IL RITORNO DELLA DANZA MACABRA
Ed ecco che la signora con la falce è tornata presso di noi. Si è seduta nei nostri salotti, sui nostri divani, ha incrociato le scheletriche gambe, appoggiandosi sulla falce ricurva, e ci guarda da vicino.
Quanto tempo era che non la vedevamo! Né lei né i suoi riti, ormai confinati nel frettoloso chiuso delle chiese, impediti di camminare per le vie, accompagnati dagli inevitabili e automatici scongiuri al quasi unico segno, il passare di una station wagon nera. E tutti a sbirciare se era vuota o piena, il che comporta scongiuri diversi.
E lei non è più come era nei dipinti delle danze macabre del medioevo, non è più come nelle dinamiche raffigurazioni tibetane, si è imborghesita. Se si usasse ancora, fumerebbe, la sigaretta tra le dita ossute e raffinate.
Cominciamo a vederla. Forse siamo anche tentati di conoscerla meglio. Come vivere con questo vuoto sguardo su di noi. Esercita un suo fascino. Aspetta, ci attira, ci esaspera, vabbè, allora mi butto sul filo spinato e la faccio finita! Devono aver pensato ad Auschwitz o Dachau. Vengo con te.
Ha l’atteggiamento di chi sa che prima o poi avrà partita vinta. Come una sposa fedele sa che prima o poi il marito cadrà nella sua tela.
Ogni tanto esce per strada e guida un lungo corteo, e la seguono principi e capi di stato, influencer e calciatori, operai, medici, infermieri, portantini, portieri, cassiere di supermarket, giovani, vecchi, vicini di casa, neri, asiatici, lapponi e bianchi… tutti hanno ceduto alla tentazione, sono caduti nelle sue braccia, oppure hanno pensato fosse un’ospite un pò eccentrica da non prendere troppo sul serio, oppure …
Eh sì, bella signora, pensavamo di averti allontanata, di averti nascosta, e avevamo finito per credere che te ne eri andata via, da un’altra parte, in un altro pianeta, che eri inadatta alla vita moderna.
Bella signora, hai cambiato il corso dei miei pensieri e la mia sensibilità. Sei uscita dalla letteratura più viva che mai – che paradosso! -. Hai lasciato Tebe e hai fatto di noi un nuovo coro, in cerca del colpevole, dell’assassino di Laio, implorante il rispetto delle regole degli dei, che urla: “gli dei stanno morendo”.
Ed è questa morte degli dei, o questa loro agonia, qui nell’emisfero nord, che fa sì che siamo colti alla sprovvista, che non capiamo da dove sei entrata nelle nostre sicure case. Di certo non ti abbiamo aperto la porta!
Dovremo reintegrarti nel nostro mondo, nel nostro sentire, riscoprire che fai parte della vita, anzi che ne sei l’altra faccia quotidiana, rivedere qualche scala di valori.
Benvenuta, sorella morte.
INNO AD ASCLEPIO
Sì è vero, però non ti arrabbiare! Sii benevolo, o dio!
Era tanti anni fa, settembre 11, passavo per la via abituale. Davanti al negozio del macellaio – se ricordo bene – sento due donne parlare: ho pensato che fosse un telefilm, diceva una all’altra. Poi seppi che due aerei avevano sezionato le torri gemelle. Non posso scordare i fogli che volavano dai piani alti, farfalle, neve a fiocchi immensi che voltolava nell’aria. E tra i fiocchi corpi pesanti, stagliati sullo sfondo, come in un quadro di Magritte. E poi la polvere, onde gigantesche di polvere, e l’asfalto coperto di pulviscolo bianco, e il silenzio, usciti dalla metropolitana. Fu allora che sbagliammo. Noi coro innocente di semplici cittadini, noi inconsapevoli dei giochi dei potenti, brancolando nello sgomento cercavamo i nostri eroi. Pensammo che i vigili del fuoco fossero i nuovi eroi. Si erano sacrificati con abnegazione, avevano cercato di mettere le persone in salvo, ne erano morti tanti, vedevamo in essi una speranza di salvezza, fisica e morale, ci riscattavano dalla nostra pusillanimità quotidiana. Tu stavi nascosto, acquattato quasi. Non vedemmo in te il guaritore delle nostre ferite. Non sapevamo che Efesto non aveva i tuoi stessi poteri, che eri tu il dio maggiore.
Poi è arrivato quell’invisibile virus, l’incoronato. Lento e inarrestabile ha cominciato a seminare malattia e morte, si è rapidamente sparso per tutta la terra, la terra infinita! come cantava il poeta, ed altri eroi sono apparsi, i tuoi! I sacerdoti della tua medicina, i medici, gli infermieri, tutti quelli che si prendono cura del nostro respiro affannoso, delle nostre febbri senza remissione.
Noi crediamo in te! Non ci abbandonare! Perdona i nostri errori! Vedi: ti stiamo erigendo nuovi templi e stiamo restaurando i vecchi, trascurati forse grazie a un lungo periodo in cui ci avevi assicurato salute e cure. E noi ce lo eravamo dimenticato, distratti dalle faccende quotidiane, quanto inutili e futili a volte! Ma ora ti portiamo grandi offerte ai templi, accendiamo incensi profumati, battiamo ritmicamente le mani in un peana di ringraziamento, cantiamo perché le nostre voci arrivino fino a te e ti blandiscano.
Guariscici, o dio!
I NUOVI EROI – INCHIESTA
Ogni anno chiedo ai miei studenti, durante il periodo di studio dedicato al tragico: chi è – secondo voi – un eroe, oggi?
Nel corso degli anni le risposte sono variate:
dalle madri della Plaza de Mayo a Che Guevara, dai partigiani della guerra d’Algeria alla motocicletta (sic!), dai miei genitori a….
Cosa risponderanno l’anno venturo?
DIALOGO TRA ADMETO E UN IGNOTO CITTADINO
Admeto - Tu che tutto sai prima che accada, che hai potere
sull’alloro, figlio di Latona,
generato e venerato a Delo, Paean,
invoco te e gli allori custoditi dalla tua potenza divina:
concedimi, veggente, concedimi di sapere il mio giorno fatale,
concedimi di conoscere quando
le Parche recideranno il filo del destino di Admeto;
rivelami quale sarà la fine della mia vita…
(dall’Alcesti di Barcellona, trad. Raffaella Viccei)
Apollo – I miei strali stanno volando, obliqui, nel cielo. Non vedi la loro ombra nera sulla terra, la confondi forse con quella delle ali di un uccello notturno? Il tempo accelera. Stringe. Morirai, Admeto, morirai, a meno che…
(ignoto cittadino)
Marina Spreafico è regista, insegnante di teatro, attrice e autrice.
Per ‘Visioni del tragico’ ha già scritto: https://www.visionideltragico.it/blog/contributi/la-verticalita-del-tragico