Abstract
Vent’anni fa, quando siamo arrivati per la prima volta al Cimitero della Futa, un’opera architettonica incredibile, sull’Appennino tosco-emiliano, ci siamo guardati intorno. Non abbiamo avuto dubbi. Abbiamo pensato: Eschilo. Abbiamo detto: I Persiani... Così è iniziato tutto. Poi è arrivata l’Orestea. Il passo della Futa è diventato il nostro Teatro di Marte, secondo la concezione extraterrestre di teatro di Karl Kraus: un luogo della memoria, del dolore, della sconfitta ma anche della pietà e dell’ambiguità: qui vi è sepoltura di nemici, più di 30.000 soldati tedeschi. Un camposanto tragico dove un coro silenzioso, dal sottosuolo, influenza costantemente le scelte etiche, ma anche drammaturgiche e filosofiche, in un gioco inesauribile di riflessioni sulla storia, sull’orientamento rispetto a quello che ci ruota intorno, sul nostro principio responsabilità.
Riferimenti bibliografici
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