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Ieri il direttore della Biennale Pierangelo Buttafuoco, anche in risposta all’appello del gruppo Venice4Palestine, ha citato la traduzione di alcuni versi delle Troiane di Euripide in cui si piange l’insensatezza dell’eccidio del figlio di Ettore, che nel racconto mitologico fu gettato giù da una torre per ispirazione di Odisseo, con la motivazione di liberarsi di un possibile acerrimo nemico dei Greci in futuro[1].

«Un libro del liceo (cioè le Troiane) ci consegnava gli anticorpi necessari, solo che dovevamo tenerli vivi per non accettare quello che invece stiamo accettando giorno dopo giorno», ha dichiarato Buttafuoco, concludendo: «Un greco è capace di provare pietà per la morte dei suoi nemici. È catarsi, educazione. Ed è per questo che oggi diamo voce a don Nandino Capovilla»[2].  Non discutiamo qui quanto improbabile sia la ‘pietà’ in guerra per i Greci, e nemmeno l’equivalenza tra le parole ‘catarsi’ ed ‘educazione’ (forse si intendeva paideia), ma l’uso strumentale dei versi di Euripide.

Non è certo la prima volta che le Troiane euripidee e i classici della poesia greca in generale sono citati in chiave anti-bellica o per denunciare le nefandezze che si commettono nei conflitti bellici. Il caso di Astianatte, il figlio di Ettore, commuove e coinvolge il pubblico sin dall’Iliade: quando Andromaca piange sul corpo del marito che è stato trucidato da Achille esclama rivolgendosi al figlio: «Io presto andrò via schiava con i Greci e tu mi seguirai; oppure un greco ti scaglierà, sollevandoti, giù dalle mura – una morte terribile! – irato perché, forse, Ettore gli uccise un fratello, o il padre, o un figlio: moltissimi sono i Greci che hanno morso la terra (cioè sono morti), uccisi dalla forza di Ettore» (Iliade 24, 734-738). Questi versi – e anche quelli di Troiane – si inscrivono nella logica della guerra e della forza, che era quella sia del pubblico a cui originariamente si rivolgevano i poemi omerici, sia quelli dell’Atene imperialista e guerrafondaia del V sec. a.C. e che permea tutta la storia dell’antichità. Donne e bambini sono, in questa logica, vittime della guerra, è un dato di fatto: alla crudeltà di Ettore, che non risparmia nessuno, i Greci rispondono con la stessa crudeltà. Andromaca non ha doti profetiche, ma sa bene quello che accadrà. Se si vogliono leggere pagine molto documentate su ciò che succede ai non combattenti durante le guerre in Grecia antica, da Omero all’età imperiale, si può ricorrere al libro in open-access di Andrea Cozzo, La logica della guerra nella Grecia antica. Contenuti, forme, contraddizioni (specialmente pp. 129-136).   

La mania di citare o richiamarsi a Omero e alla tragedia greca come espressione di valori ‘universali’ (ma cosa è ‘universale’?) di pietà, giustizia, verità (come se esistesse un’unica misura e definizione per questi termini) appartiene a una visione ideologica e astorica della cosiddetta ‘cultura greca’ che ha dato nel Novecento i suoi frutti peggiori, grazie ai fascismi ed ai nazionalismi. È sufficiente, per smentire questa visione, rileggere il saggio di Simone Weil, L’Iliade o il poema della forza, scritto dopo la partecipazione della filosofa in prima persona alla guerra civile spagnola del 1936, una guerra a mio parere incautamente chiamata in causa in questi giorni da tutti coloro che vorrebbero armare ancora di più l’Ucraina o inviare truppe per combattere l’invasore russo.

Di questa visione universalistica, potremmo dire ‘asettica’ della tragedia greca, riproposta in scena ancora oggi in traduzione senza alcun adattamento, con la conseguenza che il testo continua a ‘suonare’ e a essere declamato come traduzione e non come testo di teatro, tutti hanno avuto un esempio nella riproposizione in tv dell’Edipo a Colono per la regia di Robert Carsen, che è stato uno degli spettacoli di punta della stagione INDA 2025. Una versione in cui qualsiasi riferimento all’attualità viene totalmente epurato e la vicenda mitologica vive di vita sua propria, mancando proprio della possibilità di quel contagio emotivo, degli attori e del pubblico, che sin da Aristotele costituisce lo scopo dello spettacolo tragico.

Apprezziamo comunque il tentativo di Buttafuoco, in occasione del primo appuntamento ufficiale della Biennale Cinema 2025, di richiamare l’attenzione del pubblico sull’immane tragedia di Gaza e di introdurre le parole di chi di persona è andato a Gaza per testimoniare l’orrore, don Capovilla. Ma non bastano i versi decontestualizzati da una tragedia greca, se poi oltretutto si aggiunge: «Non c’è niente di più triste che speculare su qualcosa che reclama innanzitutto pudore, consapevolezza e poi un richiamo a quello che è la nostra capacità di valutare e giudicare le cose fuori dalla retorica, fatti non salotti».

In che senso la situazione di Gaza reclama ‘pudore’? Quale sarebbe la ‘retorica’ da cui bisogna uscire? A nostro parere, citare la tragedia greca per dar prova di comprensione di ciò che sta accadendo a Gaza è retorica salottiera. Che si prendano invece posizioni politiche, che si intervenga concretamente, non che si ostenti una spettacolare ‘pietà’ col beneficio della distanza e lo spettro dell’antisemitismo. Bisogna sostenere in tutte le maniere possibili gli attivisti e i medici e i giornalisti che sono sotto le bombe, bisogna aiutare chi sta andando a lavorare o a protestare o cerca di portare aiuti ai gazawi, bisogna guardare e prendere ispirazione dai cristiani resistenti nella striscia, guidati con dignità ed eroismo dal cardinale Pierbattista Pizzaballa e dal patriarca Teofilo III.

Cosa fa invece il nostro governo? Cosa fa l’Europa? Agiamo sì fuori dalla retorica, anche fuori dalla retorica inutile e stantia con cui si abusa ancora della tragedia greca, che non è certo solo un ‘libro del liceo’ -  altrimenti dobbiamo escluderne la conoscenza e gli ‘anticorpi’ dalla maggior parte delle persone in età scolare e dunque dai cittadini prossimi futuri.   

 

[1] Fonte ansa: https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/festival_di_venezia/2025/08/26/il-dramma-di-gaza-evocato-alla-mostra-da-le-troiane-di-euripide_3d23b1c2-a75e-4ba5-8672-35689b05afbf.html

[2] Fonte Avvenire: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/mostra-del-cinema-venezia-don-capovilla-gaza