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 Nerino annusa, mi riconosce dall’odore. Il suo legame fiduciario con il mondo è tutto in questo semplice gesto. Se mi avvicino, se gli fornisco la razione quotidiana di croccantini, se gli tendo una cordicella per giocare, lui annusa, annusa tutto.

Persino quando verso l’acqua nella sua ciotola deve annusare prima di bere, e ogni volta mi chiedo che avrà da annusare, tanto l’acqua non ha odore. Lui deve capire se può fidarsi di me e lo fa attraverso il suo fiuto, perché gli odori non devono cambiare o, quantomeno, gli devono essere familiari. Sembra che la vista e l’udito siano per lui sensi secondari.

In questo tempo di crisi Nerino non ha bisogno di connessioni, non fa telelavoro, non sta sui social. Credo che per lui non sia cambiato nulla. Dorme, mangia, annusa. Magari è solo stupito o contento di vedermi così tanto a casa sua.

Per me e per qualche miliardo di persone, invece, sono accadute tante – troppe? – novità. I timori per la salute propria e altrui, le abitudini quotidiane stravolte, il distacco dai parenti, dagli amici, le relazioni interrotte e mantenute solo grazie alla tecnologia. Il teatro, il cinema, le librerie, il calcetto, le feste di compleanno, la pizzeria, tutto in modalità pausa, almeno spero.

Meno male che siamo connessi.

Però, a pensarci, connessi lo eravamo già prima di questa crisi. Paradossalmente prima era questo uno dei nostri maggiori limiti: essere connessi con il mondo senza conoscerlo a fondo, osservare le cose dal nostro schermo-acquario, scrivere mi piace alle tante notizie trovate su facebook, vedere tutto senza guardare, affidare a giudizi superficiali lo svilimento della nostra curiosità. Tutti amici, tutti follower di qualcuno o qualcosa.

Oggi invece i social sono una delle forme della nostra resistenza. Alla depressione, all’isolamento, alla paura.

La creatività sembra risvegliata da una solidale ricerca dell’altro. Gli hashtag si sprecano: #andràtuttobene #torneremocomeprima.

Sarà difficile che tutto torni come prima e si sente tutto il peso del futuro nel ripetersi andrà tutto bene.

Anche perché, come chiunque, aspetto che la lista quotidiana di morti possa smettere di allungarsi e che la nera mietitrice smetta di raccogliere con tanta costanza, che non ha certo bisogno del coronavirus come aiutante.

Tutto il resto non tornerà come prima perché ci saremo abituati. A lavorare da casa, a ridurre gli incontri, a tenere le distanze, tanto poi si rimedia in chat.

Speriamo che non ci si abitui troppo, alle riunioni su google meet, skype, alle dirette, che poi tutto sono meno che dirette: la voce e le immagini arrivano di rimbalzo da un satellite, da una diavoleria cosmica o chissà da dove.

Speriamo che l’emergenza non diventi stabile. Che non si perda del tutto il gusto di sentire l’altro. Siamo fragili e non solo di fronte al Covid-19.

Allora spero che ci salvi l’olfatto.

L’olfatto, come per i gatti, ci permette di riconoscere l’altro. La nonna che andremo a trovare sarà intrisa dell’odore di ragù della domenica, il profumo di quell’uomo o quella donna che fa scattare la chimica, il mare con il suo odore originario, le zagare e i gelsomini, la terra smossa, l’odore della pioggia in un giorno d’estate. Persino il sudore dello spogliatoio del calcetto, quello di calze e magliette sudate e lo zio Gino che affumica l’aria con i suoi pestilenziali toscani.

L’odore, quello che percepiamo quando qualcuno è felice, emozionato o terrorizzato, quando è depresso o innamorato.

Un senso ritenuto minore (persino Aristotele lo riteneva il più mediocre di tutti i sensi) ma di questi tempi son proprio le cose minori quelle da rivalutare. Minore non tanto, come ci spiega in un articolo su L’Avvenire, un noto docente di Psicobiologia, Alberto Oliviero: dopo l’udito, l’olfatto è il secondo senso che si sviluppa in un feto. A proposito, davvero interessanti sono le riflessioni, nello stesso articolo, della biblista Antonella Anghinoni:

«Tantissime pa­gine del testo biblico sono 'profumate'. Il termi­ne ebraico reach richiama ruach lo Spirito, quin­di già alla radice il profumo ha in sé qualcosa di di­vino. Non a caso compare nel Cantico dei Canti­ci, un libro che non si può comprendere senza far riferimento agli odori. Questo testo comincia su­bito con un altro termine illuminante: 'Profumo (shemen) olezzante è il tuo nome'. Shemen evo­ca la parola shem che significa nome. A riprova che ognuno di noi ha un odore diverso, il profumo sve­la l’identità specifica di ogni uomo e di ogni don­na. L’olfatto è il senso più interno all’uomo e nel­la tradizione rabbinica è l’unico senso non intac­cato dal peccato: tutti i sensi ti possono inganna­re, il profumo no». Un senso 'divino' di nome e di fatto: «La Genesi dice dopo il diluvio universale Noè fa un sacrificio e volute di profumo salgono al Signore che ne odorò la soave fragranza. Sem­bra che Dio abbia un naso e che gli piaccia eserci­tare anche l’olfatto entrando nel gioco delle realtà umane. E nell’Esodo Dio dà a Mosè una ricetta per un profumo tutto per sé quando l’uomo entra in contatto con lui. Pensiamo ancora oggi all’uso del­l’incenso». 

Insomma, Nerino non è per niente stupido e guai a dubitare dei gatti. Infatti loro hanno sette vite, mentre noi dobbiamo imparare a proteggere la sola che abbiamo.

Lo psicoterapeuta Risè rincara: «nella gran parte dei nostri malesseri, c’è una distanza dal proprio corpo e dai propri sensi, che diventa distanza dalle persone». 

Il naso, insieme alla bocca, è la parte del nostro corpo che in questi giorni abbiamo dovuto proteggere e nascondere per cercare di evitare la malattia.

Sarà il naso – se ne faccia una ragione il nobile Cirano – a salvarci nelle relazioni, il primo a dirci che potremo tornare a respirare, annusando l’aria. Finalmente buona e libera.

Ci salverà l’olfatto, ne sono sicuro.

Altrimenti resteranno solo i gatti.

 

Alessandro Cobianchi, Direttore del Centro di Servizio al Volontariato San Nicola  di Bari, esperto di antimafia sociale e di politiche dell’accoglienza, negli ultimi anni ha viaggiato per l’Europa a (quasi) tutte le latitudini, occupandosi di diritti negati e disagio, mafie, immigrazione ed incontrando tantissime persone - in particolare giovani - nelle scuole, nelle università, nelle carceri e nelle piazze. Da questa esperienza è nato il suo ultimo libro Di versi diversi, Edizioni di Pagina, Bari (https://www.paginasc.it/articoli.php?nome_cerca=Cobianchi)