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Apro la finestra, permetto alla luce e all’aria di entrare; quella fresca della mattina è la più piacevole; un risveglio di calma e silenzio.

Chiudo gli occhi e mi trovo lì, in quel paesaggio innevato, e c’è mia nonna che viene a svegliarmi e io che esco a correre e giocare in quella pace bianca, e conquisto il suolo con le mie orme bambine.

Saluto la mia famiglia, li vedo piccoli da quello schermo, mi riempiono di parole di conforto; preoccupazione nella voce di mia madre, e negli occhi di mio padre nostalgia.

Premo quel pulsante rosso che mi caccia via di casa in un attimo.

Mi trovo di nuovo lontana.

Penso spesso a mia nonna. Le mie mani si imbiancano di farina quasi ogni giorno, riempio la mente di ricordi felici, e la cucina di presenze svanite nel passato. Mi lascio accarezzare da quei profumi di casa, di famiglia, di infanzia che mi riportano alla calma e alla spensieratezza dei viaggi passati.

I giorni non hanno più un nome, cadono le ore senza alcun suono, senza quel ticchettio ordinario che dà il tempo alla vita, che regola i momenti.

Cerco disperatamente di saziare un tempo affamato.

Accendo quello schermo luminoso, imprescindibile, in cui sento voci robotiche in cerca di umanità.

Mancanza di sguardi, di volti conosciuti, impossibilità di conferme visive alle domande che cerco di porre, solo voci robotiche in cerca di umanità.

Appare un viso dietro quello schermo, è una parvenza di connessione. Alle spalle, librerie importanti, pareti vuote, o qualche foto familiare.L’intimità allo scoperto, ma solo per qualche attimo; poi, solo quelle voci robotiche in cerca di umanità.

E penso. All’incredulità di Elena. Un’Elena confinata in Egitto – è così che la immagina Euripide –: tutti la credono altrove e invece è prigioniera di un re straniero. Non ha mai tradito Menelao, non è mai stata a Troia. I Greci hanno combattuto dieci anni per un fantasma. La guerra, si sa, finisce con un inganno e una strage. Nella tragedia di Euripide, Menelao lascia Troia con Elena, certo che sia Elena fino a quando, dopo un naufragio, scoprirà che la donna che ha con sé è solo una immagine immateriale, un fantasma, del tutto simile alla sua Elena senza però essere la vera Elena, che è altrove. Menelao naufraga con la sua nave e i suoi uomini in Egitto. È lì che un suo luogotenente, mandato ad esplorare quella terra straniera, incontra la vera Elena. Dal suo esilio, deciso per lei dagli dei, assetata di notizie su Troia, la donna più bella si informa: «Quanto tempo è durato l’assedio?» «Dieci anni» «E Elena? L’avete catturata?» «Menelao la portò via, trascinandola per i capelli» «E tu l’hai vista? Oppure parli per sentito dire?» «Proprio come ora vedo te con questi occhi, nessuna differenza». «State attenti a che non sia un miraggio mandato dagli dei» «Non voglio più parlare di Elena». «Ma allora credete che non sia un miraggio, che sia vera? Siete sicuri che sia lei?» «Io l’ho vista, con i miei occhi, e la mente conosce quel che vede».

Nell’Elena di Euripide, una specie di melodramma, in cui l’amore sembra trionfare, si insinua il dubbio, tragico, quanto mai attuale in questi giorni, che quello che vediamo non sia proprio la realtà.

Mi sono chiesta allora: questa pandemia ci rende più connessi del solito, ma i nostri rapporti umani sono ‘veri’ o sono solo figure sullo schermo? Chi davvero vediamo? Cosa è che vediamo? Cosa è che veramente sappiamo?

Ci elencano numeri terribili per dirci subito dopo che non sono ‘reali’.

Vediamo camion militari che portano bare da cremare, e ci dicono che la percentuale delle morti non supera l’1 per cento.

Posso credere a chi mi parla da uno schermo? Posso credere a un riflesso, a un eidolon, avrebbe detto Euripide?

Quel riflesso non mi basta: cerco profondità di sguardi, mi ritrovo a sognare gli abbracci di mia nonna e a sentirne ancora il profumo. Eppure quel riflesso, ora, mi tiene legata a una realtà: la paura reale, e angosciante, che possa accadere una disconnessione totale. Lo svanire improvviso di quell’unico contatto, il ritrovarmi da sola, tra quattro mura, a fissare uno schermo ironicamente luminoso, che mi fa venir voglia di sole.

È difficile riconoscere chi amiamo. Nella tragedia di Euripide, Menelao non riconosce subito la vera Elena. Anche lui è vittima di un’illusione, di un riflesso, di un fantasma, di un doppio, forse della creazione della sua immaginazione: «Chi sei donna? Cosa vedono i miei occhi?» E neanche Elena riconosce il marito, che non vede da tanto, troppo tempo: «E tu chi sei? Anch’io te lo chiedo». Poi, a parte, rivolta al pubblico, rivolta a noi che, in questi giorni, possiamo solo leggere la tragedia, afferma: «Oh dei! È un dio che ci concede di riconoscere chi ci ama».

 Sì, conoscere, riconoscere, sapere chi è che ci ama è un dono divino. Quando passerà il tempo dei riflessi – perché passerà, deve passare –, ci riconosceremo? Quale dio ci darà la possibilità di incontrarci ancora?

Dio, qualche dio. I Greci si rivolgevano all’oracolo. Io?

Sento il crescente bisogno di protezione, sotto questo cielo minaccioso che non offre la certezza dell’azzurro. Pioggia, neve, pioggia. È primavera ma come se non fosse ancora.

 

 

Sara Schilirò studia Lettere, curriculum ‘modernità del classico’, presso l’Università di Sassari.