Nel 1935 Bertrand Russell, filosofo, matematico, attivista e premio Nobel per la letteratura, nel saggio che dà il titolo alla sua raccolta di scritti Elogio dell’ozio e altri saggi (In Praise of Idleness and Other Essays), teorizza un possibile giusto spazio temporale da attribuire alle attività dell’uomo, animale sociale e unità produttiva in un sistema capitalistico.
Gli interrogativi che assillano la mente di Russell sono diversi. È giusto che un uomo passi tanto tempo dedicandosi al proprio lavoro? È giusto produrre più di ciò che realmente serve a soddisfare le esigenze di uno Stato? È giusto che gli interessi della finanza abbiano più importanza degli interessi pubblici o del singolo lavoratore? Saprebbe l’uomo moderno impegnare diversamente il suo tempo senza renderlo vano?
Il ragionamento di Russell si concentra sui controsensi del sistema capitalistico ma soprattutto sulla necessità, per il bene comune, di investire sull’intelligenza e sull’istruzione. Senza queste colonne portanti, ogni società si trova debole e impreparata a gestire situazioni quotidiane complesse ma la debolezza ancor di più si palesa nelle situazioni di emergenza, di tragica emergenza. L’intelligenza è spesso innata ma è l’istruzione che ha il compito di guidarla. «Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza», diceva Gramsci nel suo Ordine Nuovo (1919).
Avere industrie completamente automatizzate dovrebbe portare dei vantaggi ,come ad esempio il beneficio di avere più tempo per dedicarsi a sé stessi. In realtà, il processo di industrializzazione non ha fatto sì che l’uomo potesse godere di questo vantaggio ma, anzi, lo ha indotto a lavorare ancor di più, e a ritenere, persino a convincersi, che non fosse ‘nobile’ avere del tempo libero.
Il bisogno di produrre in larga scala spinge il sistema ad immettere sul mercato delle quantità di merci che vanno oltre le esigenze dei singoli stati, ad essere spiccatamente concorrenziale e cosi l’esternalizzazione della produzione diventa una strada obbligata da percorrere. Può succedere, per varie ragioni, alcune delle quali ci sono ben presenti proprio in questo tragico momento, che questo rincorrere si fermi e si rimanga all’improvviso soli con sé stessi.
L’elogio dell’ozio, superando il concetto di vizio e trasformando l’ozio in virtù, riesce a trasferire al lettore il senso del valore di quel tempo ‘in più’ da custodire come un dono prezioso e come una fonte di rinnovata, felice, vita.
In un saggio precedente, La conquista della felicità (1930), Russell suggerisce la sua ‘formula magica’ per raggiungere e mantenere questo ambito stato. La strada della felicità e della prosperità inizia diminuendo il tempo dedicato al lavoro. Russell fissa idealmente questo tempo in quattro ore a giornata. Poiché, però, la ‘conquista della felicità’ non è solo questione di tempo, un uomo per essere felice dovrebbe avere un lavoro che gli consenta di mantenere sé stesso e i suoi familiari, essere libero da pensieri negativi, stare in salute. L’uomo, per essere felice, deve avere il controllo del proprio tempo, deve coltivare i propri interessi e le proprie passioni, circondarsi di affetti più che di beni materiali. Solo una volta raggiunta questa condizione, la conquista sarà completa e appagante.
Russell parla probabilmente di una condizione utopica, che a molti di noi potrebbe non sembrare nemmeno ideale, ma tornare al suo pensiero in questa nostra tragedia contemporanea, in questo momento di paura, impotenza e sgomento, vuole essere uno stimolo a cercare nel nostro attuale tempo libero, non voluto ma necessario, un prezioso regalo, un’occasione per pensare ad altri possibili modi di vivere il tempo della vita, momento di ‘quasi’ felicità.
Viviana Garau è studentessa della Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera dell'Università di Sassari.
Il saggio citato si può leggere in italiano quest’edizione: https://books.google.it/books?id=uVOcoAEACAAJ&dq=bertrand+russell+Elogio+dell%27ozio&hl=de&sa=X&ved=0ahUKEwjV05Kthc3oAhVjl4sKHfCYDDsQ6AEIJzAA