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Giovanna Marini ci accolse con amore nella sua casa vicino Roma. Sarà stato il 2007. Fu un pomeriggio indimenticabile. Accettò di comporre la musica per il coro delle Oceanine del nostro Prometeo incatenato al Sasso di San Zanobi. Ci cantava la partitura in greco antico. Uno spettacolo che è rimasto nella memoria di molte persone.

E nei nostri occhi, sulla nostra pelle. Non dimenticheremo mai la tua saggezza, la tua forza, la tua sensibilità, il tuo rigore, la tua intelligenza.

La tua voce!

Qualche tempo dopo ci mandò queste parole:

L'intesa con Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti a proposito della musica di scena per il loro Prometeo incatenato è stata immediata. Mi dissero subito "A noi interessa il testo, lavorare sul testo, trarre il massimo dal testo" e questo mi mise a mio agio. Sono anni che lavoro sulle parole. Mi piace che la cellula musicale scaturisca in modo naturale dal suono della cellula verbale. La musica della parola stessa è quello che mi anima e mi dà l'idea di scriverla in partitura.

Per questo amo tanto la voce: perché immediata portatrice di significati, di emozioni, il tutto già direttamente in musica, perché la voce si muove sulle note, e le sillabe del testo anche. Bisogna ascoltarle molto a lungo, ripetere a lungo il testo, ad alta voce, e il suono esce in modo addirittura organizzato, basta scriverlo. E nel passaggio da questa scrittura tratta dall'orale ad una riproduzione orale avviene qualcosa di miracoloso, lo scritto si perde e il cantore diventa autore stesso del proprio canto.

Ogni interpretazione di quello scritto diviene un'azione scelta dal cantore, con la voce modula e abbellisce lo scritto portandolo ad essere una musica usata, come fosse di tradizione orale, guidato dal significato che sta esprimendo. Questo ho cercato di fare con il testo, molto agile e maneggevole in questo senso, del Prometeo incatenato. E ringrazio i due autori di avermi dato questa occasione per ascoltare nuove voci, interpretare nuove parole. Francesca Breschi è stata il mio alter ego musicale, agendo sulle voci e dirigendo nel giusto senso, quello che da anni coltiviamo anche con il Quartetto Vocale, l'espressione degli attori.

Un grazie a tutti!

Giovanna Marini

 Ecco le note di regia dello spettacolo:

 

La tecnica è di gran lunga meno potente delle leggi di natura

 

Una rupe ai confini del mondo: roccia nuda, la natura, il paesaggio, non c’è altra scenografia, nulla di artificiale, nemmeno amplificazione, né per gli attori né per i suoni. Nessuna illuminotecnica, tutto si deve svolgere alla luce naturale. Siamo alla tragedia statica, verticale. I personaggi vestono abiti contadini o da pastori. Il nostro è teatro di montagna, teatro di resistenza perché oppone al tempo ossessivo della modernità, il tempo ciclico della natura in cui l’uomo ha vissuto per secoli. Il nostro è teatro di Parola: gli attori lavorano in partitura: la traduzione è già lettura critica del testo e partitura costituita dalla selezione accurata delle parole e della metrica. La partitura viene poi ricostruita in prova e diventa spartito su cui segnare i legati, i crescendo, le pause e la loro durata. Que- sto lavoro porta gli attori, come i pupari o i maggianti, forme di teatro epico popolare, non ad immedesimarsi ma a re-citare le parole cui avranno aderito profondamente, coscientemente. Questo metodo di lavoro allontana la recitazione dal caso, dall’istinto o dall’estro dell’attore e la avvicina alle discipline matematiche e razionali quali la musica o la scultura, a quelle forme d’arte popolare depositarie di tradizioni antiche e stabili, tramandate per secoli. Noi, come scrive Pasolini nel Mani- festo per un nuovo teatro, cerchiamo di fare teatro di Parola, che si oppone a quello della Chiacchiera e a quello del Gesto e dell’Urlo.

Una riunione di pastori per rievocare il mito di Prometeo, come fosse una Passione, il tono è epico: come dice Cesare Pavese: il teatro archetipo ha da essere non Azione ma Recitazione.

Abbiamo tradotto Prometeo nell’inverno, come gli amanuensi: ogni parola pesata, ogni verso misurato. Eschilo è come la pietra. Si deve imparare ad osservare con umiltà la materia, saper attendere, assecondare una venatura, come gli scalpellini scartare con cura. Tradurre il greco di Eschilo è già partito preso delle cose: radiografia e specchio del nostro tempo. Siamo alla tragedia del fuoco, la tragedia della tecnica. Abbiamo deciso di far nascere questa tragedia in montagna, al Sasso di San Zanobi, rupe solitaria, nostro Caucaso in Appennino e quindi di portarlo in Sicilia al castello di Calatafimi al tramonto e nell’orecchio sacro del teatro di Segesta all’alba. Noi viviamo e lavoriamo sull’Appennino tosco-emiliano, dove è il vento che insegna a respirare ed è il sole che ti impone la direzione. I greci hanno fatto questo prima di noi, per secoli, in accordo con lo spazio, la luce, il suono. Teatro naturale. Dire e cantare Eschilo è ritrovo di pastori, tentativo di ritrovare quel che si è perduto, prima della tecnica, dell’elettricità, del progresso. Ma per contrappasso è anche lettura co- sciente dell’ineludibile progresso tecnico, lettura tragica del nostro codice genetico, resa dei conti sulle magnifiche sorti e progressive: perché anche se ci siamo assolti siamo tutti coinvolti, siamo tutti presi in questa rete inestricabile di tecnica. In questa lapidazione titanica avvengono le visita- zioni: il Potere ordina ad Efesto di fare il suo mestiere, di incatenare Prometeo, colui che vede in anticipo; gli chiede di fare il lavoro del fabbro: nella prima scena si mette in moto il passaggio dal- l’età della pietra all’età del ferro. Le cantate del Coro delle Oceanine sono di Giovanna Marini, a cui abbiamo chiesto di comporre per tre voci: le Oceanine sono parte di questa riunione di pastori ma portano in scena qualcosa che lega la pastorizia con il mare: sono conchiglie in montagna. Il mare arriva in montagna, come in certi modi della Sardegna, dell’Albania... tanto più che la roccia è sempre crosta oceanica. Tutto il testo può essere letto come un fossile. Avevamo bisogno di Giovanna, del suo magistero, del suo respiro, della sua inesauribile capacità di scomporre, spezzare, armonizzare, suono e parola, della saggezza e della conoscenza, della ricchezza, dello studio della tradizione proiettata nella contemporaneità. Poi altre visitazioni: Oceano che invano percorre la via del compromesso, in questa che è anche tragedia geografica, di mondo a cui bisogna disegnare o occultare dei confini. E ancora Iò la fanciulla/vacca che in maschera e in metamorfosi grida la sua pena da moto perpetuo: antitetica alla stasi del titano. Iò che nell’orchestra disegna e percorre il mondo e lascia tracce di toponomastica al suo passaggio. Infine Prometeo, la cui colpa è di aver donato la tecnica agli uomini rendendoli da infanti quali erano, razionali e padroni della loro mente. Per questo viene incatenato alla roccia, privato della libertà e condannato a soffrire in eterno. E’ riflessione sull’evoluzione della specie, è autoanalisi di gran lunga più spietata e lucida di qualsiasi rapporto sull’energia o referto sul clima, è favola astratta che concretamente indaga sul passaggio dal crudo al cotto. Il nodo tragico è il conflitto Uomo/Techne: Eschilo per primo informa e tende questo nodo insolubile. Ma Prometeo è umano troppo umano, è resistenza sulla roccia: per amore ha donato il fuoco, ha innescato l’età della tecnica. Non sa delle destinazioni e delle conseguenze del suo dono, lo ha fatto disinteressatamente. Ha posto in noi cieche speranze. Quando Eschilo arri- va a dire queste parole, la favola, l’opera morale sembra divenire Profezia. E qui forse, in questa parola chiave, impressa/incastonata nel nome del titano, Prometeo, colui che vede in anticipo, è proprio qui che risiede la chiave che tiene serrato questo cerchio ingegnoso di poesia.

E’ la terza tragedia di Eschilo che affrontiamo: il nostro metodo di lavoro cerca ogni volta di fare piccoli grandi passi in avanti, indietro o intorno alla materia che ci è cara e forse inesauribile.

 

Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni

 

Questa la presentazione dello spettacolo in occasione della prima, al Sasso di San Zanobi (Firenzuola – FI)

dal 2 al 17 agosto 2008 ore 18.00

 

La tragedia del fuoco

Dopo sei anni di lavoro sulla tragedia al Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa con la messa in scena de I Persiani e Sette contro Tebe di Eschilo e Antigone di Sofocle, lavoro che ha po- sto in relazione la tragedia greca con la storia della Linea Gotica e la contemporaneità, ecco una nuova produzione: Prometeo incatenato di Eschilo, tradotto e diretto da Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni e con le musiche originali del Coro delle Oceanine di Giovanna Marini.

Una nuova traduzione in versi del capolavoro di Eschilo; Prometeo incatenato in Appennino, legato al Sasso di San Zanobi, rupe di incredibile bellezza, alla cavea del teatro di Segesta, alla roccia della Casa delle Guide in Valmasino, al Teatro di Buti, con i Cori delle Oceanine appositamente composti da Giovanna Marini.

Qui ci troviamo di fronte alla tragedia che meglio sintetizza il nostro percorso di questi anni: il recupero del peso della parola tragica inscritta in una partitura, il rapporto tra l’uomo e la natura e quindi lo spazio, il graduale discernimento di un testo complesso, arduo, che ci deriva da lontano ma che ci porta lontano nel pensare il mondo di oggi. Se nei quattro anni precedenti la tensione è stata storico-civile adesso la contesa sarà tra l’uomo e la techne, tra progresso e sviluppo.

Eschilo conduce il nostro teatro verso le domande ultime, nel Caucaso, nelle lande desolate della Scizia. La colpa di Prometeo è di aver insegnato la tecnica agli uomini rendendoli da infanti quali erano, razionali e padroni della loro mente, e per questo viene incatenato alla roccia, privato della libertà e condannato a soffrire in eterno: il nodo tragico che viene alla luce con la figura di Prometeo è il conflitto tra l’uomo naturale e l’uomo tecnico. L’uomo è destinatario di tecniche e scienze e se ne potrà servire per l’evoluzione della specie.

Abbiamo scelto questo antico testo perché in esso è contenuto un magma ancora incandescente, i lapilli portano la riflessione verso la contemporaneità. Nessuna parola, nessun gesto, nessun personaggio di Eschilo possono essere estranei alla civiltà occidentale perché il suo pensiero è costante- mente proteso in avanti: è riflessione mitica sull’uomo, la natura, e l’inscindibile rapporto che li tiene legati.

 

Il luogo del debutto: Sasso di San Zanobi

La scena naturale scelta per il debutto è il Sasso di San Zanobi, ubicato poco dopo il passo della Raticosa, nel territorio del Comune di Firenzuola in provincia di Firenze, suggestiva parete di roccia preistorica che si staglia nel paesaggio superbo dell’Appennino tosco emiliano. Abbiamo deciso di 

ambientare Prometeo incatenato al Sasso di San Zanobi perché questo è Caucaso, la Scizia eschilea, luogo alla fine del mondo, itinerario fuori dalle rotte consuete ma da riscoprire, a pochi chilometri da Firenze e Bologna. Fare teatro in luoghi simbolicamente importanti è una sfida al teatro stesso ma è anche esperienza e rivelazione perché quelle parole antiche messe in relazione con questo luogo parlano nuovamente con la forza e la necessità con cui sono state scritte. E i luoghi tornano ad essere animati da presenze ed emozioni che un tempo transitavano lungo i crinali. Infatti il Sasso di San Zanobi è stato meta di pellegrini e fonte di leggende, per il suo singolare colore e la sua partico- lare conformazione.

Prometeo sarà incatenato alla rupe nera, alla parete olifitica (dal greco: pietra di serpente, per il colore delle striature verdastre e violacee).

Siamo immessi nella natura, in un teatro che è crosta oceanica in appennino e da cui si avranno per epifania le visitazioni eschilee, in un teatro che è eremo desertico e che diventa sito di una dialettica naturale tra gli elementi.

Lo spettacolo, come le nostre tragedie precedenti, sarà presentato a luce naturale, prima del tramonto estivo. L’obiettivo è quello di creare un evento culturale che, come la precedente esperienza con il progetto Linea Gotica, possa attirare un vasto pubblico a riscoprire un luogo dimenticato ma dal grande interesse storico e naturalistico.

Un legame forte con il territorio di Firenzuola e con il paesaggio dell’Appennino tosco-emiliano. Punti di vista diversi che muteranno le nostre percezioni su questo arcaico mito, molto affine alla nostra epoca, favola essenziale sulle nostre origini e sulle nostre destinazioni futuribili.

 

Progetto triennale Uomo/Techne

Con Prometeo si apre per noi una nuova stagione e si inaugura un nuovo progetto triennale che ha il titolo di UOMO/TECHNE. Nei prossimi anni lavoreremo su questo tema mettendo sempre in relazione testi teatrali con luoghi particolari.

Una riflessione in tre movimenti sul rapporto tra l’uomo e il progresso, un viaggio nell’evoluzione della scienza e delle tecniche, un cammino irto di entusiasmi, conquiste, violenze, responsabilità, irresponsabilità, sfide, pericoli, processi, abiure, pentimenti, segreti, prospettive, utopie. Tre simboli del rapporto UOMO/TECHNE per indagare il domani attraverso le speranze, le paure e le sconfitte di ieri.

 

Argomento

La scena si apre in Scizia, fra aspri monti e lande desolate. Efesto, Kratos e Bia hanno catturato il titano Prometeo e lo hanno incatenato ad una rupe. Zeus lo punisce perché ha donato il fuoco agli uomini, ribellandosi al suo volere. Il titano viene raggiunto da vari personaggi, che tentano di portargli conforto e consiglio: le Oceanine, Oceano e Iò. Prometeo ha però una via di fuga dalla angosciosa situazione in cui si trova, perché egli conosce un segreto che potrebbe causare la disfatta del potere retto da Zeus. La minaccia consiste nel frutto della relazione fra Zeus e Teti, che potrebbe generare un figlio in grado di sbaragliare il padre degli dei. Zeus invia il dio Ermes per estorcere il segreto a Prometeo, ma egli non cede e viene scagliato, insieme alla rupe cui è incatenato, in un abisso senza fondo.

 

 

PROMETEO INCATENATO

di Eschilo

 

tradotto e diretto da Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni musica originale di Giovanna Marini

con

 

Luciano Ardiccioni Kratos/Potere

 Alfredo Puccetti Efesto

 Stefano Scherini Prometeo

 Enrica Sangiovanni Coro Oceanine Elisabetta Mascitelli Coro Oceanine Giulia Baracani Coro Oceanine Franco Belli Oceano

Gilberto Colla

Gianluca Guidotti Ermes

 assistenza musicale e direzione del coro Francesca Breschi

maschera Mario Serra, Ottana

costumi Anne Solgaard e Tina Visco allestimento scenico Nancy Kaczmarek foto Franco Guardascione

organizzazione e ufficio stampa Switch - social creative network

progetto grafico Andrea Sangiovanni

assistente di scena Niccolò Livi

assistente all’organizzazione Andrea Guidotti


 

Altre informazioni qui: https://www.archiviozeta.eu/teatro/prometeo-incatenato/