Con la messinscena di Agamennone il regista torinese Davide Livermore conclude quest’anno il suo allestimento dell’Orestea di Eschilo al Teatro Greco di Siracusa, aggiungendo l’ultimo tassello mancante della trilogia (in realtà il primo segmento nella sequenza drammaturgica).
Nella scorsa stagione dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico aveva realizzato, infatti, Coefore ed Eumenidi, rispettivamente la seconda e la terza parte dell’opera. In alcune serate speciali (8 e 9 luglio) sarà per altro possibile assistere alla rappresentazione dell’intera Orestea, una maratona teatrale che non mancherà di affascinare e suscitare discussioni.
Va detto subito che questo Agamennone si pone in perfetta contiguità con gli altri due drammi, come del resto non poteva non essere: stessa ambientazione “decadente”, ovvero anni Trenta del XX secolo, medesima configurazione della scenografia con una piattaforma nera ruotante al centro, poltrone e divani in pelle nera, tavolini con bottiglie di spumante e calici da riempire, un grammofono, due pianoforti, un piccolo mobile bar d’epoca. Anche la foggia dei costumi riproduce la moda alto-borghese di quel tempo: Clitemnestra (Laura Marinoni) in un elegante e sgargiante abito rosso di chiffon con inserti in oro, lungo fino alle caviglie, simbolo di passionale decisionismo; Agamennone (Sax Nicosia) in un borghese doppio petto grigio con gilet e cravatta, come del resto anche il rivale Egisto (Stefano Santospago).
Una novità interessante, pienamente confacente allo stile di Livermore, è la presenza di un gigantesco specchio sullo sfondo dell’orchestra, laddove ci aspetteremmo la reggia degli Atridi. È una parete trasparente lunga 27 e alta 8 metri, nella quale gli spettatori assiepati sui gradoni della cavea (finalmente con al completo dopo due anni di capienza ridotta a causa della pandemia) rispecchiano sé stessi con un effetto straniante che produce la sensazione di essere al tempo stesso parte del pubblico e parte dell’azione in scena. Nelle intenzioni del regista l’idea del grande specchio serve a «far interagire il pubblico con l’azione scenica, in un momento storico in cui non siamo più abituati a essere comunità», così da far pensare a tutti che «quello che sta accadendo in scena ci riguarda, sta parlando di noi». Accanto alla grande specchiera torna il globo a schermo su cui si proiettano immagini ricorrenti di valore simbolico (una farfalla che batte le ali, paesaggi marini, eventi atmosferici) ed eventi del dramma extra-scenici (i fuochi che annunciano la caduta di Troia, il ritorno di Agamennone dalla guerra, con aereo che atterra ed il re che scende dalla scaletta insieme a Cassandra, acclamato dalla folla).
Ma la “trovata” più riuscita di Livermore è senz’altro l’aggiunta di un personaggio assente nel dramma originario di Eschilo. Questo tipo di ritocchi presta il fianco spesso e volentieri a polemiche e contestazioni, ma siamo convinti che rientri pienamente nella libertà del regista modificare non solo il testo, ma anche la composizione dei personaggi. Ebbene, in questo Agamennone livermoriano compare fin dal principio il fantasma di Ifigenia, la figlia di Agamennone e Clitemnestra, che il padre aveva sacrificato prima della partenza per Troia, su indicazione dell’indovino Calcante, per rendere i venti propizi alla navigazione dell’armata achea. Ora, è vero che nell’Orestea di Eschilo Ifigenia pur non comparendo come personaggio, è però una presenza frequentemente evocata. In fondo il suo assassinio è precisamente il motivo scatenante della vendetta di Clitemnestra. Siamo certi che Eschilo – che notoriamente faceva uso di eidola nei suoi drammi (quello di Dario nei Persiani, quello di Clitemnestra nelle Eumenidi) – non avrebbe disprezzato l’ingegnoso spunto del regista moderno.
Va detto per altro che il fantasma di Ifigenia non è una comparsata episodica. È il vero Leitmotiv dello spettacolo. In fondo, potremmo dire che quello spettro, presentato come una bambina coperta di bianco, è il vero protagonista della tragedia. Oltre tutto Livermore sdoppia Ifigenia ricorrendo a due attrici (Carlotta Maria Messina e Mariachiara Signorello, entrambe allieve dell’Accademia dell’INDA) così da far materializzare quell’inquietante fantasma in più luoghi contemporaneamente, ovvero di farlo dissolvere in un posto facendolo riapparire subito altrove.
Ifigenia compare subito all’inizio, prima ancora che la sentinella dall’alto della reggia reciti il prologo. Corre spaventata qua e là, accompagnata dalla musica di Bach (Das musikalische Opfer), raccoglie una barchetta di carta con cui gioca, per poi scomparire e riapparire di continuo, non vista e non percepita dagli altri personaggi. È lei che accompagna per mano Agamennone quando s’incammina sui tappeti di porpora (qui trasfigurati in tappeti fatti di petali di rosa). È lei che porge alla madre l’arma letale per uccidere il sovrano. Se è vero che l’Orestea era nota nell’antichità come una sorta di “classico del phobos”, il fantasma di Ifigenia è un ingrediente inquietante quanto mai idoneo per far correre i brividi sulla schiena degli spettatori. Soprattutto quando si avvicina a Cassandra (una bravissima Linda Gennari), l’unico personaggio che ne percepisce la presenza, grazie alla sua natura “sensitiva”, restandone sconvolta.
Il ruolo della sentinella è affidato a un’attrice donna (Maria Grazia Solano), secondo una logica di gender-crossing ormai quasi inevitabile, e non certo tale da suscitare stupore. Del resto, è una donna (Olivia Manescalchi) pure il messaggero che preannuncia il ritorno ad Argo di Agamennone. Interessante e persuasiva anche la soluzione adottata per il coro: i vecchi di Argo sono tre ufficiali anziani dell’esercito (Tonino Bellomo, Edoardo Lombardo, Massimo Marchese), in uniforme militare con tanto di stellette, costretti sulla sedia a rotelle e accuditi da infermieri e badanti. Sono evidentemente reduci di guerre precedenti, mutilati, tremolanti e balbettanti. In una breve scena compaiono pure Oreste ed Elettra bambini, accompagnati da una governante.
La Marinoni è molto brava a incarnare una Clitemnestra seducente e mefistofelica. Recita in modo aggressivo, salvo nella scena in cui accoglie il marito ritornato dalla guerra, in cui i toni diventano melliflui. L’apoteosi di tanta ipocrisia si tocca nel momento in cui si inginocchia per togliere le scarpe al marito e lo bacia appassionatamente. Ma la nevrosi di cui soffre per l’ansia di vendetta che la divora si manifesta nel reiterato ingurgitare calici di spumante che poi vengono gettati a terra senza troppi riguardi per la servitù.
Agamennone ha la posa di un dittatore anni Trenta, sicuro di sé e compiaciuto dei suoi successi. Tiene il discorso di saluto alla città, dopo il ritorno, parlando con voce metallica davanti ai microfoni della radio. Egisto compare sulla scena in silenzio fin dal momento in cui Agamennone fa ritorno in patria. Assiste passivo e imbelle al doppio omicidio compiuto da Clitemnestra, salvo infierire nevroticamente contro il cadavere di Agamennone sul quale scarica una scarica di inutili colpi di pistola.
Mettere in scena Agamennone non è impresa facile. Livermore lo ha fatto seguendo i canoni del suo gusto estetico, e non poteva essere altrimenti. Il suo allestimento pecca di una certa ridondanza barocca, che forse poteva essere meglio contenuta. Ma le sue invenzioni sceniche sono per lo più riuscite e funzionali allo spettacolo che riesce a coinvolgere il pubblico tenendo alta l’attenzione dal principio alla fine. Merito anche dell’eccellente traduzione di Walter Lapini, capace di rendere i versi di Eschilo in un italiano scorrevole e comprensibile, senza sacrificare nulla della loro densità e profondità.
Agamennone di Eschilo
Regia: Davide Livermore
Traduzione: Walter Lapini
Scene: Davide Livermore e Lorenzo Russo Rainaldi
Costumi: Gianluca Falaschi
Disegno luci: Antonio Castro.
Video design: D-Wok
Musiche originali: Mario Conte
Regista assistente: Giancarlo Judica Cordiglia.
Costumista assistente: Anna Missaglia
Assistente alla regia: Aurora Trovatello.
Direttore di scena: Alberto Giolitti
Interpreti: Diego Mingolla e Stefania Visalli (Musici), Maria Grazia Solano (Sentinella), Gaia Aprea (Corifea), Maria Laila Fernandez, Alice Giroldini, Marcello Gravina, Turi Moricca, Valentina Virando (Coro), Laura Marinoni (Clitennestra), Olivia Manescalchi (Messaggero), Sax Nicosia (Agamennone), Linda Gennari (Cassandra), Stefano Santospago (Egisto).
Altri interpreti: Carlotta Maria Messina e Mariachiara Signorello (Spettro di Ifigenia). Tonino Bellomo, Edoardo Lombardo, Massimo Marchese (Vecchi Argivi). Giuseppe Fusciello (Oreste bambino), Margherita Vatti (Elettra bambina)
Coordinatore allestimenti: Marco Branciamore.
Progetto audio: Vincenzo Quadarella.
Responsabile sartoria: Marcella Salvo
Responsabile trucco e parrucco: Aldo Caldarella
Scene realizzate da Laboratorio di scenografia Fondazione INDA
Costumi realizzati da Laboratorio di sartoria Fondazione INDA. Assistenti volontari: Kyuwon Kim, Junyong Gregorio Park
Produzione: Fondazione INDA Onlus di Siracusa
Le foto sono tratte dalla cartella stampa @Ballarino @Pantano @Centaro
In scena al Teatro greco di Siracusa dal 17 maggio al 3 luglio 2022