Apparirà nell’autunno 2022 per De Gruyter il libro di Nicolai P. Petro The Tragedy of Ukraine. What Classical Greek Tragedy Can Teach Us About Conflict Resolution (La tragedia dell’Ucraina. Che cosa ci insegna la tragedia greca classica sulla risoluzione del conflitto).
La tesi del libro è che nella società ateniese del V sec. a.C., la tragedia greca classica serviva come meccanismo per sanare traumi sociali profondi e per contribuire a creare istituzioni più giuste. A proposito dei conflitti in Ucraina degli ultimi decenni e di quello che stiamo vivendo, questo libro si interroga su come una lettura mirata della tragedia greca possa aiutarci a ripensare i conflitti civici e le polarizzazioni sociali, nonché a prospettare modelli etici e diplomatici che possano aiutare al superamento delle divisioni anche nelle democrazie moderne. Alcune di queste tesi sono già nell’articolo dello stesso autore, Professor of Political Science all’Università di Rhode Island (USA), apparso sulla rivista: «Russia in global affair», 16, 4, ottobre/dicembre 2018, pp. 52-71, che traduciamo parzialmente, per sottoporlo all’attenzione e al dibattito dei nostri lettori. L’articolo si riferisce alla guerra del 2014, che nel 2018 non era ancora terminata, e si può leggere per intero e scaricare qui (SF).
La tragedia non consiste nel destino individuale…
ma nella situazione di un popolo che si consuma o distrugge sé stesso perché non è conscio della sua vera condizione
Raymond Williams, Modern Tragedy
[…] Una tragedia non è solo una situazione triste o senza uscita. Una tragedia è anche una serie di conseguenze che si scatenano in risposta alla perdita di un ordine. Sono varie le manifestazioni del disordine, ma nel crearlo entrano in gioco fattori individuali e collettivi, come orgoglio, mancanza di compassione, arroganza. Svelando e mettendo in mostra le conseguenze di questi elementi negativi sia nei singoli che nelle società, la tragedia ci induce a restaurare l’ordine a partire da una situazione di disordine (Williams, 1966: 181; Lebow, 2001: 39).
La guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) ne è l’esempio classico (Lebow, 2003: 65-114). Nel racconto di Tucidide, il leader ateniese Pericle è sedotto dalla prospettiva di una vittoria veloce e a tal fine compie scelte socialmente molto divisive. Ignora la norma (nomos) e la giustizia (dike), che gli dei hanno concesso agli uomini per vivere in armonia gli uni con gli altri, e perciò “commette un errore” (hamartia) e suscita la vendetta degli dei (nemesis). Gli Ateniesi sono indotti allora a riconoscere i loro difetti attraverso la catastrofe che ne è conseguita (Lebow, 2003: 276).
Ci sono almeno tre ragioni per pensare ai coraggiosi rivoluzionari ucraini, determinati a correggere le ingiustizie storiche che credono siano state commesse ai danni dei loro antenati, come a figure tragiche irretite dal meccanismo che loro stessi hanno messo in moto: figure cioè caratterizzate dall’arroganza associata con la grandezza, insomma da ciò che i Greci chiamavano hybris. La vicenda ucraina offre infatti un esempio da manuale di peripeteia – del rovescio di fortuna quando il corso di un’azione, destinata ad ottenere un risultato, risulta sortire l’effetto opposto.
La prima ragione è che, quando i loro sforzi si sono incontrati con una resistenza interna crescente, piuttosto che cercare la riconciliazione, hanno rafforzato la loro determinazione a trattare coloro che non erano d’accordo con loro come nemici, persino alieni. Il precedente Presidente ucraino Vitkor Yushchenko, ad esempio, descriveva Crimea e Donbass come regioni “in cui la nostra lingua praticamente non esiste, dove la nostra memoria è inesistente, dove la nostra chiesa è assente, dove la nostra cultura è assente ... terre assolutamente straniere [de chuzhina chuzhinoyu]” (Ukrainska pravda, 2014). Una soluzione spesso proposta è quella di rieducare quelle popolazioni a riconoscere la loro identità ucraina, un processo che la professoressa dell’Università di Donetsk Elena Styazhkina definisce eufemisticamente “colonizzazione positiva e pacifica” (Fakty.ua, 2014). Tucidide l’avrebbe probabilmente definita una perdita della capacità di comunicare con i propri avversari (Lebow, 2003: 16).
Una seconda ragione è la minimizzazione intenzionale del costo dell’imposizione della nuova “scelta di civiltà” dell'Ucraina. Come ad Atene, le scelte fatte dai vincitori del Maidan che alienarono le popolazioni del Donbass e della Crimea ebbero cause strutturali più profonde. Derivarono dal rifiuto dell’autorità legale e governativa promossa dai vertici del Maidan (Ukrainska pravda, 2018). Con il discorso politico non più radicato in ideali e identità condivisi, fatti e significati sociali iniziarono rapidamente a divergere, incoraggiando ulteriormente politiche unilaterali. Nel momento in cui nell’Ucraina orientale da una parte e nell’Ucraina occidentale dall’altra si sono iniziate a dare interpretazioni diametralmente opposte del Maidan del 2014 (Petro, 2015: 29), sono svaniti tutti i propositi di impegnarsi in un dialogo, minacciando l’unità dello stesso Stato che apparentemente tutti stavano cercando di salvare. Così, ed è questa la terza ragione per accostare la situazione in Ucraina alla tragedia greca, alla maniera di ciò che accade in tante tragedie greche classiche, la soluzione – rafforzare i legami dell’identità comunitaria attraverso il dialogo e la riconciliazione – diventa tanto ovvia quanto impossibile.
I Greci credevano che la saggezza tragica e la vera conoscenza (sophon skopein) derivasse dalla catarsi, dal provare ‘sim-patia’ per qualcuno e sofferenza condivisa del dolore altrui. La giustizia richiede che le persone si trattino reciprocamente alla pari e che le cose vengano viste anche dal punto di vista dell’altro. Insieme, catarsi e giustizia contribuiscono a stringere i legami di affetto sociale che portano ordine nella polis. Il senso di caos e frustrazione che attualmente pervade la società ucraina è quindi una conseguenza naturale dell’incapacità del governo di aver cura degli affetti sociali di tutti gli ucraini (Grigoryev, 2018).
Ma la tragedia classica greca non è solo analisi; è anche terapia. Riconciliandosi con i cittadini ucraini di lingua russa, il ciclo di hybris, hamartia e nemesis potrebbe, potenzialmente, essere interrotto. È solo l’Ucraina che deve intraprendere azioni per riconciliarsi con la Russia? Per niente affatto. Questa è una tragedia che coinvolge entrambi i Paesi, proprio perché condividono un patrimonio comune. Per alcuni intellettuali ucraini questa eredità comune è una benedizione; per altri è una maledizione. Come ha affermato lo scrittore ucraino Yuri Andryukhovich “Il conflitto nel Donbass è davvero una guerra di culture. La loro cultura si chiama “mondo russo”; la nostra “Libera Ucraina Europea” (Slavinska, 2015). La tragedia più profonda, tuttavia, sta nella scelta di quest’ultima di utilizzare la Rivoluzione della Dignità come mezzo per sradicare il primo, piuttosto che come mezzo per estendere la dignità a tutti. L’unità dell’Ucraina, così, è messa in pericolo. […]
Il conflitto tra Ucraina e Russia, perciò, non riguarda principalmente o solo interessi geopolitici, ossia cosa guadagnerà l’Occidente separando l’Ucraina dalla Russia, o cosa guadagnerà la Russia stabilendo la propria enclave strategica in Crimea e Donbass. Questi interessi, da soli, non avrebbero mai indotto il Presidente ucraino a inveire così appassionatamente contro “la quinta colonna” all’interno dell’Ucraina, ovvero gli Ucraini filo-russi. È proprio il rifiuto ostinato, da parte di un ucraino su tre, di considerare la Russia come uno Stato “invasore” (Grigoryev, 2018) che rivela tutta la portata della tragedia al centro di questo conflitto, vale a dire che le parti opposte della comunità politica ucraina si sono attestate su posizioni antitetiche.
La situazione non è dissimile da quelle tragiche greche e ci pone ci fronte agli stessi dilemmi morali che Sofocle rappresenta nell’Aiace e nell’Antigone. Entrambe le tragedie ruotano attorno al diritto degli individui di opporsi alle autorità. Nell’Aiace, il conflitto tra dovere verso lo Stato e dovere verso la famiglia si esprime nel desiderio della famiglia di seppellire il morto, al quale i capi vogliono negare questo onore. Il conflitto si risolve quando Odisseo fa notare che c’è un terzo e ancora più alto obbligo: la fedeltà alla comunità. Un tempo nemico mortale di Aiace in vita, Ulisse dimostra lealtà alla comunità diventando il portavoce di Aiace nella morte. Trascendendo la sua inimicizia personale, Ulisse sopprime qualsiasi motivo di futura vendetta da parte della famiglia di Aiace, e impedisce così che il ciclo tragico si ripeta nella generazione successiva.
Nell’Antigone, invece, il tiranno Creonte insiste sul fatto che Polinice, fratello di Antigone, non deve essere sepolto perché “il nemico non diventa mai amico, nemmeno da morto!” (Meier, 1993: 190). Creonte fa murare viva Antigone in una grotta per aver sfidato la sua autorità anche se capisce perfettamente che il suo decreto è ingiusto (nemmeno se le aquile di Zeus fossero scese dal cielo e avessero portato Polinice direttamente sull’Olimpo, Creonte avrebbe ordinato di seppellire il corpo). Creonte crede di perseguire gli interessi della polis. La sua assoluta devozione alla ragion di Stato gli impedisce però ogni dialogo, ogni compromesso, ogni riconoscimento dell’errore. È questo che lo porta alla rovina. Non comprende che la vera giustizia consiste nel trionfo della giustizia collettiva, non di quella parziale, individuale. E proprio in ciò consiste anche l’errore di Antigone. Antigone è così ossessionata dalla propria giustizia parziale che commetterà persino un crimine “santo” per ottenerla.
Quello che Sofocle sembra suggerire è che i conflitti su valori e norme non possono essere risolti imponendo con la forza il valore “migliore”. L’unica vera soluzione sta nel riconciliare gli ideali di tutti, nel riconoscere la somiglianza di questi ideali e nell’essere disposti a sacrificare una vittoria parziale per il bene di quegli ideali condivisi. Ciò che la tragedia classica greca ci insegna è che la vittoria totale, in ogni conflitto, può solo generare un nuovo conflitto. Qui sta la differenza cruciale tra una rivoluzione incompiuta, destinata a ripetersi, e una vera rivoluzione che ha completato il suo ciclo completo. Quest’ultimo considera la sofferenza dei nostri oppositori come la nostra stessa sofferenza, piuttosto che come una giustificazione per ulteriori rivoluzioni e ulteriori sofferenze.
Vale quindi la pena ricordare che, già nel maggio 2014, la Verkhovna Rada ha riconosciuto la necessità di dare priorità alla riconciliazione, quando ha adottato un “Memorandum d’intesa e di pace” (Rada.gov.ua, 2014). Ha invitato tutti gli ucraini a “tendersi la mano l’un l’altro, a respingere le azioni radicali e l’odio, a ripristinare, insieme, sforzi comuni per la difesa, lo sviluppo e la creazione di una Ucraina democratica, sovrana e unita, in cui persone di tutte le nazionalità, convinzioni politiche e fedi possano vivere in amicizia”. Per raggiungere questo obiettivo, la Rada ha chiesto “un dialogo nazionale nel quadro della tavola rotonda dell’unità nazionale”. Adottata appena cinque giorni prima delle elezioni presidenziali, se questa politica fosse stata effettivamente attuata, la storia successiva dell’Ucraina avrebbe potuto essere molto diversa.
Tuttavia, la tragedia ci insegna anche che non esistono soluzioni permanenti per gli eventi umani, né leader permanentemente virtuosi, solo lezioni apprese (o non apprese) dagli errori del passato. Ricordandoci di queste lezioni, c’è almeno la speranza che il ciclo di contrapposizioni che ha portato a questo particolare conflitto possa interrompersi. Enfatizzando la necessità del dialogo e della riconciliazione, la tragedia non è quindi né più né meno che il fondamento della pacificazione. La via per la pace, sia all’interno dell’Ucraina che tra Ucraina e Russia, è quindi la stessa: dialogo e riconciliazione. In effetti, per milioni di persone nell’Ucraina orientale e meridionale, la riconciliazione con la Russia è una componente essenziale della loro riconciliazione con i loro concittadini ucraini, poiché invierebbe un segnale inequivocabile del fatto che, indipendentemente dalla loro religione, lingua e patrimonio culturale, saranno accolti come ucraini e non trattati come una “quinta colonna” all’interno del proprio Paese. La capacità dell’Ucraina di spezzare il ciclo della tragedia dipende in definitiva da questo.
Bibliografia e sitografia:
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Lebow, R., 2003. The Tragic vision of politics. Cambridge: Cambridge University Press.
Meier, C., 1993. The Political art of tragedy. Baltimore: Johns Hopkins University Press.
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Slavinska, I., 2015. Yurii andrukhovych: “Konflikt na Donbasi – tse naspravdi viyna kultur” [Yuri andrukhovych: “The conflict in Donbass is indeed a war of cultures”]. Ukrainska pravda, 2 March. available at: https://life.pravda.com.ua/ society/2015/03/2/190102/ [accessed 1 December 2018].
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Williams, R., 1966. Modern tragedy. Stanford, Calif.: Stanford University Press.
Le immagini sono tratte dal film Donbass (2018) di Sergei Loznitsa (locandina spagnola sotto)