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La quarantenne Leonie Böhm è una delle più talentuose registe e performer della scena teatrale tedesca, nota per il suo approccio ‘aggressivo’ verso i testi canonici del repertorio occidentale, piegati e adattati in base alla prospettiva di come noi moderni ci rapportiamo ad essi e di come proiettiamo su di essi le nostre esigenze e idee.

Nel recente passato si è cimentata tra l’altro con Nathan il saggio di Lessing (Thalia Theater di Amburgo, 2016), Yung Faust da Goethe (Kammerspiele di Monaco di Baviera, 2019), Medea da Euripide (Schauspielhaus di Zurigo, 2021). Nel 2023 si è dedicata ad Antigone, rigorosamente “da Sofocle” e non “di Sofocle”, messa in scena nella scorsa primavera al Maxim Gorki Theater di Berlino, con riprese che sono andate avanti fino a settembre.

Antigone, Maxim Gorki Theater , stagione 2022/2023 

Si tratta di una rivisitazione del dramma di Antigone marcata dalla massima soggettività, che non ha quasi nulla a che fare con il testo sofocleo (qua e là se ne declamano i versi nella celebre traduzione di Hölderlin), e che pretende di scavare nella vicenda mitica antica alla ricerca di un nucleo autentico di significato da svelare allo spettatore di oggi. Ma non c’è nulla di esoterico o di complicato in questa messinscena, tutta giocata sulla corporeità e sulla materialità. La domanda che la regista, prendendo spunto dal dramma antico di Antigone, attraverso le bravissime quattro attrici che si esibiscono in scena (Lea Draeger, Eva Löbau, Julia Riedler, Çiğdem Teke), pone a sé stessa, al pubblico e forse anche a Sofocle, è questa: come è possibile arrivare a un cambiamento di coscienza radicale e necessario per approdare a un cambiamento effettivo del mondo? Come possiamo reinventare noi stessi, rinascere nella forma più giusta, liberati dalle catene delle convenzioni sociali, delle paure morali, veramente fedeli ai più nobili ideali? L’Antigone sofoclea è letta evidentemente come il paradigma emblematico di una rivolta interiore, che porta alla liberazione della coscienza, anche se il prezzo da pagare sono la sofferenza estrema e la morte.

La scena, disegnata dalla scenografa Zahava Rodrigo, rappresenta una sorta di grotta rocciosa, una caverna fatta di rocce nere di cartapesta che incombono dall’alto e su tutte le pareti. Essa da un lato simboleggia la prigione in cui Antigone è stata rinchiusa da Creonte per il suo atto di disubbidienza, e dall’altro sembra essere un luogo di rifugio, uno spazio sicuro nel quale è possibile sentirsi protetti. Sulla parete di fondo si intravede un’apertura luminosa ad indicare una possibile via d’uscita. Nel mezzo si trova una piscina piena di fango dove tutti i personaggi finiscono, chi prima chi dopo, con l’immergersi denudandosi e spalmandosi di melma.

 Antigone, Maxim Gorki Theater , stagione 2022/2023

 

Nella messinscena non c’è nessun dispotico tiranno di nome Creonte, non c’è una Ismene dubitante, non c’è l’innamorato Emone, non c’è il profeta Tiresia, non c’è neppure un coro di tebani incerti e oscillanti. E mancano riferimenti al conflitto epocale tra necessità di rispettare le leggi dello stato e dovere di seppellire il corpo dei famigliari. Sul palco ci sono solo quattro attrici, quattro donne che evidentemente vanno viste come quattro diverse proiezioni della figura di Antigone. Tra loro sussiste un legame di sorellanza osmotica, suggellata dall’insistito toccarsi, sputare e scambiarsi la saliva e il muco, così da testare i propri limiti della vergogna e del disgusto. «Ci sono così tanti mali che sono venuti dai nostri padri e dalle nostre madri» – recita una delle attrici – «tanta sofferenza, tanta paura, mortificazione, vergogna, impotenza, che noi riviviamo. Tutto questo si moltiplica in noi. In tutti noi. Questa è la nostra maledizione».

La drammaturgia di Leonie Böhm tende a leggere i testi teatrali che mette in scena come drammi di resistenza e manifesti di ribellione contro il potere maschile, progettando un mondo privo di paternalismo maschilista e affidando, di conseguenza, la maggior parte dei ruoli, compresi quelli degli uomini, ad interpreti femminili. Nel caso della sua Antigone la ribellione assume i caratteri di un rituale di liberazione femminile: un rituale a tratti grottesco, con effetti comico-umoristici. Le quattro attrici vogliono liberarsi dal dominio patriarcale e dalla paura della morte e del lutto. Per provare a sé stesse e al pubblico la loro determinazione, decidono di abbattere i confini della vergogna denudando il proprio corpo e ricoprendolo di fango: un bagno nella sporcizia cha ha funzione catartica, un bagno rigeneratore, necessario per riscoprirsi e reinventarsi come parte di una comunità femminile liberata.

Antigone, Maxim Gorki Theater , stagione 2022/2023

 

Le danze gioiose nel fango, con l’esposizione volontaria della propria nudità, producono un effetto terapeutico grazie al quale le quattro interpreti si ritrovano come gruppo solidale. Ma l’aspetto più interessante è quello dell’interazione costante col pubblico. Ripetutamente le attrici si rivolgono agli spettatori con domande e sollecitazioni di vario genere, o anche per chiedere consiglio sul da farsi. Potenzialmente si tratta di un espediente creativo molto stimolante, ma nella realtà concreta risulta assai poco efficace, nel senso che il pubblico – per lo meno nella messinscena del 17 settembre cui abbiamo assistito –, anziché collaborare a questo esperimento d’improvvisazione, preferisce distaccarsi ridendo e pronunciando battutacce.

Leonie Böhm scompone, taglia e ricompone l’Antigone sofoclea fino al punto che non rimane quai più nulla del testo e della costruzione drammaturgica originale, ridotto a una fragile reminiscenza. Ad un certo punto si sente pronunciare l’incipit celeberrimo del primo stasimo, «Molti son i mostri e niente è più mostruoso dell’uomo», ma in modo del tutto decontestualizzato, così come l’altra famosa battuta in cui Antigone si dichiara «nata per amare e non per odiare». Il linguaggio di questa messinscena oscilla tra passato e presente, tra alto pathos e basso nonsense. Basti pensare alla canzoncina che viene intonata più volte e che recita «Ovunque è merda. Non riesco più a liberarmi. Quando sgattaiolo via, sgattaiolo nella merda».

Siamo di fronte a una riscrittura originale e a suo modo geniale, che spiazza completamente lo studioso del teatro sofocleo, ma anche lo spettatore comune. Il limite è l’eccessiva unilateralità di voler ridurre tutta la profonda complessità della tragedia antica ad un nucleo soltanto, quello dell’emancipazione femminile. Ma fortunatamente questa prospettiva unidirezionale è corretta da una notevole dose di autoironia che rende lo spettacolo leggere e godibile.

 

 Antigone, Maxim Gorki Theater , stagione 2022/2023, Locandina

 

Antigone da Sofocle

Regia: Leonie Böhm

Scenografia: Zahava Rodrigo

Costumi: Laura Kirst

Luci: Lutz Deppe

Drammaturgia: Tarun Kade.

Interpreti: Lea Draeger, Eva Löbau, Julia Riedler, Çiğdem Teke e Fritzi Ernst (musica dal vivo).

Premiere: Berlino, Maxim Gorki Theater, con repliche fino a settembre 2023.