«Transitraum»
Nei tre mesi passati, mesi di assenza umana nelle strade, nelle aule scolastiche e universitarie, nei teatri e cinema, nei musei, abbiamo cercato di riflettere su quanto le narrazioni delle tragedie greche possano esprimere, simbolicamente o storicamente, esigenze, bisogni, questioni del nostro presente, e quanto la nostra visione del mondo, attualmente, possa definirsi o meno ‘tragica’.
Abbiamo perciò cercato, ampliando i contenuti di questo blog, di venire incontro all'esperienza straordinaria di cui siamo divenuti protagonisti, cercando di non venir meno alla prima funzione del teatro nella tradizione occidentale, che è portare in scena i problemi della polis, della città.
Siamo andati oltre l'obiettivo che ci eravamo prefissi nel momento in cui abbiamo fondato questo sito web? Non crediamo.
Ci ha guidati anche un'idea antica del teatro come luogo fisico e metaforico di incontro, dibattito, conflitto, agone, senza limite alcuno alle posizioni degli antagonisti, ai temi dei drammi, alle competenze che si mettono in gioco. Abbiamo forse commesso un atto di presunzione intellettuale: rendere un blog di studi sul teatro, teatro esso stesso, che si offre alla visione di un pubblico non passivo, ma chiamato in scena.
Mentre interrogavamo la tragedia greca alla luce del presente (e non può essere possibile il contrario), ci siamo scontrati con domande insistenti, che divenivano tarli del pensiero nella tragedia dell'attualità.
Non siamo stati e non siamo, naturalmente, i soli, non abbiamo pretese di originalità, però rivendichiamo qualche acquisizione nostra specifica. Interrogandoci sulle 'visioni del tragico', e sull'eredità e l'adattamento della tragedia greca nel presente, abbiamo tra l'altro nuovamente trovato conferma di ciò che già sapevamo: il futuro passa attraverso la comprensione del passato e della sua complessità.
Come continuare allora la nostra ricerca, in questa fase di transizioni, di attenuarsi della paura e del crescere di altre paure?
'Ricerca, indagine' in greco si dice historia, e sin dai suoi albori la storia non racconta solo ciò che è stato, ma dà anche indicazioni su ciò che sarà. Così noi, ancora una volta, volgendoci al passato, guardiamo invece al futuro.
Ed infatti questo è un tempo strano, ma sicuramente il tempo di intensificare la discussioni sui modi con i quali intendiamo affrontare il futuro: è necessario, adesso forse più che mai, interrogarsi sui legami tra scienza, arte, società, con analisi critiche e storiche, ma anche con proposte concrete, con una presa di posizione che tenti di definire il ruolo dell’essere umano rispetto a tutto ciò che lo circonda, di comprendere la posizione della libertà e del giudizio umano rispetto ai progressi dell’intelligenza artificiale, di chiarire quale efficacia abbia l'agire umano nella natura e non in opposizione ad essa, di rideterminare la funzione specifica dell'uomo tra le altre specie e tra gli oggetti. Senza tali interrogativi, qualsiasi ricerca è destinata a isterilirsi.
Dobbiamo chiederci come si sta trasformando il rapporto tra arte e politica, tra ricerca e potere, tra estetica ed etica; quali forme di controllo limitano la nostra libertà, senza che ce ne accorgiamo, quali strategie comunicative ed emotive generino il consenso, quali siano gli spazi fisici e mentali del dissenso, quali cambiamenti la virtualità imponga non solo ai concetti di 'vero' e 'falso', ma anche di 'bene' e 'male'.
La ricerca non è mai obiettiva: chi ricerca, che si occupi di manoscritti oppure di virus, entra in gioco con tutto se stesso, con le proprie idee, le proprie emozioni, le passioni e specialmente con l'amore, immenso, infinito, per quello che fa, per l'oggetto della sua ricerca e per la ricerca in se stessa. 'Studio' significa etimologicamente 'desiderio', un desiderio che si autoalimenta proprio perché, essendo desiderio di conoscenza, non ha alcun limite.
La nostra ricerca si lascia trascinare da tale desiderio. E perciò non può che voler infrangere qualsiasi confine, ed anche la prima linea di confine di fronte alla quale, inevitabilmente, ci troviamo: 'Visioni del tragico' è il sito di un progetto che nasce e vive nell' Università, che perciò deve interrogarsi criticamente sul proprio significato all'interno dell' istituzione universitaria e sulla sua capacità di agire fuori da essa.
Ci rivolgiamo a chi ha, come noi, una consapevolezza: la separazione tra le discipline scientifiche e i loro attori, ossia coloro che le praticano, è il frutto di un processo di istituzionalizzazione della ricerca e dell’insegnamento universitario che da tempo (in realtà dal momento stesso dell’istituzione moderna dell’Università) mostra le sue crepe, non solo educative e formative. La distinzione tra le due culture e di due tipi di scienze, quelle dell'uomo e quelle della natura, per quanto ancora influente, diventa un limite invalicabile per la comprensione del presente e soprattutto per progettare l'avvenire.
‘Visioni del tragico’ si apre perciò da adesso ad un'indagine sul futuro, sperando di coinvolgere quante più persone possibili nell'agone, nella coscienza che temi come quelli a cui abbiamo accennato possono e devono ampliarsi in una spirale che coinvolga l’attività concreta di ognuno di noi e le riflessioni teoriche o storiche su questi problemi.
‘Visioni del tragico’ diventa perciò un Transit-raum, un luogo di passaggio, un luogo di sconfinamento, uno spazio di transizione, come il drammaturgo tedesco Heiner Müller definiva la sua abitazione/studio, che si trovava proprio sulla linea del muro che separava Berlino Est da Berlino Ovest. Luogo di passaggio tra mondi, tra diversi modelli, diverse velocità di esistenza, luogo di passaggio dalla carta stampata allo schermo, da chi scrive al lettore, da dietro le quinte alla scena di un metaforico e ignoto teatro.
Transitraum, parola tedesca che porta in sé il termine Traum, che significa 'sogno'.