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Rileggere l’Edipo re

Il video che abbiamo realizzato è il risultato del desiderio di dar voce, tramite la lettura e la riflessione su un testo antico, ai nostri pensieri, alle emozioni che ci hanno attraversato e ci attraversano in questo difficile tempo. Stavamo preparando, nei mesi precedenti al lockdown, la messa in scena del mito di Edipo così come l’ha pensata Sofocle, dunque Edipo prima Re poi esule. La scelta dei due drammi sofoclei su Edipo, alla luce della situazione attuale, sembra essere stata  quasi una profezia o un segno del destino. Ripercorriamone, brevemente, la trama.  

Edipo, Re potente della città di Tebe, deve gestire uno stato di emergenza epidemiologica nella sua città, annientata da una terribile febbre che attacca tutti, uomini, anziani, donne, bambini e anche i campi, la natura intera. Si tratta di una malattia sconosciuta, che ha lo stesso nome della peste. La città ormai è alla fame per la carestia, le donne abortiscono, la vita si sta spegnendo: allora il popolo ricorre alle preghiere agli dèi e al supplichevole grido di aiuto rivolto al Re. Sofocle, partendo dalla malattia come cornice, descrive il dramma interiore di un uomo che, per far luce sulle cause di origine dell’epidemia, dovrà mettere in discussione tutta la sua vita. Gli antichi Greci parlavano con gli dèi mediante gli oracoli e gli indovini: così il profeta della città, Tiresia, avverte il Re che per sconfiggere l’epidemia dovrà trovare e scacciare colui che ha macchiato con i suoi atti impuri la città intera, che ha ucciso colui che era Re prima di lui. Nel mito, le malattie erano ritenute punizioni degli dèi per ripagare gli uomini di azioni inique. La ricerca si conclude con la scoperta dell’identità tra chi cerca il colpevole e il colpevole stesso, in un crescendo della tensione emotiva e narrativa,  colpi di scena e dialoghi serrati in cui Edipo si scopre esecutore ignaro delle azioni più tremende (assassino del padre, sposo della madre, fratello e padre dei suoi figli). Preso atto della sua ‘colpa innocente’, Edipo inizia un penoso cammino di esule scacciato, rifiutato, divenuto oggetto di orrore e derisione, finché non giungerà a Colono, un demo vicino ad Atene. Lì un buon Re, Teseo, lo accoglie: finalmente Edipo si ricongiunge con la terra e diventa nume protettore di chi lo ha accolto.

Stavamo studiando le due tragedie, quando, d’improvviso, ci siamo trovati in una condizione inedita e inimmaginabile: isolati, privati della scuola e del laboratorio teatrale, nel pieno dell’epidemia. Dopo un primo momento di stupore e di incredulità, abbiamo cercato di usare questa crisi, e sulle tracce di Edipo abbiamo cominciato la nostra indagine, ci siamo chiesti se c’è una soluzione alla malattia, qual è l’origine del contagio che prende tutta la comunità. In un certo senso, ci siamo messi nei panni di Edipo.  Abbiamo usato, allora, i mezzi che avevamo a disposizione, gli stessi che ci permettevano di comunicare a distanza. Abbiamo inserito le immagini della nostra vita quotidiana, catturate con lo smartphone o con il computer, in una cornice di riflessione, rappresentata dallo stesso mito di Edipo. La parola greca ‘mito’ significa ‘parola’, ‘racconto’: quel che abbiamo voluto tentare, è prendere in prestito le situazioni del mito di Edipo, e le parole che ad esso ha concesso la poesia di Sofocle, per raccontare di noi. Anche in questo senso le culture ‘classiche’, cioè le culture dei Greci e dei Romani, devono essere studiate antropologicamente: cioè non solo come documenti ed espressioni di precise epoche storiche, ma come adattamenti di costanti che sono nella condizione stessa dell’essere umano (anthropos). Così i miti e il loro racconto epico, drammatico, letterario antico, pur essendo miti antichi, continuano a parlare anche nell’attualità.

A poco a poco abbiamo costruito il nostro cammino verso Colono: all’inizio la sorpresa della malattia e la contemplazione impotente della sofferenza e del dolore; alla fine, la speranza di giungere ad una méta, la nostra Colono, che non significa morte o conclusione, al contrario sguardo al futuro, ad attribuire il giusto significato ad ogni crisi, alla capacità di superare anche le più terribili sciagure. Colono, per noi, è diventato termine sinonimo della pace ritrovata, dell’armonia; è diventato anche ammonimento per un futuro da costruire con basi diverse; è diventato il ritorno a ciò che più conta, gli affetti umani, la solidarietà. Colono, cioè, è diventata per noi la ‘casa’, reale o metaforica, a cui tendiamo, anche e soprattutto se il viaggio in cui siamo si rivela periglioso e pieno di vicissitudini. Colono è anche il luogo dell’espiazione e della purificazione, e perciò della speranza: che il miasma, la ‘macchia’, il ‘contagio’,  venga cancellato diventando diversi da quelli che eravamo, trasformandoci, come nella finale e segreta trasformazione di Edipo. Dalla crisi, crediamo, può scaturire qualcosa di nuovo, e la catarsi, la purificazione, deve partire da ognuno di noi.

Francesca Quartuccia

Rileggere l’Edipo a Colono

Quando ho dato la mia adesione al laboratorio teatrale, mi aspettavo, probabilmente, altro. Poi è accaduto qualcosa d’imprevedibile, che ha cambiato il corso del tempo e delle situazioni. Una messa in scena si è trasformata in un elaborato multimediale, eppure non si è trattato di un ripiego, di un adattamento, di una scelta dettata dalla convenienza. Al contrario, abbiamo allargato i nostri orizzonti, anche perché il risultato finale può rivolgersi, grazie al web, ad un pubblico molto più ampio che non quello prevedibile per il nostro originario progetto. Ma soprattutto credo che ci sia stato un cambiamento nell’atteggiamento che abbiamo dovuto tenere nei confronti stessi di quel che progettavamo: dalla lettura e la comprensione di due tragedie antiche, siamo stati quasi costretti a leggere e comprendere noi stessi. Dall’apertura agli altri, siamo stati costretti a ripiegarci in noi stessi, a pensare su di noi attraverso quegli stessi testi che dovevamo mettere in scena. Questo processo si è rivelato forse più intenso, dal punto di vista della molteplicità delle emozioni che ha suscitato in noi, che non il progetto originario della messa in scena. Cos’è stato, allora, Edipo per noi in questo tempo buio? Edipo è stato come il paradigma della condizione esistenziale di ognuno di noi: un uomo sul limite, in tensione tra colpevolezza e innocenza, tra condizione sacra di Re che ha salvato la città del mostro della Sfinge e la condizione di colpevole, di colui che con le sue azioni sacrileghe può distruggere la città. Il mito di Edipo ci ha obbligato a rispondere a questioni del presente: abbiamo sbagliato nell’agire? Abbiamo sbagliato inconsapevolmente? C’è ancora tempo e possibilità per rimediare?

Ad accomunarci ad Edipo c’è anche l’essere stati colti di sorpresa dal morbo: il laboratorio per noi doveva essere un’esperienza di contatto, di vicinanza, di condivisione, un’esperienza violata dal brusco e improvviso arrivo del Covid-19, che ci ha allontanato, strappandoci la bellezza e la profondità del dramma antico, che stavamo, a poco a poco,  cercando di comprendere. 7

Eppure è stato ancora Edipo, colpevole e innocente insieme, o meglio la vicenda mitologica di Edipo, ad averci dato la convinzione che esiste per tutti la possibilità di un riscatto: Colono è per Edipo una madre che riabbraccia il figlio cieco e mendico, ma è anche luogo di eterno riposo, di pace, di accoglienza. E così per noi quella speranza, quella certezza, quella consolazione che Colono esiste per tutti, ci ha spinto a guardare sotto una nuova luce la tragedia che tanto auspicavamo di rappresentare e a reinterpretarla.

Verso Colono è la rielaborazione di pensieri ed emozioni, di sensazioni e considerazioni nate da un momento inedito e inaspettato della nostra vita, durante il quale abbiamo praticato, più che in altro momenti,  la comprensione e l’empatia, ta il brivido di sentire come proprio il dolore degli altri. All’auto-accecamento, all’esilio, alla disperazione è subentrata una speranza di ritrovata quiete, è subentrata infine  la fiducia, il reciproco tendersi la mano e guardare al futuro. Un futuro luminoso, libero, puro. Un futuro in un’immaginaria Colono, che ci accoglierà o che forse siamo noi stessi a dover costruire. Verso Colono è un grido di consapevolezza e di responsabilità da parte nostra che, pur di non cedere al νόσος, alla ‘malattia’, hanno deciso di sfidarla, per iniziare insieme il cammino comune verso il luogo dove, alla fine, ci riconosceremo vicini.

Sabrina Celano

 

Il progetto del video Verso Colono

Un tempo sospeso ha imposto il silenzio alle prove rumorose di un laboratorio teatrale nato in un liceo di periferia con l’ambizioso progetto di interpretare un mito antico. Nello stesso tempo sospeso, un gruppo di colleghe, che insieme coordinano questo laboratorio, incontrandosi di domenica in videochiamata, hanno iniziato a pensare, prima timidamente, poi sempre più audacemente, di non mollare.

Il teatro a scuola è luogo di emozione, dove il comico e il tragico, la tristezza e l’allegria, hanno confini molto labili, dove si vince la timidezza, a volte anche ferocemente, dove la rabbia si compone, dove le certezze si frantumano. In tempi di lockdown, non avremmo potuto rievocare tutto questo, ne eravamo e ne siamo convinte. Ma abbiamo pensato che avremmo potuto unire le nostre emozioni, fare in modo che il testo antico, che stavamo leggendo nelle ore di “didattica a distanza” unisse proprio le distanze, che potevamo provare ad interrogarlo e mettere in ordine un po’ di pensieri.

Che cos’è la malattia, ha un nome solo o più nomi? Come si comporta un regnante? Che cosa chiedono al Re i cittadini,  impauriti dalla morte? Si rivolgono agli dèi? Come giudicano gli dèi? Interrogativi che ci sono parsi drammaticamente attuali. Allora i nostri studenti, aspiranti attori, sono divenuti aspiranti detective, insomma lettori curiosi, attenti interpreti di antichi pensieri, a caccia di parole, verbi che contenessero indizi.

Abbiamo capito quanto l’antico sia lontano, ma anche quanto ci appartenga. La scrittura dei brevi testi di approdo di quella ricerca mostrava sempre più che l’immagine del presente poteva materializzare luoghi, ruoli, dialoghi, catastrofi, percepite attraverso parole, versi, accenti e suoni antichi. Quelle parole hanno cominciato a scomporsi, ad uscire dai versi scritti e dalle pagine lette e a prendere nuove forme, a diventare note musicali, a generare altre parole. Abbiamo capito che i ragazzi erano pronti a realizzare qualcosa di grandioso, a costruire una testimonianza presente del loro tempo individuale eppure collettivo, a traslare l’oggi nell’antico e l’antico nell’oggi.

Non saprei ancora dire se Verso Colono, il video che è venuto fuori da questi pensieri, ha come nucleo questa silenziosa primavera 2020 o la peste di Tebe, remota nel tempo astratto del mito.

Il percorso che ci ha portato a realizzarlo è stato senza dubbio entusiasmante: sviscerare un’opera antica, catalogare livelli lessicali, entrare attraverso le parole nelle relazioni tra i personaggi, separare il prima dal poi e la ragione dall’impulso, analizzare la differenza tra un discorso composto e uno asistematico e istintuale. Sono alcuni fili di una complessa tela, che forse abbiamo solo sfilacciato, ma certamente dimostrando come dietro un’opera perfetta ci sono tanti strati, tanti livelli di analisi da affrontare. Noi abbiamo cercato di affrontarli, avendo di mira non tanto la formazione di giovani liceali, quanto di giovani cittadini.

Più di ogni altra cosa, tuttavia, mi preme ricordare che questa è stata un’esperienza umana, che ha provato a sollevare la tristezza, a scuotere la rassegnazione, a smentire la delusione, a curare il tradimento. Credo che questi sentimenti albergassero nell’animo dei nostri ragazzi, delusi nei sogni e nelle aspettative, intristiti dalla paura vicina e lontana, traditi dal loro tempo, che non regalava libertà e amore, ma negazione e proibizione, rassegnati a tutto. Verosimilmente questo lavoro non sarà stato una terapia liberatoria, ma ha donato un senso di attesa, un fremito, un’aspettativa: da quella per le recensioni a quella dei passi futuri, alla curiosità di trasformarlo presto in spettacolo. Resterà l’emozione di aver parlato, cantato, scritto in camere, giardini, balconi separati ma che sfumavano l’uno dentro l’altro, di aver preso gli applausi insieme. Siamo certi che sarà testimonianza imperitura per la loro vita, racconterà questo tempo più di ogni altro documento, sarà modello per combattere l’inerzia, che inevitabilmente a tratti imprigiona la vita. Ringraziamo i ragazzi che hanno effuso sorriso e speranza, perché questa esperienza formativa ci ha ricordato che nella funzione di docēre c’è strettamente infissa quella di dūcĕre, apofonie permettendo!

Maria Marandino

Verso Colono: lo stupore che toglie il respiro

Quest’anno l’emergenza da Covid-19 non mi ha consentito di completare il ciclo di incontri con docenti e studenti del laboratorio teatrale del Liceo Classico ‘De Sanctis’ di Sant’Angelo dei Lombardi. Stavamo leggendo, traducendo e commentando insieme Edipo re e Edipo a Colono di Sofocle, in vista della rappresentazione che, come tutti gli anni, corona il progetto comune e impreziosisce le azioni di Classici Contro, tra l’Abbazia del Goleto e il teatro della scuola. Come tutti gli anni, ai primi di maggio. Mi stava piacendo molto, come tutti gli anni, smontare e rimontare i pezzi di una vicenda lontana, partendo dalle parole, per vedere come, forse, funzionava, come, forse, potrebbe funzionare ancora. Da un momento all’altro questa ricchezza e questa consolazione mi sono mancate.

Ma poi, da un momento all’altro, invece della rappresentazione, il 9 di maggio, mi è arrivato un messaggio di Marinella: «Saremmo andati in scena, allora abbiamo pensato di farlo lo stesso», con un link a un video che mi ha tolto il respiro. In Verso Colono ho ritrovato i volti e le voci dei ragazzi e delle ragazze, i loro pensieri, le loro case, i loro giardini, i mille verdi dei luoghi dove vivono. Il loro coraggio, la loro resistenza, la loro speranza. Ne avevo molto bisogno. Ne abbiamo bisogno tutti noi.

Angelo Meriani

 

Il Laboratorio del Dramma Antico del Liceo "De Sanctis" di Sant'Angelo dei Lombardi è nato nel 1992 ed ha partecipato ogni anno al Festival Internazionale del Dramma Antico dei Giovani di Palazzolo Acreide; nel 1993 ha stretto un gemellaggio  con la Sikionìa Skené di Sicione in Grecia, dove ha più volte rappresentato i suoi spettacoli. Per l'anno in corso si è avvalso della consulenza di Angelo Meriani, nella fase di introduzione ai testi,  e della collaborazione di una compositrice e musicista irpina, Filomena D'Andrea, che è anima portante dei Makardìa, gruppo che collabora anche con Vinicio Capossela. Filomena ha musicato i cori e nel video vi è un breve estratto di una delle prove in presenza dello Stasimo III dell'Edipo Re ('Le leggi di Dio'). Il gruppo di docenti che ha coordinato il progetto video e che all'interno dell'Istituto si occupa del Laboratorio del Dramma Antico è costituito da Maria Marandino e Luana Panico, insegnanti di greco e latino, da Adele Perillo e Mariangela Vuolo, docenti di Italiano,da Rita De Silva, docente di Matematica.

Francesca Quartuccia e Sabrina Celano sono due studentesse del Liceo. Angelo Meriani insegna Letteratura greca all'Università di Salerno.

Questo video è stato presentato anche durante la seconda delle Lezioni antiche di Classici contro. Le immagini sono tratte dalla messa in scena di 'Una serata a Colono' di Elsa Morante per la regia di Mario Martone nel 2013 (vedi qui la recensione di Raffaella Viccei). L'immagine centrale è dell' Edipo a Colono  di Peter Stein, su cui vedi Gherardo Ugolini qui.

Su Edipo in 'Visioni del tragico' /Covid 19 vedi Franco Giorgianni, Anna Beltrametti , Nicola Montenz, Andrea Cerica.