora è «lo choc di due logiche», come quella di Antigone davanti a Creonte; e sono possibili altre analogie tratte dai miti e dalla letteratura antichi, per cui ad esempio l’opposizione tra Putin e Zelensky assomiglierebbe al confronto tra «l’impetuoso Achille e l’intrepido Ettore».

Anche la percezione emotiva della tragedia presente viene avvicinata a quella dello spettacolo tragico: l’inizio della guerra il 24 febbraio, allora, ha provocato in molti «terrore, un groppo alla gola, sino alle lacrime, come nel coro delle tragedie greche», afferma l’antropologa Véronique Nahoum-Grappe, nonché la sensazione, come nei miti tragici greci, che «sia ormai troppo tardi, che non resti più nulla da fare».

 Immagine dal film 'Joker'

Analogie facili, ricorrenti nella storia: la figura di Ecuba fu evocata più volte specie durante la prima guerra mondiale, e alcune tragedie, come le Troiane di Euripide, sembrano dar voce al dolore di ogni guerra, dal V secolo in poi. Del resto, la prima tragedia greca superstite, i Persiani di Eschilo, mette in scena il dolore dei vinti non meno che quello dei vincitori. 

Ogni volta che usiamo i termini ‘tragedia’ e ‘tragico’, insomma, consciamente o meno, ci riferiamo sempre agli archetipi greci, ossia alle tragedie superstiti dell’Atene del V secolo a.C., o al concetto di ‘tragico’ che noi, per tradizione filosofica non antica, ma moderna, possiamo ricavare da quei testi e anche da altre opere antiche. A partire dalla fine del ‘700 si intende per ‘tragico’ un avvenimento luttuoso, orrendo, improvviso, voluto dal destino e di cui siamo vittime inconsapevoli.

Tuttavia l’accezione di ‘tragico’ usata da Macron ci sembra diversa e comporta anche diverse implicazioni. Ci chiediamo innanzitutto a quale tradizione letteraria o di pensiero, allora, il Presidente francese faccia riferimento nell’introdurre nei suoi discorsi il ‘ritorno del tragico’.  

Macron ha utilizzato varie volte l’espressione «tragico della storia» in occasioni solenni:

«I demoni antichi risorgono, pronti a compiere la loro opera di caos e di morte: delle nuove ideologie manipolano le religioni, la Storia minaccia di riprendere il suo corso tragico», affermava l'11 novembre 2018.

Da sinistra a destra, sul palco delle autorità per le celebrazioni dell'armistizio della Prima guerra mondiale a Parigi: il primo ministro canadese Justin Trudeau, il principe del Marocco Moulay Hassan, il re del Marocco Mohammed VI, la first lady americana Melania Trump, il presidente americano Donald Trump, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Emmanuel e sua moglie Brigitte Macron, il presidente russo Vladimir Putin and il governatore generale dell'Australia Peter Cosgrove (LUDOVIC MARIN/AFP/Getty Images)

Quel giorno piovoso a Parigi si riunirono sotto l’Arco di Trionfo settanta capi di stato, tra cui Donald Trump e Vladimir Putin, per commemorare i cento anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale. Davanti a loro, Macron affermò che la tragedia del presente consiste nel risorgere del «razzismo», dell’«antisemitismo», dell’«estremismo» e soprattutto del «nazionalismo».

Così sul ricordo di un massacro epocale, incombeva la consapevolezza di una pace che allora si era mostrata sin troppo fragile, la pace appunto del 1918 che umiliava i vinti, una pace la cui instabilità era divenuta preludio alla seconda guerra mondiale; altrettanto fragile la pace di cento anni dopo, insidiata da opposti nazionalismi, tra i quali, allora, quello minaccioso di  Donald Trump.  

Del resto, l’analogia tra gli anni Trenta del XX secolo seguiti alla grande crisi del 1929, anni che sarebbero serviti da preludio al secondo conflitto mondiale, e la nostra epoca, era già stata chiamata in causa da Macron sulla stampa per lamentare un’Europa troppo divisa e minacciata da potenze esterne (la Cina, soprattutto, e una «Russia che talora è tentata dalla manipolazione», come si espresse allora Macron).

Da tempo, dunque, e prima della pandemia, Macron sembrava voler evocare nella comunicazione di massa un ‘tragico’ incombente ma prevedibile, una costante della storia umana, che per analogia con altre epoche, nemmeno tanto remote, doveva prepararsi al ‘ritorno del tragico’. In questa sua pubblica presa di coscienza, Macron ha un punto di riferimento preciso nella storia politica e intellettuale francese.Jean Paul Sarte e Raymond Aron, visita al Presidente Francese, 1979

La rivista  Philosophie Magazine ricorda che nell’immaginario collettivo il ritorno della tragedia nella storia è legato a una visita, nel 1979, di Jean-Paul Sartre e Raymond Aron all’Eliseo (qui il resoconto televisivo).

I due filosofi e intellettuali, che per l’occasione avevano rinunciato alle loro profonde divergenze ideologiche, e si erano riuniti grazie alla mediazione del filosofo André Glucksmann, chiesero per i boat people del Vietnam, ossia  i profughi che scappavano dal regime comunista di Hanoi, 3000 visti d’ingresso in Francia. Il Presidente Valéry Giscard d’Estaing alla fine, versando una lacrima, ne accordò solo 1000. Sartre, ormai cieco, era stato sin dall’inizio disincantato, Aron aveva sperato in qualcosa di più. Dopo l’esito deludente, Aron pronunciò una frase destinata a diventare celebre:

«Il dramma di Giscard è che ha dimenticato che la storia è tragica».

Boat people vietnamiti, 1979

Lo storico e filosofo spiegherà due anni più tardi, nel libro Lo spettatore impegnato (1981)[2], quel che intendeva dire: «ho scritto spesso che Giscard d’Estaing, un uomo molto intelligente, molto istruito, è anche un uomo irenico, un uomo di pace. Quando si ascoltano i suoi discorsi, si ha sempre l’idea che tutto può aggiustarsi con negoziazioni, compromessi, con la ragionevolezza. Quasi mai dà l’idea che, nel mondo in cui viviamo, vi siano dei conflitti probabilmente inespiabili, che ci sia il rischio, il pericolo di tragedie».

Persino con i Sovietici, sottolineava Aron, Giscard d’Estaing pretende di avere dei rapporti cordiali. «Ma il mondo del XX secolo, quello nel quale ancora viviamo, è un mondo di volenza, di passione, di odi. Ancora oggi c’è qualcosa che oppone noi al mondo sovietico, ed è essenziale. Eppure quando si ascolta il Presidente della Repubblica, non si ha mai la sensazione che egli senta l’aspetto tragico o eccessivo delle relazioni tra i paesi o tra le idee»[3].  Bisogna dunque essere capaci di violenza per comprendere la violenza dei Sovietici – aggiungeva Aron – e perciò il Presidente francese non avrebbe mai saputo davvero trattare con loro, e in generale con altre potenze straniere e militari.  

La parola tragedia compare spesso negli scritti di Raimond Aron, sin dal 1957, nel titolo del suo primo pamphlet di successo: La tragedia algerina[4]. La storia umana stessa è per Aron una tragedia[5], ma ‘tragedia’ e ‘tragico’ connotano in particolare la guerra, l’evento nel quale si verifica l’apice del dolore e si sovvertono le leggi non scritte della Natura.

Valery Giscard d'Estaing (1926-2020), al centro

Nelle sue Memorie (1983)[6], Aron ricorda le celebri espressioni di Erodoto I, 87 sul perché la guerra è una tragedia: «Nessuno è tanto privo di senno da preferire la guerra alla pace: ché in questa i figli seppelliscono i genitori, in quella i genitori i figli»[7]. La tragedia delle generazioni, scrive Aron, non era mai stata così chiara come durante la guerra del 1914-1918, durante la quale giovani che non volevano morire si sentirono, e furono, condannati a morte. Senza avere il senso della tragedia individuale e del sacrificio di ogni singolo uomo, non si possono comprendere le tragedie collettive e le tragedie dei popoli:

«La storia dell’umanità è disseminata di culture morte, talora persino svanite nella memoria dei viventi. La storia fu tragica per gli Indiani, per gli Incas, per gli Aztechi. Chi può dubitarne? Calpesta i cadaveri delle culture così come quelli degli uomini. Dove sta andando?  Quel che verrà domani, potrà mai giustificare le sofferenze di coloro che muoiono durante il percorso per arrivarci? Nessuno ha la risposta. […] Gli eventi del nostro secolo hanno dissipato le nostre illusioni: il progresso della scienza non garantisce né il progresso degli uomini né quello delle società. Gli orrori del regime hitleriano e di quello stalinista, contrariamente a quel che si pensa, ci impediscono di avere una forma rozza di progressismo. Sappiamo che tutto, compreso il peggio, è possibile, ma che il peggio non è moralmente indistinguibile da ciò che è opportuno»[8].

Sarte, Glucksmann, Aron in conferenza stampa dopo la visita a Giscard

La guerra privata del suo aspetto umano, in cui cioè il destino dei singoli individui è ridotto a numero, a statistica, perde il suo aspetto tragico; persino la morte diventa meno tragica: l’uccisione di Nicia, dice Aron, così come è raccontata da Tucidide, è ‘tragica’, non lo è invece quella di John Fitzgerald Kennedy, nella sua inspiegabilità e nel suo essere opera di uno sconosciuto che non agiva in base ad alcuna motivazione ideale.

In Aron, tragedia e tragico, perciò, non si riferiscono all’idea di un destino che conduce inesorabilmente verso la morte e la distruzione. La sua non è una visione pessimistica della storia: Aron pensa infatti che la ragione riuscirà a dissipare il buio, e che l’uomo ‘tragico’ del XXI secolo, cioè diviso tra scelte fondamentali per la sua stessa sopravvivenza e per la sopravvivenza del suo mondo, saprà uscire dalla sua situazione tragica affidandosi alla sua coscienza. Il tragico della storia, perciò, acquisisce una dimensione ottimistica, anzi progressiva, che normalmente è persa nel linguaggio comune e che invece viene recuperata nei discorsi recenti del Presidente francese Emmanuel Macron.

Il presidente francese Emmanuel Macron accende una fiamma alla tomba del milite ignoto durante le celebrazioni dell'armistizio della Prima guerra mondiale, Parigi, 11 novembre 2018 (BENOIT TESSIER/AFP/Getty Images)

Torniamo allora a Macron e alla sua riflessione sul ritorno del tragico nella storia. Senza dubbio, sottolinea l’articolo citato di Philosophie Magazine, Macron conosce l’incontro di Sartre e Aron con Giscard d’Estaing. E non è certo a caso se riprende l’espressione di Aron. Macron è stato frequentemente paragonato proprio a Giscard d’Estaing, per la giovinezza, l’ottimismo, il riformismo. Il paragone non sempre poteva risultare lusinghiero: Macron vuole porsi come uomo d’azione, come chi sceglie e si assume tutti i rischi delle sue scelte. Vuole riuscire lì dove Giscard invece proprio non riusciva: ossia nel comprendere il tragico della storia e agire di conseguenza. Macron fa della consapevolezza del ritorno del tragico un atto di responsabilità individuale. Sembra perciò adempiere, quarant’anni dopo, alle richieste di Raymond Aron al Presidente francese.

Scrive Aron ancora nelle sue Memorie: «Il rimprovero che rivolgevo a Giscard d’Estaing all’inizio del suo settennato era che disconoscesse, almeno in apparenza, la natura degli uomini con i quali doveva trattare. Perché mettere dei fiori sulla tomba di Lénin, profeta di una fede la cui diffusione avrebbe previsto la morte di tutti i Giscard d’Estaing del pianeta? Ragionevole, predica la conciliazione a degli uomini che non concepiscono la politica e la storia che in termini di conflitti inespiabili»[9]. «Inespiabile»: Macron usa lo stesso aggettivo di Aron, penso consapevolmente, quando, in visita all’Algeria, definisce «inespiabile» la colonizzazione francese.

Al contrario di Giscard d’Estaing, Macron, consapevole degli inespiabili conflitti ed eventi che costellano la storia umana, si presenta come pronto ad affrontarli con serietà e pertanto a correre i suoi «rischi» in prima persona, come ha dichiarato.

Il presidente russo Vladimir Putin arriva a Parigi per le celebrazioni dell'armistizio della Prima guerra mondiale, 11 novembre 2018 (BENOIT TESSIER/AFP/Getty Images)

Senonché l’atteggiamento con cui l’attuale Presidente della Francia si pone rispetto al ritorno del tragico (e non solo lui, ma anche gli altri leader europei e il Presidente degli Stati Uniti) ha qualcosa di preoccupante, specie alla luce degli ultimissimi avvenimenti bellici. Tale ritorno, infatti, non è certo considerato una sconfitta per l’Europa e l’Umanità, un regresso e nemmeno uno spauracchio.

Il tragico viene invece inteso come nuova occasione, come avventura, come possibilità di catarsi di un mondo sazio e stanco.

Naturalmente di questa ‘tragedia’ globale protagonisti diventano singoli ‘eroi’ tragici che si stagliano su un coro immenso che non agisce, o se agisce non ha libertà di scelta. Così Boris Johnson, sin da quando il conflitto ucraino non era ancora ufficialmente iniziato, parla di “errore tragico” da parte di Putin, riferendosi al concetto già aristotelico di hamartia e contemporaneamente individualizzando la responsabilità dell’inizio del conflitto su un solo ‘eroico’ antagonista.

Un manifesto contro Trump esposto durante le celebrazioni dell'armistizio della Prima guerra mondiale, Parigi, 11 novembre 2018 (AP Photo/Vadim Ghirda)

Anche l’equiparazione tra i singoli attori della politica mondiale, più o meno potenti, Putin, Biden, Johnson, lo stesso Macron, con gli eroi tragici va contestualizzato in una dimensione del tragico moderno e contemporaneo che si può far risalire all’epoca dell’ascesa di Napoleone.

Johann Wolfgang Goethe fu ricevuto dall’imperatore a Erfurt (Napoleone aveva invaso la Francia) e il loro breve incontro ebbe per argomento la tragedia, dato che Goethe era celebre  come autore di tragedie. Dopo aver biasimato la tragedia francese, che si era allontanata dalla realtà, l’Imperatore espresse la sua disapprovazione  per la cosiddetta ‘tragedia del destino’, cioè la tragedia alla greca.

«Tragedie del genere appartengono a un’epoca oscura – disse l’Imperatore. Che significa oggi il Destino? La politica è il Destino» – disse Napoleone (o almeno così ricorda Goethe).

Napoleon’s meeting with Goethe at Erfurt. Photogravure from a painting by Eugène Ernest Hillemacher

Con Napoleone entra metaforicamente in scena un nuovo eroe tragico, la cui azione campeggia su quella dei popoli e che liquida il Destino, il concetto-cardine del concetto di tragico dell’idealismo tedesco, sostituendolo con la Politica. Da allora, i potenti della terra hanno tutti assunto una maschera ‘tragica’.

A dare espressione teatrale a questo dimensione tragica della politica è stato Heiner Müller nel suo Filottete (1961) ispirato dall’omonima tragedia di Sofocle.

Nel dramma di Heiner Müller, così come in quello di Sofocle, Odisseo, colui che vuole riportare Filottete a Troia con l’inganno, impersona proprio l’eroe tragico-politico contemporaneo: «Con Odisseo la storia dei popoli si scioglie nella politica dei potenti, il Destino perde il suo volto e diventa la maschera della manipolazione».

Odisseo è attore e maschera del suo destino, l’utensile della storia che è lo scultore, l’animale politico che si crea da sé stesso; oggetto della sua politica non è l’eroe incrollabile, ma la «bambola», il fantoccio, di cui riesce a fare quello che vuole, su cui esercita la sua «manipolazione».

Il drammaturgo tedesco Heiner Müller

Non vi è più un Destino esterno all’uomo, ma un Destino generato dall’azione umana, o meglio dall’azione politica. L’Odisseo di Heiner Müller, portato in scena oggi, potrebbe assumere la maschera di Putin, di Biden, di Macron, di Johnson … Eroi che non arrivano all’auto-distruzione, come Edipo o Creonte nella tragedia greca, ma al contrario tendono alla preservazione. Quest’Odisseo contemporaneo, annunciato dalle pagine di Max Horkheimer e Theodor Adorno nella Dialettica dell’Illuminismo[10], è diventato «il primo attore del proprio destino, è lo straniero, qui e là, il suo nome è Nessuno, la sua terra, terra di nessuno» (ancora Heiner Müller).

Qual è lo scopo finale della tragedia politica del contemporaneo, i cui attori manipolano le masse come oggetti di un Destino che significa scelta politica?  Macron delinea uno scenario tragico amplissimo, una rappresentazione tragica su più livelli e con diversi attori, il cui esito finale auspicabile, come nella tragedia greca secondo Aristotele, sia una specie di catarsi.

 Non a caso, nel 2018, parlando di letteratura, Macron confessava:

«Paradossalmente, quel che mi rende ottimista è che la storia che noi viviamo in Europa ridiventa tragica. L’Europa non sarà più protetta come è stata sinora. Questo vecchio continente di piccoli borghesi dopo la fine della seconda guerra mondiale, sentendosi al sicuro nel confort materiale, entra in una nuova avventura in cui si invita il tragico. Il nostro paesaggio familiare è in procinto di cambiare profondamente sotto l’effetto di fenomeni molteplici, implacabili, radicali. C’è molto da reinventare. E in questa avventura, possiamo di nuovo ricominciare con un respiro più profondo, in cui non mancherà la letteratura».

En passant, si può ricordare che nella stessa occasione Macron affermò che mentre Angela Merkel aveva uno sguardo più ‘scientifico’, Vladimir Putin, come aveva potuto verificare a Versailles, era molto più sensibile all’arte, alla letteratura, alla musica, alla storia.

Il Prsidente degli Stati Uniti Joe Biden

Quel che è preoccupante di questa dichiarazione di Macron è pensare il ‘ritorno del tragico’ come un’occasione di rinnovamento e di miglioramento della società, e della vecchia Europa in primo luogo, è l’interpretare l’esperienza tragica come un’avventura.

La tragedia contemporanea, dunque, diventa ottimistica? Anche questa, sotto diverse angolazioni, è un’acquisizione del XX secolo, che trova il suo manifesto drammatico nella Tragedia ottimistica (1933) di Vsevolod V. Vishnevsky, un dramma sulla Rivoluzione Russa che prospetta un nuovo senso di tragico, diverso da quello tradizionale della società borghese. La morte tragico-eroica, in questo contesto, diviene quella dell’eroe rivoluzionario, di contro a un ‘tragico’ borghese e conservatore, di cui scrivono, applicandolo alla cultura industriale, Adorno e Horkheimer:

«Il tragico, ridotto a un aspetto previsto e consacrato del mondo, torna a vantaggio e a benedizione di quest’ultimo. Esso serve a parare e a respingere l’accusa che non si prenderebbe la verità abbastanza sul serio, mentre invece, come tutti possono vedere, la si incamera e la si fa propria con cinico rammarico»[11].

Armata rossa durante la Rivoluzione russa

Naturalmente Emmanuel Macron non intende rifarsi, nella sua idea di tragedia come avventura, alla tragedia rivoluzionaria e utopistica dei Sovietici.

Ma anche per Macron, almeno nelle dichiarazioni che abbiamo letto, il tragico ha un effetto rivoluzionario, serve a rinnovare la società e a reinventare l’individuo, sortendo un effetto catartico (il ‘respiro profondo’ alla fine di eventi tragici). Bisogna forse riandare ancora all’inizio del ‘900 per trovare una concezione catartica e rigeneratrice del tragico, in cui svolse un ruolo di primo piano la lettura mirata di Nietzsche. La dimensione tragica delle rivoluzioni che credono di poter rinnovare sin dalle fondamenta l'esistente si è misurata nella storia, purtroppo, col sangue. Non vogliamo attribuire a Macron una tale idea, e allora analizziamo un'altra possibile accezione del suo 'tragico' intesa come avventura. E torniamo alla cultura francese. 

Di ‘ritorno del tragico’ nelle società post-moderne ha parlato proprio all’alba del XXI secolo Michel Maffesoli, in L’instant éternel: Le retour du tragique dans les sociétés postmodernes (Paris 2000). Vi sono dei momenti, pensa Maffesoli, in cui si rinuncia al sogno prometeico di poter cambiare il mondo, ma lo si accetta così com’è, come una necessità. Invece di pensare al futuro, si vive in un eterno presente, in cui vale l’esibizione del corpo, il piacere, l’orgia, il godimento estremo. La morte diventa anch’essa un atto di esibizione, la violenza si commette per mostrarla, per farne spettacolo, la vita sembra aver senso per essere consumata: un’alternativa all’etica della produzione e dell’utilitarismo, ma anche un’aspirazione alla perdita di sé stessi nella comunità[12].  

Il Presidente ucraino Vladimir Zelenski

Parte di quella componente edonistica del tragico potrebbe essere presente anche nell’affermazione di Macron, per il quale il tragico contemporaneo in fin dei conti è un’«avventura», da vivere con ottimismo. Un gioco, insomma, o almeno un’esperienza seria che va vissuta come un gioco. Ma il gioco implica che lo si guardi da lontano, come una tragedia in teatro. 

Il gioco infatti è una componente del tragico, anche perché attraverso il ‘gioco’ della rappresentazione, in teatro, possiamo prendere le distanze dal tragico; partecipando al ‘gioco’ teatrale si apre uno spazio di riflessione, sia per gli attori che per il pubblico. I conflitti messi in scena dalla tragedia, cioè, valgono come modelli dei conflitti della realtà, che non trovano una soluzione nel gioco della rappresentazione, ma potrebbero trovarla nella sua continuazione dopo lo spettacolo. La tragedia della storia comincia dove finisce il gioco del teatro.  

Forse la tragedia diventa un'avventura se ne restiamo distanti, se la guardiamo da una postazione sicura, come lo spettatore che sulla terraferma osserva un naufragio, o come chi osservi la guerra o un altro fatto luttuoso su uno schermo o su una foto. Il dolore degli altri ci commuove e perciò la tragedia, come affermava già Lessing, ci rende migliori, perché ci concede la capacità di provare compassione. Questo ci inorgoglisce, al punto da guardare ogni spettacolo tragico provando piacere, per quanto tremendi, sanguinosi e orribili siano i fatti che ci scorrono davanti agli occhi. 

Macerie di Stalingrado, Sexconda guerra mondiale

Forse l'ottimismo di Macron si basa su quest'aspettativa di catarsi che sempre seguirebbe alla tragedia? Perciò Macron pensa che il tragico sia una (nuova) avventura?

Scrive Vladimir Jankélévitch in L’avventura, la noia, la serietà[13]: «perché ci sia avventura, bisogna essere al tempo stesso dentro e fuori: colui che c’è dentro dalla testa ai piedi è immerso in piena tragedia; chi ne è completamente fuori, come uno spettatore a teatro, contempla uno spettacolo di cui non fa affatto parte, senza prenderlo sul serio – ecco il mondo visto da una poltrona e nell’ottica contemplazionistica del gioco»[14].

Ma allora anche le scelte politiche, che per Napoleone sono la versione moderna del destino, possono essere un gioco?

Non abbiamo risposte; ma ci riesce difficile vedere nel ritorno del tragico in Europa una nuova occasione, una chance, una possibile avventura che ci renderà più saggi e forti. Per noi il ‘ritorno del tragico’ nella storia contemporanea significa assistere ad una nuova ‘utopia capovolta’[15],  per usare un'efficace espressione di Norberto Bobbio, quella cioè un’Europa, o di almeno parte dell’Europa, che credeva di aver conquistato la pace e una propria autonomia politica e culturale, e si rende conto che non è affatto così. 

Il presidente russo Vladimir Putin stringe la mano a quello americano Donald Trump durante le celebrazioni dell'armistizio della Prima guerra mondiale, Parigi, 11 novembre 2018 (LUDOVIC MARIN/AFP/Getty Images)

Le immagini del novembre 2018 sotto l'Arco di Trionfo, in cui Trump e Putin si davano la mano, mostrano adesso solo altrettante maschere di eroi manipolatori, come Odisseo, che giocano su un palcoscenico una tragedia il cui contenuto si conosce dopo l'esibizione. La Politica ha davvero preso il posto del Destino. 

Tragico appare il chiaro fallimento dell’utopia Europa, ossia il fatto che siano tutte disattese quelle promesse di cui parlava Macron nel discorso da cui abbiamo preso le mosse, le promesse di progresso e di pace. Il popolo forse chiederà al Presidente di cercare il colpevole di tanta sciagura. Conosciamo la risposta dell'oracolo. 

Guerra in Ucraina, 2022

 Altre foto dalla commemorazione del novembre del 2018 si trovano qui: https://www.ilpost.it/2018/11/11/foto-parigi-prima-guerra-mondiale/france-wwi-politics-history-centenary-diplomacy-4/

[1] Traduzione integrale del discorso qui: https://it.ambafrance.org/Discorso-del-Presidente-Emmanuel-Macron-al-Parlamento-europeo-19-gennaio-2022.

[2] R. Aron, Le spectateur engagé. Entretiens avec Jean-Louis Missika et Dominique Wolton, Paris, Edition de Fallois, 2004 (le traduzioni sono mie) .

[3] Le spectateur engagée, cit., pp. 375-376.

[4] La tragédie algérienne, Paris, Plon, 1957. 

[5] «La tragedia che si chiama storia umana», Le spectateur engagée, cit., p. 436.

[6] Mémoires. Édition intégrale. Préface de Nicolas Baverez. Avant-propos de Tzvetan Todorov, Paris, Robert Laffont, 2010.

[7] Mémoires., cit., p. 71.

[8] Mémoires., cit., p. 985.

[9] Mémoires., cit., p. 739.

[10] Dialektik der Aufklärung, Hektografiertes Manuskript 1944.

[11] Horkheimer, Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Torino, Einaudi, 2010, p. 195 (trad. it.).

[12] Maffesoli aveva già parlato di questo nel suo fortunato libro L’ombra di Dioniso, una sociologia delle passioni, trad. italiana, Milano, Garzanti, 1990.

[13]L’Aventure, l’Ennui, le Sérieux (1963), trad. it Carlo Alberto Bonadies, L’avventura, la noia, la serietà, Torino, Einaudi, 2018.

[14] L’avventura, cit., p. 33.

[15] Titolo di un articolo che Norberto Bobbio pubblicò sulla Stampa per commentare la Strage di Tienanmen, in seguito ripubblicato in Teoria generale della politica, a cura di Michelangelo Bovero, Torino, Einaudi, 20092.