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«O luce che non rivedrò più,

che eri prima in qualche modo mia,
mi illumini ora per l’ultima volta.
Sono giunto.

La vita finisce dove comincia»


PIER PAOLO PASOLINI, Edipo re (1967)

 

Raffaella Viccei  

Giuseppe, nella stagione INDA 2022 sei Edipo nell’Edipo re diretto da Robert Carsen e sei Oreste nelle Coefore di Eschilo, regia di Davide Livermore. Da interprete ti misuri non solo con due classici del teatro tragico greco ma anche con uno spazio che è un ‘classico’ fra i teatri antichi, il teatro di Siracusa. Uno spazio impegnativo, per varie ragioni anomalo rispetto a quello dei teatri dove di solito lavora un attore; un luogo che ha una eredità pesante, per ragioni monumentali, storiche, culturali, performative. Interpretando due personaggi così diversi, e lavorando con due registi agli antipodi, come hai costruito e vissuto il rapporto con questo spazio?

Giuseppe Sartori

In quel posto accade qualcosa di magico. In linea teorica quello spazio dovrebbe terrorizzare chiunque ci metta piede, per la sua grandezza, la storia, la suggestione, in realtà è molto più accogliente e naturale di qualsiasi teatro al chiuso, almeno per quanto mi riguarda. Noi che per mestiere lavoriamo con il corpo siamo più pronti a capire le modifiche che lo spazio richiede; nel caso specifico, è lo stesso teatro di Siracusa che insegna al corpo come stare, che suggerisce la prossemica. Nello spazio di un teatro un ruolo di primo piano è svolto dalla scena. Per Edipo re Carsen ha voluto una scena essenziale: una scalinata monumentale che sembra chiudere il teatro. Questo monolite pieno di simboli [definizione di Radu Boruzescu, n. d. a.] si inserisce all’incirca dove era la scena antica e questa collocazione, insieme alla struttura a imbuto della scalinata, di fatto focalizza ancora di più – questa è la percezione che ha il pubblico e che ho anch’io dentro la scena – l’attenzione nella parte di orchestra libera: nell’Edipo re questo è il luogo dove accade quasi tutto ed è anche uno spazio della mente. Passando a Coefore, qui Livermore ha messo a punto una spazialità molto diversa rispetto a quella di Carsen-Boruzescu: l’orchestra è usata nella sua totalità ma d’altra parte non può che esserci una marcata distanza fra le due scene perché sono diversissimi fra loro i registi, come sottolineavi anche tu, e le tragedie. Al di là di differenze più o meno sostanziali ed evidenti, in entrambe le tragedie un attore sente di recitare parole che sono state pensate e scritte per un teatro simile a quello di Siracusa, per uno spazio di quel tipo, e questa sensazione rende il suo lavoro naturale e, paradossalmente, semplice. Allo stesso tempo, però, si avverte che in quello spazio è possibile mettere in scena qualsiasi cosa, non solo le tragedie greche.

 

Edipo Re, Siracusa 2022R. V.

La maggior parte dei teatri antichi ha avuto una vita lunghissima e quello di Siracusa è esemplare anche per questo. Lo si chiama teatro greco, ed è una definizione corretta, ma il monumento continua a vivere fino alla tarda età imperiale e viene trasformato architettonicamente per più ragioni, non da ultime quelle legate alle modifiche nei generi teatrali e alla nascita di nuovi modi di fare spettacolo. Si potrebbe quindi dire che il teatro di Siracusa oggi può accogliere qualsiasi spettacolo in continuità ideale con la sua storia: si riconferma anche nel XXI secolo uno spazio polimorfico e multiforme, dalle varie potenzialità espressive e dai tanti volti che, stando a ciò che hai detto, per te, attore, non sono un limite ma una risorsa.

Tu hai lavorato anche in Darling (Ipotesi per un’Orestea) di ricci/forte. Ho visto lo spettacolo al Teatro Studio e mi ricordo che lì Eschilo era presente in modo sotterraneo, era una tessera fra tante che davano vita a un lavoro basato sulla contaminazione. C’era in Darling un registro “ipercontemporaneo”; l’espressività del corpo al centro della costruzione; la musica, che aveva una chiara predominanza, era un linguaggio con pari dignità rispetto a quello verbale e corporeo di voi attori. Ci sono tracce di quella Orestea nel tuo Oreste siracusano?

G. S.

Premetto che uno porta con sé tutte le esperienze che ha fatto e per un attore, ma credo per chiunque, ogni esperienza lavorativa, positiva o negativa, concorre a renderti chi sei. Se penso a Darling, che attingeva molto anche dall’Oreste di Euripide, in quello spettacolo il fulcro era la fine di un mondo e il peso di questa morte sulle spalle di chi sarebbe rimasto. In Darling spetta ai sopravvissuti l’arduo compito di ricostruire quello che è andato perduto. Livermore ha voluto mantenere questo particolare significato dell’Orestea in Coefore e in Eumenidi, dove viene rappresentato un mondo che è crollato, un passato glorioso che si è dissolto in modo traumatico; sulle spalle dei giovani rimasti, Oreste per primo, c’è il peso del fallimento della generazione precedente, c’è la non libertà di poter condurre la propria vita come si desidera almeno fino a quando non ci si libererà dai vincoli terribili degli errori/orrori del passato.

R.V.

Mentre parli, le tue parole sul peso doloroso di certe eredità fanno pensare a quello che sta accadendo ora, nel 2022, all’eredità che stiamo lasciando alle più giovani generazioni e a quelle che verranno dopo. Si ritroveranno con una eredità storica e culturale fosca, e aggiungerei anche naturale, visto quello che sta succedendo al nostro pianeta. 

G. S.

Sono assolutamente d’accordo.

R.V.

Torniamo a un’altra eredità tragica, a quella di Edipo re. Le parole di Edipo che hai pronunciato sono quelle della traduzione di Francesco Morosi, che ho trovato splendida. Il mestiere di traduttore è difficile – lo sapeva bene la nostra amica Isa [Isabella Vaj, n. d. a.] – ed è senza dubbio delicato il compito che un traduttore svolge quando il testo è destinato alla scena: chi traduce per il teatro deve attivare sensibilità linguistiche, lessicali, ritmiche, sintattiche, culturali, musicali, immaginative particolari. Deve essere capace di stare in ascolto. Ecco, credo che Francesco Morosi abbia dato un’ottima prova di traduttore, di ‘artefice aggiunto’. 

G. S.

Sì, è proprio così, Morosi ha fatto un lavoro eccellente. Inoltre è stato insieme a noi per i primi sei giorni di tavolino ed è stato prontissimo a rispondere alle nostre domande, molto aperto al confronto, a discutere di eventuali, minimi, cambiamenti rispetto alla traduzione – sottolineo minimi – e che ci hanno visto d’accordo tutti, regista, attori, traduttore, appunto. È stato un compagno di viaggio validissimo e generoso.

R.V.

Quali erano le domande più frequenti? Di che tipo?

G.S.

Piccole modifiche alla sintassi, per renderla magari più fluida; in realtà non chiedevamo tanto di cambiare le parole ma il loro ordine per restituire in modo più efficace l’immediatezza di alcuni concetti. L’Edipo ha una struttura dalla modernità impressionante. È un testo concreto, dove ci sono tantissime domande, dove si pongono questioni che scardinano certezze, che innescano il percorso doloroso del conoscere. È un testo le cui parti sono molto connesse fra loro e in cui l’immediatezza di pensiero è molto importante. Tra le grandezze dell’Edipo c’è proprio l’asciuttezza di struttura. 

 

Edipo Re, Siracusa 2022R. V.

L’Edipo re è una tragedia che mette in campo molti temi. Tra i pilastri del dramma di Sofocle ci sono il destino, il potere, lo sguardo, con tutto quello che significa e implica questa parola, a cominciare dalla conoscenza. È senza dubbio appropriato, e accattivante, il titolo che Antonio Calbi ha dato alla mostra che ha curato qui a Siracusa, a Palazzo Bellomo: Edipo. Lo sguardo in sé. Con quali di queste principali ramificazioni dell’Edipo ti sei trovato più a tuo agio? E invece quale dei tre concetti, dei tre volti di Edipo ti ha richiesto più fatica nella comprensione e nella resa? Edipo uomo di potere? Edipo ‘mostruosamente’ figlio-marito? Edipo che prende coscienza, guarda dritto negli occhi il destino e, non potendo sopportare quella luce, non può che accecarsi?

G.S.

Edipo è un ruolo complesso. Carsen ha insistito molto sul portare il pubblico dalla mia parte fin dall’inizio. Tutti sanno come finisce la tragedia di Sofocle, dunque è il lavoro che si fa sul percorso che richiede grande impegno. Carsen ha voluto trovare all’interno della narrazione il punto di equilibrio per dipingere un uomo di potere che, da un lato, esprime il potere in modo autoritario, si presenta sulla scena con i lati d’ombra propri di un uomo di potere, dall’altro è aperto alle richieste dei suoi cittadini, è in ascolto del suo popolo; un uomo in cui la logica forse supera il rispetto per la divinità ma in un bilanciamento che impedisce di far cadere nel facile stigma della hybris; un uomo che fa del suo meglio e lo fa nel modo più limpido possibile, nonostante la rabbia caratteriale, che affiora però più nelle parole degli altri personaggi che nelle azioni da lui compiute. Carsen mi ha chiesto di trovare il fondamento di giustizia che guida ogni azione di Edipo nell’inconsapevolezza ma non nell’ottusità, nella necessità e nella ricerca del potere della logica e del ragionamento, della conoscenza, non nella chiusura mentale. Sono questi gli equilibri sottili che Carsen mi ha chiesto di ricercare.

R.V.

Fin dai primi versi della tragedia, nel dialogo con il Sacerdote, con Creonte e con il Coro, emerge quello che dici.

G.S.

Certo. All’inizio Edipo sembra un uomo di scienza, un epidemiologo: ricercare le cause di ciò che affligge la città. Le azioni di quest’uomo sono quindi determinate dalla praticità, dalla logica e, ovviamente, dalla sua condizione di uomo di potere. Nella scena con Tiresia, che dal punto di vista drammaturgico è il primo grande snodo, il vero inizio alla tragedia, c’è la prima crepa nella mente logica di Edipo: di fronte a una notizia impensabile, riferita da Tiresia senza argomentazioni e prove, al netto di quello che Edipo sa di sé – di essere figlio di chi crede di essere – e che non può mettere in discussione, l’unica risposta logica è pensare che sia in atto un complotto contro di lui, contro Edipo tyrannos.

Edipo è una tragedia pubblica, in ogni suo momento, anche nelle scene più intime: anche il dolore privato è pubblico perché il protagonista del dramma è da un lato il re di una città, dall’altro il rapporto biunivoco di questo uomo di Stato con la città.

R.V.

C’è questo aspetto che hai reso molto bene, e cioè il fatto che Edipo nei confronti del suo popolo si senta padre.

G.S.

La prima parola che dico è «Figli», parola che è ironicamente tragica.

R.V.

E questa parola è un banco di prova non da poco per l’interprete di Edipo. Lo spettatore capisce fin da come viene detta quella parola la qualità dell’attore, se l’attore ha capito chi deve andare a interpretare. Prova egregiamente superata nel tuo caso. 

G.S.

[Giuseppe ride con timidezza e un po’ di imbarazzo]  C’è un’ironia terribile che serpeggia in tutto il testo. Tutti sanno cosa succede però tutti sono in tensione fino alla fine. Sofocle ha disseminato i versi di piccole bombe, terribili. Tra i vertici dell’ironia tragica edipica c’è il sapere, il capire da parte degli altri personaggi in scena e del pubblico in teatro, e c’è il non sapere di Edipo. Mancandogli informazioni fondamentali, Edipo trova la risposta più logica e plausibile a cui lo porta il suo ragionamento perché quello che man mano emerge è così assurdo per lui, uomo di ragionamento, che non può essere vero, reale. La necessità di risolvere quest’altro enigma lo porta a quello che sappiamo. 

 

Edipo Re, Siracusa 2022R.V.

Il rapporto di Edipo con Giocasta, sua madre e moglie, è un altro aspetto nevralgico di tutta la tragedia. Come è stato lavorare con Maddalena Crippa, una delle attrici più rappresentative del teatro italiano, e come con un altro attore di altissimo livello, Graziano Piazza, splendidi interpreti di Giocasta e di Tiresia?

G.S.

Maddalena e Graziano sono stati compagni di scena meravigliosi. Inoltre eravamo talmente ben guidati dalla regia che tutti ci siamo affidati senza rete a Carsen e al disegno che aveva preparato per noi: c’erano chiarezza e condivisione di intenti; abbiamo lavorato molto bene insieme e molto sul rapporto scenico. Queste condizioni di lavoro sono sempre desiderabili e sono certo essenziali in un’opera come l’Edipo re, dove tutte le scene sono fondate sull’ascolto di ciò che ciascuno dei personaggi dice, e non dice: le battute importanti sono anche quelle in assenza di parole.

R.V.

Nel vostro Edipo il Coro è un elemento di grandissima potenza, semantica, estetica, performativa. Colpisce la capacità di gestire perfettamente tante figure in scena. Con così tanti corpi, gesti, movimenti, voci, c’è il rischio di una perdita di concentrazione e invece...

G.S.

Invece sono tutti catalizzatori. Il Coro è diventato il normale cuscinetto tra i nostri ruoli e il pubblico. Anche per il numero dei membri del Coro, ottanta, lo spettacolo è tale anche senza il pubblico: sono già loro il pubblico; la vicenda tragica è a loro beneficio ma loro rispecchiano le reazioni del pubblico e le portano in scena, dunque il Coro non può fare a meno del pubblico. Si è creato un legame forte tra questi due ‘corpi’.

R.V.

Sì, te lo confermo da spettatrice.

Edipo Re, Siracusa 2022R.V.

Sappiamo quanto fosse essenziale la musica nella tragedia greca, come fosse non accidente ma sostanza: non si può immaginare una tragedia nel V sec. a.C. senza musica. Molte messe in scena di tragedie greche, almeno dagli inizi del XX secolo, hanno dato spazio all’elemento musicale: limitandomi a Siracusa, basta ripercorrere le stagioni dell’INDA fin da quella inaugurale del 1914 e pensare alle musiche di Ettore Romagnoli per Agamennone. Arrivo a oggi. Davide Livermore e Robert Carsen sono entrambi anche registi d’opera. Livermore, a cominciare dalla sua prima regia siracusana – Elena di Euripide –, ha portato l’orizzonte musicale nelle tragedie in modo esplicito, anche visivamente: i due pianoforti in Agamennone, ad esempio. Carsen ha intrapreso per Edipo re un altro percorso, ha optato per una musica sottotraccia, presente ma non invadente. Credo che sia stata una scelta molto corretta sia per il tipo di Edipo che ha diretto sia per il tipo di recitazione di voi attori e del Coro. Inoltre: la musica dell’Edipo re di Carsen dialoga in modo esemplare con l’altro orizzonte musicale del suo Edipo, il silenzio. Infine, è in armonia con la scena, pulita, perfetta, al punto da essere inquietante, un po’ come i film di Hitchcock dove la perfezione ti fa trattenere il respiro perché – mi viene in mente Psycho – ti aspetti che da un momento all’altro qualcuno muova la tenda della doccia e ti uccida.   

G.S.

Nei primi giorni di lavoro, Carsen ci disse che in Edipo ci sarebbe stato un ambiente sonoro che sarebbe entrato ogni tanto in scena. Ci confessò di essersi chiesto spesso che tipo di ambientazione sonora potesse esistere in una scrittura come quella dell’Edipo re, tanto scarna e viva. Carsen aveva amato moltissimo l’orizzonte musicale dell’Edipo re di Pasolini, incentrato sulla musica popolare rumena, e approfondendo l’argomento trovò un saggio di Cosmin Nicolae sulle musiche di questo film, lo lesse e, poco prima di arrivare a Siracusa, contattò questo musicista rumeno, berlinese di adozione, e gli chiese di elaborare il mondo sonoro-drammaturgico per Edipo re.   

R.V.

Quando lavori, e nel caso specifico per il ruolo di Edipo, sei alla ricerca di stimoli visivi? Visto che hai ricordato l’Edipo re di Pasolini, cerchi immagini da film, dipinti, sculture, fotografie, fonti di ispirazione che vengono dal mondo dell’arte? 

G.S.

Sicuramente sì – siamo poi talmente pregni di immagini oggi – anche se non riesco a dirti quanto consapevolmente.  Nello specifico di Edipo, siamo davanti a una figura che è stata talmente usata e che è così fondante nella nostra civiltà, così presente in ognuno di noi pur con diverse gradazioni, che possiamo dire che ci appartiene, e questo anche attraverso e grazie a immagini come quelle del film di Pasolini. Altre suggestioni visive ci sono state date esplicitamente da Carsen o suggerite, altre sono nate per associazione. Non ti saprei dire quanto poi io le abbia seguite ma posso dirti che ci sono e che hanno lavorato.

R.V.

Avevo questa curiosità perché in certi momenti di Edipo, per come ti muovevi soprattutto sulla scalinata ‘monolite’, mi hai fatto venire in mente le silhouettes di Giacometti, queste figure così esili e sfrangiate, vulnerabili, tormentate, vibranti di inquietudine, «mal riuscite», come diceva Giacometti.

G. S.

Che bel paragone, grazie.

Edipo Re, Siracusa 2022R. V.

Nel 2018 hai vinto il prestigioso premio Mariangela Melato. Quest’anno hai vinto il premio stampa per il ruolo di Edipo, con la seguente motivazione – leggo –: «Ha dato tutto se stesso al personaggio mettendosi al servizio delle parole della tragedia e del suo autore».

G.S.

È stata una vera emozione sentirsi dire queste parole. In fondo rispondono a quello che Carsen ci ha chiesto di provare a fare: un passo indietro di fronte al testo di Sofocle, o un passo avanti, che forse è lo stesso, nel senso che ci ha invitato a togliere il più possibile vizi personali, vizi di mestiere, protagonismi, e ci ha chiesto di ‘metterci al servizio’ di una storia millenaria, profondamente connessa con il significato di essere uomini, ci ha sollecitati a incarnare in una maniera profonda, consapevole, organica questa vicenda. Ci abbiamo provato. È una delle cose più difficili da chiedere e da fare, credo. Cerchiamo sempre di proteggerci dietro una maschera: provare a essere nudi è la cosa più complicata da fare.  

R.V.

La tragedia greca è nata nella polis e per la polis e non si può comprendere del tutto se non si ha anche questa consapevolezza. Nell’antichità esistevano altre forme di teatro in culture diverse da quella greca – penso alla cultura etrusca – ma se oggi continuiamo a mettere in scena soprattutto tragedie greche, in traduzione, nelle riscritture o rielaborazioni, se accade questo è perché in quella forma specifica di teatro c’è qualcosa che continua a interessarci, a riguardarci, a toccarci profondamente. La radice politica della tragedia greca, collettiva e civica, pur con tutte le necessarie e doverose distanze, credo che continui ad avere un senso in un’epoca come la nostra, in cui la collettività, non solo nazionale, ma globale e globalizzata, attraversa una fase tragica ed è messa in discussione. Quanto ed eventualmente in che forma il conflitto russo ucraino è entrato nella lavorazione dello spettacolo? Cosa significa recitare Edipo ora, in un momento storico così drammatico?

G.S.

Il presente che vedi riverberato in scena, nello specifico in Edipo, c’è ma c’è soprattutto negli occhi di chi guarda. In un periodo storico come quello che stiamo vivendo la figura di Edipo, di un uomo, anche politico, che ha il coraggio di assumersi le responsabilità delle proprie azioni, delle proprie inconsapevoli colpe, di un uomo messo di fronte all’abisso, al quale viene chiesto di fare un passo verso il precipizio, di accettare e andare avanti con dignità, ecco, in questo nostro attuale momento storico, un uomo così parla moltissimo. Da qui a dire che la cronaca quotidiana dei giornali entra nelle prove, direi di no: è più sostanziale il rapporto fra la tragedia, questa tragedia, e il nostro presente. Edipo è un uomo fallato che diventa rappresentativo di ognuno di noi, che siamo fallati. Nessuno di noi – si spera – raggiunge quel parossismo di vicenda ma lo stesso coraggio di Edipo, che serve per accettare chi si è e rispondere e affrontare il destino, le cose che esulano dal controllo personale, non può non parlare e metterci in discussione.

In Edipo re c’è qualcosa di più che nelle altre tragedie. È diretto lo specchio fra questo personaggio di Sofocle e ognuno di noi.      

R.V.

Aveva ragione dunque Aristotele. E in fondo non è un caso che Edipo re, insieme ad Antigone, sia la tragedia pilastro del tragico occidentale.

 

Edipo Re, Siracusa 2022R. V.

Ho appena finito di leggere un libro molto bello di Maria Grazia Ciani, Il canto delle muse. Variazioni sull’arte contemporanea. La Ciani è una raffinatissima studiosa e traduttrice di tragedia e non di meno di Omero. Siamo abituati a leggere l’Iliade e l’Odissea, ma i due poemi erano in origine destinati a una fruizione performativa, che è stata comunque ripresa nel teatro contemporaneo: penso a quel capolavoro che è Odyssey di Robert Wilson. Il mio augurio, anche un po’ egoistico vista la mia passione per Omero, è vederti in futuro nelle vesti di Ettore, Achille, Odisseo... 

G.S.

[Fragorosa risata di Giuseppe] Perché no, sarebbe fantastico! Ti confesso che mi piacerebbe tantissimo.

 

 

Note

Giuseppe Sartori, dopo aver conseguito la maturità classica, si è diplomato alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano (2008) e ha seguito il master internazionale di alta formazione Ecole des Maitres (2013, 2014). È stato diretto, fra gli altri, da Luca Ronconi, ricci/forte, Jacopo Gassmann, Constanza Macras, Davide Livermore, Robert Carsen. Più dettagliatamente sul suo percorso professionale: http://guidaattoriveneto.it/index.php/attore/2439-giuseppe-sartori

Radu Boruzescu ha firmato le scene di Edipo re. Del suo lavoro ha parlato in Un monolite carico di simboli in AAVV, Sofocle. Edipo re. Regia Robert Carsen, INDA, Siracusa 2022, pp. 22-25.

Sulle valenze tragiche della celebre scena della doccia in Psycho: Mario Telò, Archive Feelings. A Theory of Greek Tragedy, The Ohio State University Press, Columbus 2020, pp. 186-187.

Sull’Edipo re di Pier Paolo Pasolini invito a leggere le relative pagine nella nuova edizione del libro di Massimo Fusillo, La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema, Roma, Carocci 2022, nel nostro blog il contributo di Andrea Cerica, Edipo all’alba di Pier Paolo Pasolini, infine La premiere dell’Edipo re di Pasolini. Cronaca della partecipazione del film alla 28ª Mostra Venezia-

Sul tema specifico della scelta dei canti popolari rumeni per Edipo re, Pasolini, in un’intervista a Jean Duflot, dichiarava: «In Edipo re ho inserito arie del folklore romeno: arie ambigue in cui si riconoscono influenze slave, arabe, greche … e che hanno come funzione di trascendere la storia, di sfumare la localizzazione storica. In questo caso preciso, la musica si fa atemporale e aumenta il mistero indefinibile del mito».

Per la citazione di questa intervista e per altre considerazioni di Pasolini sulla musica rumena nel suo Edipo (intervista a Jon Halliday), rinvio alla bella tesi di laurea di Oriana Brancato, Pasolini e le forme della tragedia: tra teatro e cinema, presente e passato (Università degli Studi di Pisa. Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica. Corso di Laurea in Lingua e Letteratura Italiana. Relatore Carla Benedetti; correlatore Raffaele Donnarumma. Anno accademico 2014-2015, pp. 125-127).

 

 

Crediti fotografici: Gianni Luigi Carnera, Tommaso Le Pera, Michele Pantano, Maria Pia Ballarino.