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Nel 2020 siamo stati i primi in Italia a tradurre il discorso dell’attrice Kay Sara, tenuto a distanza per lo scoppio della pandemia di COVID, in occasione dell’apertura di uno dei più importanti festival di teatro, le Wiener Festwochen, la cui edizione 2023 si è appena conclusa.

Quel discorso in video fece scalpore: inaugurava provocatoriamente un tradizionale festival di teatro europeo con un disincantato atto d’accusa proprio contro l’Occidente, denunciando l’ipocrisia della società consumistica, l'abuso di una commozione di facciata e tutto sommato inutile da parte di celebrità del mondo dello spettacolo e della cultura. Nello spettrale clima pandemico, l’accusa risuonò emotivamente ancora più forte. La diffusione del virus pareva, in quell'iniziale drammatico momento, un’altra conseguenza del perverso rapporto tra uomo e natura. E quale esempio più tragico poteva darsi della crudeltà umana della dissennata deforestazione in Amazzonia del più grande polmone verde del pianeta? La 'progredita' civiltà occidentale dava splendidi esempi di barbarie per servire le ragioni del capitale e una giovane attrice riusciva ad alzare la voce in difesa del suo popolo e della sua terra, una voce che risuonava forte e chiara nel silenzio attonito di un'imprevista e misteriosa epidemia proprio nel cuore del mondo ricco e capitalista. Kay Sara stava in quel momento interpretando il ruolo di Antigone nella nuova produzione di Milo Rau, un artista su cui abbiamo scritto molto, sia su questo blog che nella nostra rivista.

Milo Rau ormai è notissimo; dal prossimo anno dirigerà proprio il festival viennese, non senza una evidente contraddizione con la sua idea politica e attivista di teatro sinora praticata. Dopo tre anni, giunge in Europa quella sua produzione amazzonica ispirata all'Antigone di Sofocle, che il 3 e 4 ottobre 2023 sarà al Teatro Argentina di Roma per il Roma Europa Festival. Lo spettacolo, dopo  Gent, è stato visto finalmente nelle Wiener Festwochen, a cui era originariamente destinato (le foto sono tratte dal sito di questo festival). In attesa di ‘Antigone in Amazzonia’ a Roma, anticipiamo una rassegna di recensioni di ambito germanofono, a partire da quella di Reinhard Kriechbaum su nachkritik.de.

 

Sono morto da 500 anni ma sto sempre qui 

Nella regione amazzonica del Pará, lo stato brasiliano più settentrionale e politicamente il più violento, il Brasile è un ‘principio economico’ piuttosto che una nazione, ha scritto di recente Milo RauTra il 2019 e il 2022, Rau e il team del teatro di Gent da lui diretto hanno lavorato nel  Pará con persone che hanno vissuto uno dei massacri più sanguinosi della storia del paese: nel 1996 furono fucilati sul posto dalla polizia militare diciannove manifestanti, che occupavano un’ importante autostrada economicamente cruciale. Molti serbano il vivido ricordo di quella strage; alcuni di loro sono poi diventati attivisti del potente "Movimento dei lavoratori senza terra" (MST), che conta ben più di un milione di persone. In quattro decenni, questo gruppo di resistenza ha dato, ad almeno mezzo milione di famiglie, la possibilità di vivere (o meglio di sopravvivere) grazie all’occupazione delle terre. 

Neoliberismo contro equilibrio ecologico 

Milo Rau ha ambientato la storia di Antigone proprio in questa regione economicamente e politicamente esplosiva. Ecco i suoi paralleli con la tragedia antica: Creonte, re di Tebe, rappresenta le leggi che ha promulgato per mantenersi al potere. Insistendo per seppellire il fratello morto, Antigone evoca invece un ordine mondiale antico, arcaico, naturale, si può dire. In sintesi: Creonte incarnerebbe  il prepotente sistema capitalista neoliberale, Antigone la vita in armonia tra uomo e natura. 

Quattro attori sul palcoscenico, strumenti musicali a sinistra, un tavolo con poltroncine di plastica a destra. Un attaccapanni. Un pavimento di terra rossa. Ad intervalli, su richiesta degli attori, tre schermi scivolano giù dal buio. Le impressionanti registrazioni video sono il cuore della performance. Grazie ai video, assistiamo alla rappresentazione di scene dall'Antigone, girate  in Brasile, ma soprattutto veniamo a conoscere molte cose sull'ambiente di vita degli abitanti di quella regione. 

All'inizio, si capisce perché l'ambientazione brasiliana, quale sia il ruolo politico del "Movimento dei senza terra", la sua importanza come 'coro' nella struttura tragica. "Niente è più mostruoso dell'uomo", recita il testo di Sofocle. Ed ecco subito una carrellata nella giungla amazzonica. L’uomo mostruoso abbatte spietatamente alberi e costruisce dighe sui fiumi, "costringe i figli della foresta a dimenticare la loro patria" e occupa la loro terra. L'argomento dello spettacolo è sin da subito chiaro e lampante.

Tra palcoscenico e video 

Le parole del coro consistono nei messaggi politici degli indigeni, nelle loro voci. I quattro personaggi in scena raccontano la loro esperienza in Brasile, la situazione che vi hanno trovato, gli incontri significativi, le emozioni, la commozione, le riflessioni. Il tutto risulta interessante e istruttivo, ma non sempre o non proprio spettacolare o entusiasmante; a volte sembra invero di assistere a un programma didattico. 

Si parla portoghese e olandese, con sopratitoli in tedesco e inglese:  un bel po' da leggere, insomma. L'attivista e attrice indigena Kay Sara interpreta Antigone solo nei video. No, non è venuta in Europa, non è voluta venire. La sua parte è recitata in scena da Frederico Araujo, mentre Sara De Bosschere interpreta Creonte. Quello che i quattro attori recitano insomma è solo un doppio di ciò che si vede e ascolta nelle sequenze video. 

La protesta muore per ultima 

In video compare anche il filosofo indigeno Ailton Krenak nel ruolo di Tiresia. I veggenti intervengono nelle tragedie antiche quando la catastrofe è già in pieno svolgimento. Tiresia dice: "I segni stanno sulle nostre teste", quindi basta guardarli e intepretarli, saperli interpretare. Ma c'è appunto bisogno di un mediatore come lui. Questo Tiresia non ha paura della morte, anzi, è una reincarnazione: 'fantasmi' del suo genere sono "morti da 500 anni, eppure sono ancora qui". Ma il filosofo/veggente si preoccupa piuttosto per noi del Vecchio Continente, così poco abituati a catastrofi e apocalissi. 

La storia di Antigone giunge al suo finale con il triplo suicidio tra il bagliore delle fiamme. Eppure la vita continua nella giungla amazzonica minacciata dalla deforestazione. La volontà di protestare muore per ultima, questo l'edificante messaggio della pièce. La lezione della serata? Gli alberi della giungla dovrebbero essere tutelati, agli indigeni dovrebbe essere permesso di vivere in condizioni dignitose e in armonia con l'ambiente. Il pubblico del festival non lesina la standing ovation. 

"Una performance delicata, che però non manca né della forza della rabbia né di un grande pathos", scrive Egbert Tholl sulla Süddeutsche Zeitung (27 maggio 2023). Lo spettacolo contiene anche molta angoscia, perché confluiscono insieme due tragedie, quella antica e quella dei senza terra in Brasile. L'interazione tra video e azione scenica funziona qui particolarmente bene, secondo Thomas Kramar sulla Presse (27 maggio 2023). Rau ci chiede in che maniera noi guardiamo alla realtà dell'Amazzonia, quanto il nostro approccio sia ancora colonialista. Discuterne è uno degli aspetti più stimolanti del teatro politico di oggi, osserva Stephan Hilpold nello Standard (26.5.2023). Jakob Hayner nota su Die Welt (22 maggio 2023) che il modo in cui Rau unisce l'antico e il presente esige un grande sforzo interpretativo. La tragedia antica ci diventa come estranea e tutto ciò che si pensava di sapere sull’ "Antigone" di Sofocle viene messo in discussione.  

La valutazione di Uwe Mattheiss sulla taz (30 maggio 2023) è sinora la più ambigua. La pièce raggiunge il culmine quando va oltre motivo dell'Antigone, per mostrarci le strategie economiche e quotidiane di persone che vivono come dimidiate, al punto da insegnare ai loro figli la cosmologia indigena al mattino e la matematica all'ora di pranzo. Ma lo scopo di Rau non poteva  solo raccontare un'esperienza, dato che il suo è un progetto artistico. Forse è sull'utilità di tale progetto che bisogna avanzare dei dubbi. Nello spettacolo, vengono impiegati "tutti i media e le convenzioni drammatiche che generano emozioni" per coinvolgere il pubblico. Il massacro dell’autostrada, così,  sta al centro di un vero film con effetti splatter e di suspense. Il finale è decisamente estetizzante: la tragedia finisce con un incendio degno di un'opera lirica, gli indigeni paiono comparse di un film dal linguaggio pasoliniano. Troppo romanticismo nello sguardo verso quelle popolazioni e quei fatti. E se la catarsi resta lo scopo della rappresentazione tragica, questa sembra quasi una maniera per eludere la domanda stringente, che Rau, con il suo teatro, ha il merito di porre: cosa possiamo davvero fare?