Nel chiudere la sua riflessione sull’Antigone di Sofocle[1], Eugenio Borgna scriveva:
La gamma delle emozioni che si snodano nel corso della tragedia è infinitamente ampia, e mi auguro di essere riuscito a rievocare quelle che si radicano nel cuore, e nella memoria vissuta, di ciascuno di noi. Leggere e rileggere questa tragedia non è solo una straordinaria esperienza umana, ma è anche un dialogo senza fine con il nostro passato, e con il nostro futuro. La gentilezza e l’amore di Emone, la tenerezza di Euridice e di Ismene, l’indicibile dolcezza e l’amore di Antigone sono modi di vivere ai quali dovremmo guardare con timore e tremore, tenendoli brucianti nella nostra memoria vissuta, e allontanandoci radicalmente da quelli così crudeli e inumani di Creonte. Questi sono gli ultimi pensieri sul senso del vivere e del morire in Antigone, e sulle risonanze emozionali, ai quali sono giunto nella mia lettura affascinata alla ricerca della sua umanità ferita.
Antigone e la sua follia, il lungo saggio che Borgna antepone alla traduzione italiana di Raffaele Cantarella della tragedia di Sofocle, ha la forma di una intesa meditazione, di un confronto serrato con il testo della tragedia che diviene pre-testo per un persomale diario, a tratti struggente, che affronta i temi a cui Borgna ha dedicato tutta la vita: cosa è la follia? Quale è il rapporto tra follia e dolore? La follia è una risorsa oppure solo una manifestazione della fragilità umana? Queste domande sono affrontate indagando le emozioni: quelle che trapelano dal testo di Sofocle e quelle che si succedono nel lettore che si rapporta alla vicenda messa in scena nell’Antigone con il cuore, cioè rivivendo la sofferenza dei personaggi della tragedia, i loro dilemmi, la variegata gamma delle loro emozioni. Attraverso l’Antigone, dunque, Borgna indaga il senso del vivere e del morire, e attraverso la ‘follia’ di Antigone ripercorre la ‘follia’ che attraversa la vita di ognuno di noi e determina emozioni antitetiche, la gioia come il dolore. Il primo capitolo dell’introduzione a quel libro si intitola appropriatamente Emozioni e vi leggiamo:
Le emozioni dicono quello che avviene in noi, nella nostra interiorità, nella nostra anima, nascono e muoiono in noi, alcune è facile rimuoverle, o controllarle, altre tendono invece a sfuggire al nostro controllo. Le emozioni sono categorie rivelatrici del senso e del destino dell’esistenza; e ne vorrei indicare alcune: quelle che a mano a mano sono riemerse dalla mia bruciante lettura della tragedia: l’angoscia e le paure, la tristezza e la nostalgia, la delicatezza e la mitezza, lo smarrimento e la estraneità, la felicità e la gioia, l’amicizia e l’amore, la speranza e la disperazione, la nostalgia e il dolore, ma anche la crudeltà e la violenza, la noncuranza e l’indifferenza. Grandi emozioni si agitano nel cuore di Antigone e di Ismene, di Emone e di Euridice, di Creonte e di Tiresia. Sono emozioni nelle quali ne va del vivere e del morire, della vita e della morte, che si intrecciano le une alle altre, e che scorrono vertiginosamente negli andamenti tematici della tragedia.
Ci sembra dunque giusto ricordare Eugenio Borgna, scomparso lo scorso 4 dicembre, con pagine dedicate alla sua capacità di ascoltare le emozioni.[2] (S.F.)
Eugenio Borgna. Il medico che sapeva ascoltare le emozioni
Eugenio Borgna, scomparso pochi giorni fa all’età di 94 anni, ha saputo come pochi altri imprimere alla psichiatria italiana la sua cifra personale di mitezza e ascolto dell’essere umano, colto nelle sue inquietudini più profonde e nella peculiarità delle sue emozioni. Poco più giovane di Franco Basaglia, Borgna ne condivise i metodi, aprendo le porte dell’istituto psichiatrico dell’Ospedale Maggiore di Novara al rapporto con l’esterno, sottraendo così i pazienti al regime di costrizione che normalmente vigeva nei manicomi e che sta ritornando pericolosamente in auge nelle pratiche della psichiatria italiana. Per alcuni oggi è addirittura motivo di vanto il fatto di sapere insegnare come legare meglio i pazienti durante le loro crisi. Borgna ha battuto decisamente un’altra strada, forse incomprensibile per chi ricerchi soluzioni facili e brutali a problemi complessi.
Quale esponente della psichiatria fenomenologica ed esistenziale, iniziata da Karl Jaspers e Ludwig Binswanger, Borgna rifiuta un approccio meramente farmacologico e disumanizzante alla malattia mentale. La nozione stessa di malattia mentale è stata da lui messa fortemente in discussione, il che non si è mai tradotto, contrariamente a quanto sostengono superficialmente i detrattori di questo orientamento, nella sottovalutazione della sofferenza che alberga nel paziente, come in ciascun essere umano, e assume forme specifiche, bisognose di comprensione e interpretazione. Si tratta invece di dare fiducia alla ricerca di un terreno comune tra paziente e terapeuta, per quanto questo cammino sia lento e faticoso e non porti a risultati eclatanti in tempi brevi. Per questo la dimensione della parola, dell’ascolto e della relazione furono centrali tanto nella sua pratica clinica, quanto nelle riflessioni ininterrottamente condotte da Borgna negli ultimi trentacinque anni della sua vita. Lo sforzo di Borgna è stato quello di inserire il dolore del singolo in una rete di relazioni più ampie, che gli conferissero senso: accanto a quelle dei pazienti, nelle sue opere risuonano voci provenienti dalla letteratura – soprattutto dalla poesia: Emily Dickinson, Giacomo Leopardi, Georg Trakl –, dalla filosofia, dalla musica e dalle arti figurative.
Al centro di questa polifonia, in un ruolo preponderante, si collocano le emozioni. Alla loro comprensione Borgna ha dedicato uno spazio per nulla scontato, non solo se si guarda alla psichiatria istituzionale: anche nella fenomenologia, l’indagine delle strutture e delle forme fondamentali dell’esistenza non sempre ha saputo riconoscere alle emozioni la dignità che invece Borgna ha loro conferito. Il racconto delle storie dei pazienti, o delle grandi figure della letteratura e dell’arte, ha quindi per perno le loro emozioni, in quanto cifra a un tempo universale e particolare dell’esistenza. Presenti in ciascuno con una intensità variabile, esse caratterizzano il modo di stare al mondo di ogni persona e ne segnano il cammino. Per descriverne la trama, Borgna ricorre a un’immagine plurale, parlando dell’«arcipelago delle emozioni». Ogni emozione è un’isola, che però si comprende soltanto nell’insieme intricato che compone con le altre: come in un’assemblea democratica, ogni voce deve avere la possibilità di esprimersi liberamente così com’è, se si vuole poi trovare un compromesso basato sull’ascolto e non sulla coercizione. Il termine ‘arcipelago’ evoca anche la passione dell’esplorazione di un territorio in larga parte vergine e forse mai del tutto afferrabile, che va contemplato con la stessa meraviglia che si proverebbe di fronte a un atollo incontaminato.
Borgna si è immerso nelle acque profonde delle emozioni, soffermandosi con particolare insistenza su alcune di esse, ricorrenti nei sui libri. Si tratta delle emozioni più trascurate da una società tutta rivolta al culto del successo, della prestazione e della competizione, che dedica poca attenzione all’interiorità e alle parti tenere, porose e fragili dell’anima umana: proprio quelle grazie a cui prendono forma le relazioni e il dialogo con l’altro.
La prima e a lui più cara tra quelle che ha altrove definito le «passioni fragili» è sicuramente la tenerezza. A questa emozione Borgna ha associato la figura di Simone Weil nel libro L’indicibile tenerezza. In cammino con Simone Weil (Feltrinelli 2016) ed è tornato poi a esplorarla in un piccolo volume, Tenerezza, pubblicato da Einaudi nel 2022. Secondo Borgna, nessuna emozione come la tenerezza è fonte di guarigione per l’anima sofferente, poiché essa sa lenire la solitudine da cui essa è avvinta. La tenerezza è accettazione compassionevole di sé stessi e apertura verso il prossimo. Simone Weil è esemplare per avere scelto di immergere il proprio dolore nel dolore degli altri, anziché crogiolarsi in esso da brava ragazza borghese: quando ad esempio si fa assumere in fabbrica per condividere i patimenti della classe operaia, è convinta che solo questa esperienza di contatto ustionante con il prossimo le consentirà di dirsi davvero parte della condizione umana.
È difficile comprendere, per i cultori dei test e delle statistiche, il terreno intersoggettivo su cui Borgna si muove. Come racconta lui stesso ne Il fiume della vita. Una storia interiore (Feltrinelli 2020), il suo metodo psichiatrico nasce dall’avere sperimentato in prima persona i morsi della solitudine e della depressione, ma anche le grandiose, intense trasformazioni di cui esse sono capaci, dapprima nel corso di un’adolescenza appartata dai suoi coetanei e poi di nuovo, in età matura, nei lunghi anni successivi alla morte della moglie Milena. La soggettività, tuttavia, non rimane chiusa in sé stessa, ma si fa pratica medica e intellettuale dalla forte valenza politica. Proprio per avere attraversato l’ombra, Borgna è consapevole dei bisogni dell’essere umano, che sono anche i suoi. Per questo lo psichiatra non si deve porre gerarchicamente al di sopra del paziente, prendendone le distanze, magari per la paura di riconoscervi le stesse emozioni che albergano anche in lui: Borgna parla di una parità della condizione umana, che richiede ascolto e dedizione specifica alla persona che ci si trova davanti. Questa pratica medica si pone in controtendenza rispetto all’approccio oggettivo e reificante di tanta medicina contemporanea, ma anche alla tradizione psicoanalitica, più attenta all’indagine delle cause biologiche e sociali dei disturbi che all’accettazione dell’unicità di ogni vita umana, in cui le emozioni e il dolore si declinano in maniere irripetibili e difficili da catalogare.
La tenerezza è dunque per Borgna la ricerca di una consonanza tra soggettività diverse. Ma come è possibile ascoltare la musica dell’interiorità, altra immagine a lui cara, se spesso se ne viene distolti dal rumore assordante che minaccia di sopraffare le emozioni più fragili ed evanescenti? Per lasciare fiorire le passioni fragili, si rende necessario l’esercizio della mitezza, una virtù politica già decantata da Norberto Bobbio, ma fatta spesso oggetto di incomprensione. Abbassare il tono dell’ego per fare spazio all’altro e alle parti di sé che rimangono in ombra, schiacciate dalla prepotenza di istinti più protervi, non è una manifestazione di arrendevolezza o di rassegnazione. La mitezza si potrebbe invece definire come una cedevolezza positiva della volontà, un invito ad affidarsi a quelle emozioni che faticano a farsi strada, perché in contraddizione con gli imperativi del controllo ossessivo e agli ideali disumani di produttività e concorrenza.
Proprio questa malformazione della società è una delle origini dell’ansia, un’altra emozione del nostro tempo, che Borgna ascolta con rispetto, in quanto portatrice di un messaggio che risale dall’interiorità sofferente e parla di attesa e nostalgia, solitudine e timidezza. Ogni emozione, anche se connotata negativamente, trova la sua dignità e il suo senso in un quadro più ampio. Ognuna rivela aspetti preziosi dell’interiorità, ma anche del vivere collettivo: non è un caso che alcune emozioni nella società vengano marchiate attraverso giudizi di valore, come se avessero bisogno di una legittimazione esterna per essere provate e corrispondessero alla maggiore o minore capacità del singolo di raggiungere i traguardi fissati dal paradigma sociale dominante: per questo esse vengono censurate, dimenticate o apertamente disprezzate. L’ansia, che viene associata all’incapacità di affrontare le sfide dell’esistenza in maniera vincente, può invece risuonare di sensibilità inespresse, che reclamano ascolto.
Un’altra emozione rimossa per i motivi appena spiegati è la speranza. L’antica virtù cristiana è sentita da Borgna come autentico movimento di liberazione dalle costrizioni del passato e del presente e apertura verso un orizzonte creativo, in cui la vita si immagina e si fa senza il fardello della ripetizione di ciò che è stato o viene imposto dall’esterno. La sua assenza si manifesta nella depressione, che è pure la ricerca di una via d’uscita da una situazione divenuta intollerabile: sprofondando in sé stessa, l’anima cerca nuovo alimento che la risvegli dal suo lungo sonno. Quando la speranza riluce – ed è spesso una luce intermittente, che non attecchisce alla sua prima apparizione – la notte dell’anima può allora tingersi dei colori dell’arcobaleno. Secondo Borgna, sbaglia chi ritiene effimera questa immagine di luce riflessa, come se essa non potesse nulla contro la cupezza della disperazione. Invece, proprio nella leggerezza quasi trasparente e intangibile della speranza risiede anche la sua forza, che risolleva la persona sofferente e ne accompagna il percorso di metamorfosi, senza aggiungere nuovi pesi al dolore e al senso di colpa già schiaccianti, ma indicando la strada per uscirne. Per questo la speranza è un’emozione centrale nell’anima umana, poiché insegna a spingere avanti lo sguardo, nonostante tutto, lasciandosi alle spalle modi radicati di percepirsi e immaginarsi, che si sono rivelati paralizzanti e mortiferi. Senza speranza, secondo Borgna, non si danno creatività né vita: l’umano viene annientato e risucchiato indietro nei gorghi della solitudine. Per questo lo psichiatra si deve impegnare perché questa tenue luce torni a risplendere davanti agli occhi del paziente.
Per Borgna le emozioni sono quindi non solo la chiave di accesso alla comprensione dell’interiorità, ma anche il fulcro di un paradigma psichiatrico radicalmente diverso da quello istituzionale. Analizzare e riconoscere le emozioni rianima la ricerca psichiatrica, distogliendola dalla freddezza delle statistiche e dei farmaci, per metterla in contatto con la parte calda della vita psichica – non si ricorderà mai abbastanza che la moderna medicina occidentale nasce dalla dissezione dei cadaveri e non dalla cura per il corpo vivente. Come sarà ormai chiaro, conoscere le emozioni ha per Borgna anche un risvolto politico: ascoltare sé stessi in profondità, lasciando che tutte le emozioni che affiorano in noi prendano la parola, significa anche ammettere lo spazio dell’altro. Solo quando si diviene consapevoli della propria singolarità plurale e frastagliata si esce da un’idea di sé restrittiva secondo le norme provenienti dall’esterno. Questa liberazione non può che partire da ciò che più profondamente ci abita e non ubbidisce alle manipolazioni di cui la razionalità è talvolta capace, nella sua smania di trovare una spiegazione per tutto. Per questo l’ascolto gentile della sfera emotiva rinuncia volentieri al giudizio, che spesso si traduce in una condanna verso ciò che viene ritenuto sbagliato. Il cammino di riconoscimento delle emozioni avviato da Borgna procede anzi nella direzione opposta, mettendo in discussione i valori comunemente accettati e facendo della relazione interpersonale un percorso di dialogo e scoperta potenzialmente inesauribile. Così l’essere umano può trovare un lenitivo, almeno parziale, all’inferno della solitudine, che smette di essere tale quando si apre all’ascolto: «Non c’è solitudine senza il silenzio, e il silenzio è tacere, ma anche ascoltare».
[1] Eugenio Borgna, Sofocle, Antigone e la sua follia, Bologna, il Mulino, 2021. Le citazioni qui sono alle pp. 52-53 e