L’arte pubblica, lo sappiamo, è un tema controverso: lodata per la sua capacità di migliorare la qualità estetica degli spazi urbani, viene però spesso ignorata dai residenti, quando non è abbandonata al degrado o addirittura vandalizzata.
Una vicenda come quella della rimozione delle sculture di Costantino Nivola dalla Stephen Wise Recreation Area di New York suggerisce una serie di riflessioni sull’arte pubblica, la sua capacità di rafforzare il senso di appartenenza ai luoghi e di sollecitare risposte emotive da parte dei cittadini.
Realizzato nel 1964, il playground per le Stephen Wise Towers nell’Upper West Side costituisce una summa dell’arte di Nivola: comprende infatti due sculture tridimensionali, un murale graffito, una fontana, una parete bifacciale scolpita e i cavallini in cemento oggi al centro della cronaca. Tutti questi elementi non sono semplicemente compresenti nello spazio, ma sono parte di un progetto organico, non a caso concepito dall’artista insieme a un architetto, Richard Stein.
Qualche giorno fa, nel quadro di un insieme di lavori di riqualificazione dell’area promossi dalla New York Public Housing Authority, i cavallini sono stati rimossi dal playground, con un intervento brutale che ne ha segato le zampe.
Mentre a New York si formava un movimento di opinione in difesa dell’opera dell’artista, in Italia il fatto, denunciato dal Museo Nivola con un post su Facebook e Instagram, ha immediatamente scatenato un’ampia risposta collettiva.
Se il rapper Bigg Dogg (nella foto sotto), cresciuto all’ombra delle Stephen Wise Towers accanto alle sculture di Nivola, ne ha lamentato la perdita “col cuore spezzato”, non meno partecipe è stata la reazione di centinaia di migliaia di persone, molte delle quali vivono oltre Atlantico e quelle sculture non le hanno mai viste direttamente.
Mentre la mobilitazione ha ottenuto già un primo risultato - è riuscita a far aprire un dialogo tra la ditta responsabile dei lavori e il fronte della protesta - l’ondata internazionale di interesse per la sorte del progetto porta a riconsiderare il possibile impatto dell’arte alla luce della trasformazione della sfera pubblica.
La comunità di riferimento di un intervento come quello di Nivola non è oggi data soltanto dagli inquilini delle Towers o dai residenti del quartiere: in un mondo sempre più globalizzato e digitalizzato, la comunità diventa transnazionale e fluida, non definita da un contesto territoriale ma continuamente riconfigurata dai flussi dell’informazione, dall’emotività e da connessioni non lineari.
Un fronte che dal di fuori appare unanime nella protesta e nell’indignazione è in realtà composito, mosso da motivazioni differenti: c’è chi ammira l’arte di Nivola, chi vuol difendere l’arte e la cultura in generale, chi si riconosce nell’opera per motivi identitari o prende spunto dagli eventi per rivendicazioni nazionaliste.
L’opera d’arte è un detonatore; tanto più se si tratta di arte pubblica, campo in cui alle considerazioni estetiche si uniscono questioni di altra natura, sociali, ideologiche, economiche. Non è la prima volta che le opere di Nivola innescano reazioni che vanno al di là dell’estetica: all’epoca dell’inaugurazione del playground, il progetto venne accusato di essere di difficile interpretazione, la sua iconografia fu ritenuta sospetta e perfino potenzialmente scandalosa. Si trattava allora di un’opposizione alle istanze moderniste e all’uso dell’arte contemporanea nel contesto metropolitano.
Oggi il discorso è diverso: il punto non è tanto l’opera in sé quanto la sua funzione in una città in profonda trasformazione, attraversata da processi di gentrificazione e redesign urbano destinati a cambiarne i connotati. Dinamiche non sempre e non necessariamente di segno negativo, ma che incidono sulla conservazione del passato.
In tutto questo, qual è il ruolo delle istituzioni nella vicenda dei cavallini di Nivola?
La prima responsabilità della Fondazione Nivola è la tutela dell’opera, intesa come progetto complessivo di cui i cavallini - pensati per uno spazio e un contesto sociale e culturale specifici - sono soltanto una parte: per questo si deve lavorare per diffondere la conoscenza dell’artista, mobilitare le comunità, ma anche condurre un dialogo aperto che aiuti a trovare soluzioni rispettose delle diverse istanze.
Dalla politica può venire un contributo fondamentale per sviluppare processi diplomatici e partecipati che, nello spirito internazionalista di Nivola, connettano invece di dividere.
Questo articolo è apparso sul Sole24ore dell' 11 marzo 2021. Giuliana Altea è Presidente della Fondazione Nivola, Antonella Camarda è Direttrice del Museo Nivola. Altre informazioni qui Le foto mostrano i cavallini nel loro contesto e poi il palyground dopo la rimozione brutale; qui sopra: Nivola, 'La Madre' , 1981; Time square (1943), olio su tela. In copertina un ritratto dell'artista.