La scoperta delle rovine di Ercolano e Pompei a metà del XVIII secolo costituisce una cesura nella storia degli studi del mondo antico, ma anche più in generale nella storia degli incostanti rapporti tra il mondo moderno e la sua percezione del passato.
Non parliamo solo delle innumerevoli influenze che da quei monumenti archeologici si sono propagate sull’arte, sulla letteratura, sulla musica, sul costume. Non parliamo solo dell’innegabile esperienza estetica che ha provocato e provoca la visita agli scavi, e talora della delusione dovuta allo scarto tra immaginario e risultanze materiali; ma anche del fatto che Ercolano e Pompei, monumenti eslegi perché costituiti non solo da edifici e oggetti ma pure da attimi pietrificati di esseri viventi, costituiscono tangibili archivi delle emozioni, che tanto possono raccontare di noi stessi.
L’antichità innaturalmente fossilizzata delle due città romane, infatti, da oltre due secoli funge da specchio di esistenze tragicamente fermate mentre erano in pieno movimento, così che ognuno può riconoscervi le proprie precarietà, fragilità, paure, ma anche gli aspetti quotidiani della gioia e della felicità, dell’amare e del desiderare.
Calchi di emozioni soffocate da cui innanzitutto si diffonde la malinconia della fine inattesa, il terrore della frattura, l’instabilità dell’esistenza umana colta da una minaccia visibile e nota, che pure è riuscita a sorprendere.
Pompei diventa perciò facilmente profezia dell’avverarsi tragico della vendetta di un potere incombente e indominabile, quello della natura irata, rispetto al quale l’uomo, nonostante il suo saper essere immenso e terribile, ossia deinòs come nel primo stasimo dell’Antigone di Sofocle, finisce come cosa tra altre cose, ossa tra altre ossa, materia tra altre materie, null’altro.
La storia della dimensione tragica delle scoperte di Ercolano e Pompei negli ultimi due secoli resta da scrivere, ed è un compito infinito.
In questi giorni sentiamo emotivamente più che mai l’aspetto tragico insito nelle nuove scoperte di Pompei; in questi giorni, ossia nel perdurare di una violenta pandemia che come un’eruzione sta dilagando da mesi per il mondo. Ora che la nostra esistenza, la sua più abituale quotidianità, la socialità che sembrava senza freni e senza più confini, ora che tutto ciò si è dovuto fermare e sembra come congelato e in attesa di una rinascita, proprio ora forse siamo più in grado di comprendere la tragedia di quel giorno di ottobre del 79 d.C.
Vi è dunque un che di inquietante nella scoperta, annunciata lo scorso 26 dicembre, di un termopolio a Pompei, rimasto intatto, con anfore, brocche, una pentola, qualche qualche strumento di bronzo, i vasi incassati per contenere liquidi e pietanze pronte da vendere, il vino ancora profumato: quasi lo specchio appannato della nostra immobilità attuale, dei bar e ristoranti con le sedie rovesciate o le saracinesche abbassate.
Anche per questo, capovolgendo in altro senso la percezione emotiva ed estetica che ci dà la nuovissima scoperta di Pompei, il termopolio decorato è stato indicato come una via per la ‘rinascita’ italiana post-pandemia, proponendo un metodo di lavoro e di impegno che ha per archegeta l’ottimo Massimo Osanna, direttore uscente del Parco Archeologico di Pompei, già nominato Direttore Generale dei Musei dello Stato.
Perché divenga una via e un modello, l’organizzazione, gestione e valorizzazione degli scavi di Pompei è allora diffusa al mondo, pubblicizzata, narrata con le forme della comunicazione visiva seriale e spettacolare che in questi nostri giorni reclusi costituisce l’unico palcoscenico a cui abbiamo accesso.
Un rovesciamento che segna la distanza tra mondo contemporaneo e mondo moderno, nel segno del potere dei mezzi di comunicazione e del loro uso. Infatti, prendendo a paradigma proprio Pompei, all’inizio invece che la diffusione fu imposto il segreto e il mistero.
L’intenso e ambivalente rapporto tra gli scavi di Ercolano e Pompei e il mondo moderno e contemporaneo data ormai quasi tre secoli e inizia in piena età dei Lumi.
A Ercolano si cominciò a scavare un decennio prima che a Pompei, nel 1738. Naturalmente i resti erano già noti da casuali ritrovamenti, ma è solo da quell’anno in poi che cominciano scavi sistematici. Tuttavia Carlo re di Napoli dispose di mantenere un assoluto riserbo sui reperti e sui tesori riportati alla luce durante gli scavi ercolanesi, considerando di proprietà esclusiva qualsiasi rinvenimento ed impedendo che se ne traessero disegni delle statue, delle pitture, delle epigrafi.
Solo nel 1747 a Venezia fu stampato un volume anonimo che raccoglieva le prime notizie e lettere. Le voci sui ritrovamenti si diffusero e attraversarono velocemente tutta l’Europa: ma si trattava, appunto, di voci, non supportate da alcuna pubblicazione, da alcuna prova, da alcuna testimonianza fededegna.
E tali voci giunsero anche a Göttingen, dove si trovava l’Università in quel momento più all’avanguardia in Europa, non solo negli studi umanistici; in realtà una ‘nuova’ università, fondata nel 1737 per volere del barone Gerlach Adolph von Münchausen, oggi più noto forse quale protagonista di un romanzo di avventure, che era ad Hannover ministro di Stato per il re inglese, Giorgio II.
Göttingen, dunque, era un'Università tedesca, ma sotto la corona inglese.
Proprio nelle celebrazioni ufficiali per il decennale dell’Università, Johann Matthias Gesner (1671-1761), professore di lettere antiche, tenne un discorso in latino su ‘Ercolano da poco scoperta’.
Gesner, poliglotta ed erudito, va ricordato come uno dei primi che cominciò a praticare lo studio del latino e del greco non come studio linguistico e grammaticale, ma delle culture latina e greca. La sua influenza sullo nascita e lo sviluppo delle scienze storiche in generale merita ancora di essere studiata. All'epoca, era tra gli eruditi più conosciuti d'Europa e uno dei fari della scienza di Göttingen.
La scelta di parlare di Ercolano in un’occasione così importante, dunque, appare molto significativa: con quel discorso ufficiale si investiva l’Università di Göttingen di uno specifico compito, quello di fondare e coltivare la scienza storica, nella convinzione che qualsiasi rinnovamento passa sempre attraverso un consapevole studio del passato, poiché senza conoscenze storiche non si può progettare alcun futuro. La storia antica ci è giunta però solo in frammenti, allora per lo più sconosciuti nelle regioni mediterranee, o sotto il giogo turco in Grecia: ne conseguiva l’importanza dei ritrovamenti di Ercolano, che restituivano alla luce un’antichità miracolosamente intoccata, fissata nella sua realtà di ogni giorno, negli uomini pietrificati mentre cercavano di mettersi in salvo o si nascondevano, nei loro ambienti sepolti sotto la lava.
Il discorso di Gesner, invero, è più un progetto che un resoconto e in quanto tale riveste un ruolo decisivo non solo nel trasmettere al mondo colto del nord Europa la notizia ufficiale di quel che accadeva in Campania, ma anche nel sollecitare il Re di Napoli a fare un uso adeguato di quelle scoperte sia dal punto di vista scientifico che politico.
Gesner, ripetiamolo, parlava a nome dell'Università di cui era l'oratore ufficiale, un'Università sotto la protezione del Re d'Inghilterra. Il che non è secondario, se si pensa che fu proprio l'aristocrazia inglese a diffondere non solo il costume del viaggio al Sud, ma a renderlo necessario e produttivo nella costruzione della propria identità, nonché poi a trasformarlo in un redditizio fenomeno commerciale.
Il breve ma entusiastico discorso di Gesner era qualcosa in più che l'espressione delle congratulazioni di un uomo di scienza verso un Regno straniero: era l'auspicio per il nascere di una nuova alleanza politica e culturale.
Il discorso di Gesner anticipa i tempi.
Nel 1747, il professore di Göttingen poteva sapere, invero, poco o nulla di Ercolano, ovvero solo ciò che aveva sentito dire, perché non vi erano resoconti scritti.
Solamente l’anno successivo appare la Descrizione delle prime scoperte dell’antica Città di Ercolano (Roma, 1748) del primo ‘direttore degli scavi’, il marchese Marcello Venuti ( 700-1755), nominato nel 1734 direttore della Galleria Farnese a Napoli, e tra il 1738 e 1739 sovrintendente degli scavi di Ercolano.
Venuti era stato nel 1727 il fondatore, insieme ad altri nobili, dell' Accademia etrusca di Cortona, sua città natale, dove tornò già nel 1740, dato che i rapporti a corte non furono idilliaci, dopo aver però lasciato agli studiosi, agli antiquari e ai curiosi la sua operetta sulle nuove scoperte archeologiche: nella quale ristampa il discorso di Gesner, in cui il dotto tedesco invitava Re Carlo a dare notizia degli scavi, attribuendo dunque grande importanza a quell'invito, considerato un incentivo decisivo per la stesura della propria Descrizione - con la quale, tra l'altro, si confronteranno subito tutti coloro che si recarono ad Ercolano.
Addirittura presso l’editore accademico di Göttingen, Vandehoeck & Ruprecht, appare, sempre nel 1748, la Mémoire historique et critique sur la Ville souterraine découverte au pied du Mont Vésuve , un libretto attribuito a un tale Moussinot D’Arthenay, secondo alcuni segretario del marchese de L’Hospital, ambasciatore francese presso il Regno di Napoli, secondo altri uno pseudonimo che nasconde due diversi autori. Sebbene l'autore fosse e resti misterioso, questo scritto ebbe poi grande diffusione in Europa, e fu tradotto subito anche in italiano: però bisogna sottolineare come la prima edizione uscisse (in francese!) nella città tedesca, dove evidentemente assai forte era l'interesse per le nuove scoperte archeologiche in Italia.
La Mémoire historique anticipa inoltre di due anni le Lettres sur l’état actuel de la ville d’Herculée (1750) di Charles Les Brosses (1709-1777), considerato il primo viaggiatore erudito francese ad arrivare ad Ercolano e a riferirne degli scavi in patria. Le testimonianze degli inglesi, invece, sono successive.
Questi primissimi documenti e testimonianze vennero alla luce proprio dopo la sollecitazione di Johannn Matthias Gesner, la cui autorità negli ambienti antiquari europei era indiscussa, e il cui discorso aveva fatto il giro d'Europa (oltre ad essere stato annunciato nella rivista scientifica dell' Accademia di Göttingen, un 'gazzettino' che veniva letto da tutto il mondo erudito europeo).
Nel momento in cui Gesner parlava alla comunità accademica festeggiando il decennale dell’Università, nulla ancora si sapeva della città alle pendici del Vesuvio.
Eppure, pur in questa scarsità di notizie, o forse proprio per quella, Gesner è conscio della straordinarietà della scoperta di Ercolano: non si tratta più di dissotterrare singoli reperti, statue, pareti con lacerti di affreschi, colonne, dice, ma una «città intatta, con le sue case, con gli uomini tutti vestiti, così come furono colti dalla disgrazia».
Subito però il professore è preso da dubbi che definiremmo scientifici: in che misura i racconti sui ritrovamenti vengono da testimoni fededegni? E come è stato possibile che tutto ciò si sia conservato intatto per diciotto secoli? Per rispondere a queste domande, è necessario disporre di resoconti credibili. Perché, se quel che si racconta è vero, cambia la faccia stessa della scienza – commenta Gesner. Quante dispute tra dotti sono destinate a essere finalmente sedate da quel che emergerà dalle ceneri del Vesuvio, e quante nuove ne sorgeranno.
Da Ercolano, dice ancora, promana una luce che può stendersi sullo studio dell’antichità, dell’architettura, della storia, in una parola di tutte quelle che noi chiamiamo ‘scienze umane’.
Quando Gesner pronuncia queste parole, lo studio dei monumenti antichi non è ancora oggetto di lezioni universitarie. Il sogno di Gesner, alla fin fine, riguarda più la possibilità che da quelle rovine resuscitino testi letterari, ad esempio – dice – i libri perduti dello storico Diodoro Siculo, di Sallustio, Livio, Tacito o quel che ci manca di Ovidio. Un'utopia, dato che - aggiunge - niente di niente abbiamo che possa ricondursi a un manoscritto dell'epoca.
Il suo sogno è soprattutto che si recuperi l’antica biblioteca di Plinio, che morì durante l’eruzione, di Cicerone o di Lucullo, e di tutti gli altri che dovevano possedere splendide biblioteche nelle loro ville lì nei pressi.
Il vagheggiare la scoperta di nuove opere letterarie dipende forse dal fatto che Gesner poteva essere venuto a sapere della presenza di libri negli scavi, anche se solo nel 1750 si cominciò a scavare la Villa dei Pisoni e il primo consistente ritrovamento dei papiri carbonizzati data al 1754. Ma l’importanza della biblioteca nelle ricche ville romane gli era nota dalle fonti letterarie, e soprattutto Gesner era studioso ed editore di Plinio il giovane (Lipsia, 1739), di cui aveva persino messo in versi latini il tema di una celebre epistola (9,33), che racconta di un delfino e della sua sfortunata amicizia con un ragazzo nella città africana di Ippona (Delphinum Plinianum).
Quando Gesner pronuncia il suo augurio perché i risultati degli scavi di Ercolano vengano resi noti, non esisteva lo studio della storia dell’arte antica svincolato da quello dai testi. Studiare l’antichità, significava anzi solo studiarne i testi; anche i capolavori della statuaria antica, che erano conosciuti agli studiosi attraverso incisioni e disegni, e in seguito attraverso copie in gesso, venivano interpretati e ‘letti’ sulla base delle testimonianze letterarie. Bisogna aspettare più di mezzo secolo perché finalmente qualcuno scriva che lo studio dell’antichità è ‘studio di uomini, non di libri’.
Quel qualcuno, certo, sarà il consigliere del Re di Prussia per la cultura e l'istruzione: e fonderà il ginnasio 'umanistico' e l'Univesità di Berlino, istituendo per la prima volta una cattedra di 'filologia classica'. Ma questa grande impresa politica e culturale avverà in Prussia e all'alba del nuovo secolo. Gesner è invece, in tutto uomo del XVIII secolo, e la sua polymathia attesta la vastità e la poliedricità dell'antiquaria enciclopedica illuministica.
Gesner dunque, nell’augurarsi l’emergere di un’antica biblioteca come il tesoro più prezioso che ci si potesse aspettare da uno scavo archeologico, rispondeva a un desiderio del suo secolo, e anticipava quell'inesauribile nostalgia verso l'antico che avrebbe segnato la prima età romantica.
Eppure Gesner non conosceva uno studio scientifico dell’arte antica, e meno che mai dell’urbanistica o della pittura. Mentre Gesner pronunciava il suo discorso, non erano nemmeno ancora state scritte le pagine dei Pensieri sull’imitazione (1755) di Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), noto come il fondatore della storia dell’arte antica, dove per la prima volta si indicano nei capolavori dell’antichità i modelli estetici ma anche morali per il presente.
Gesner, come i suoi contemporanei, credeva inoltre che bastassero buoni resoconti dagli scavi per poter studiare i monumenti; non sapeva che cosa fosse l’esperienza sul campo, né quali ne fossero i vantaggi; non intendeva poi muoversi dalla sua città, dove disponeva della biblioteca migliore del mondo, era troppo vecchio per vagheggiare un pericoloso e costosissimo viaggio al Sud. Le missioni archeologiche nascono nel XIX secolo, come anche il lavoro archeologico sul campo (e già con una vittima, Karl Otfried Müller, che morì appena quarantenne nel 1840 per un’insolazione presa durante la trascrizione delle epigrafi a Delfi).
Gesner è però già consapevole del significato politico dei ritrovamenti archeologici, anche se l'uso politico dell'archeologia cosiddetta 'classica' diventa feroce nella generazione a lui successiva. Carlo di Borbone, inoltre, non lo ascoltò e non seppe usare, almeno all'inizio, quel tesoro propagandistico.
Rivolgendosi infatti direttamente a Carlo di Borbone, appena reduce dalla guerra con l’Austria, chiede direttamente al Re mysopatakos, ossia 'spinto dalla Muse', di impegnarsi nel sostenere gli scavi di Ercolano, dai quali gli può derivare fama imperitura e certo gloria maggiore che non da una guerra.
Gesner, inoltre, non si limita a chiedergli di rendere pubblici i risultati degli scavi, ma soprattutto gli consiglia di affidare l’impresa a buone mani, ad uno degli ottimi eruditi a lui vicini, come sarebbe stato, se fosse stato ancora in vita, lo storico di corte Matteo Egizio (1674-1745). E quindi Gesner chiama in causa Alessio Simmaco Mazzocchi (1684-1771) e soprattutto il Cardinale Angelo Maria Quirini (1680-1755), allora prefetto della biblioteca Vaticana, complessa figura di studioso, teologo e diplomatio, che in effetti accolse l’invito di Gesner e divenne così il principale attore, almeno per pochi anni, per la diffusione delle notizie su Ercolano in Germania.
Nell'epistolario iniziato tra i due, Gesner subito chiese al corrispondente, che aveva la fortuna di poter esplorare gli scavi archeologici, di 'commentargli' le accurate descrizioni delle ville di Plinio il Giovane nelle sue Lettere (II, 17 e V,6). Richiesta che ripete diverse volte, adducendogli la bibliografia archeologica a lui conosciuta. Quirini si informa, ma alla fine deve comunicare all'amico che sembra non esservi traccia di alcuna villa di Plinio a Roma (Gesner, tuttavia, non ne rimane convinto). Il carteggio mostra una encomiabile necessità, da parte di un letterato, di interagire con il conoscitore dei monumenti antichi, che per giunta può avvalersi dell'esperienza sul campo. Encomiabile soprattutto se pensiamo a quel che accadde nei secoli successivi, quando studio dei testi e studio dei monumenti presero strade tanto diverse da non incontrarsi quasi mai. E così, una volta avuta tra le mani la Descrizione di Venuti, Gesner non rinuncia a commentarla in alcuni particolari che gli sembrano critici alla luce dei testi antichi tecnici sull'agricoltura e la vita di campagna.
L'epistolario tra Gesner e Quirini, che va avanti sino alla morte di quest'ultimo, è ricco di scambi di notizie e di libri vari, nonché di osservazioni di religione ed etica, ma qui ci interessa solo perché è a Quirini che si deve attribuire una prima Relazione del cavamento che si fa nel villaggio di Resina per ordine del Re delle Due Sicilie (ossia di Ercolano), edita nel 1748 dall'estruscologo, filologo, epigrafista Anton Francesco Gori (1691-1757), e scaturita da quel primo appello di Gesner al Re Carlo.
Torniamo infatti a quel discorso, pronunciato - dicevamo - per il decennale della fondazione dell'Università di Göttingen .
Dopo aver dunque enfaticamente lodato l'importanza delle rovine di Ercolano, Gesner, sempre rivolgendosi al Re, aggiunge: nel caso ti mancassero gli uomini adatti, allora rivolgiti a tuo suocero, e affida Ercolano a qualche studioso tedesco, ad esempio lo storico Johann Wilhelm von Berger (1672-1751), oppure Johann Jakob Maskov (1689-1761), o ancora Johann Friedrich Christ (1701-1756), il professore di Lipsia a cui si deve attribuire l'invenzione della storia dell'arte, infine Christian Gottlob Sachse (Saxius, 1714-1783, filologo ed epigrafista).
Tutti studiosi che operavano e vivevano in Sassonia, nella cui splendida biblioteca di Weimar aveva lavorato da giovane lo stesso Gesner: e poiché Carlo aveva sposato nel 1738 Maria Amalia di Sassonia, il suggerimento di Gesner voleva essere qualcosa in più che una consulenza data al Re sulle menti migliori che circolavano nel Nord Europa: era l'auspicio di trasformare l'alleanza politica in alleanza culturale, e un tentativo non tanto dissimulato di poter avere libero accesso a quei tesori, il che significava non soltanto poterli usare scientificamente, ma poterne sfruttare in tutte le potenzialità propagandistiche, commerciali, di costume.
Nonostante l'ascendenza che la Regina poteva esercitare su Carlo, l’incarico ufficiale di redigere il Catalogo delle antichità di Ercolano era già stato dato da Carlo al molto discusso canonico Ottavio Antonio Bajardi (1695-1758), che scontentava tutti, e di cui qui si può ricordare solo il primo giudizio di Johann Joachim Wickelmann in una lettera del 25 luglio 1755: «Il Sig. Bayardi, autore del Prodromo di Ercolano, che ha scritto su ordine del Re due maledetti volumi in 4°, è un gran pezzo d’asino, e pare che lì manchino persone che s’intendano della materia.» Quando scrive così, Winckelmann è solo un oscuro bibliotecario alla corte di Dresda, con un unico desiderio: andare in Italia.
Analogamente, in una lunga lettera al Cardinal Quirini del 27 aprile 1754, l’allora molto più autorevole e noto Gesner, persi i primi entusiasmi, si lamenta che la pubblicazione dei reperti vada così a rilento e proceda come una tela di Penelope e che i risultati degli scavi siano tenuti nascosti, quasi si trattasse di misteri riservati ai soli iniziati.
Erano ormai passati sette anni, da quando Gesner, durante l'anniversario della fondazione della sua Università, si era rivolto al Re di Napoli, pregandolo di mettere a disposizione degli uomini colti i tesori di Ercolano, guadagnando così fama eterna. Ma quel desiderio era stato esaudito solo in parte, e sui reperti si stendeva ancora un velo di buio, di incertezza e addirittura d'inganno.
Proprio come nell’antichità i misteri, per la loro segretezza, furono poi diffamati, così adesso - scrive Gesner - si corre il rischio di non poter più discernere il vero dal falso: Gesner chiede ancora che i reperti siano affidati a persone competenti. Distinguere il vero dal falso, in certi frangenti, diventa impossibile, perché le aggiunte, le ipotesi, i cambiamenti finiscono con il deformare lo stato delle cose, senza contare le manomissioni e le contraffazioni - scrive ancora Gesner, irritato dall’indolenza e dall’imprecisione di Bajardi.
Ancora una volta, Gesner si spinge perciò a desiderare che tutto sia affidato nelle mani di un «uomo operoso, ma di fiducia antica e di diligenza ferrea, un uomo tedesco, uno come Hagenbuch, (forse sai, o signore, che questo nome per noi significa un legno che si raccomanda per la forza e la chiarezza) o uno simile a lui» che sia eccellente nel tirar fuori dalla terra, nel descrivere, nell’interpretare quei tesori, e nel renderli disponibili per tutti, sia i contemporanei che le generazioni future.
L’ Hagenbuch, la cui seconda parte del nome significa ‘faggio’, da cui il ‘legno’ a cui Gesner allude, è l’erudito svizzero Johann Kaspar Hagenbuch (1700-1763), membro delle più importanti accademie tedesche, epigrafista anche in contatto con gli antiquari italiani e corrispondente di Quirini.
Gesner vorrebbe ancora un 'uomo tedesco' a presiedere gli scavi e ad amministrare quei tesori. Non diversamente, qualche anno dopo, Winckelmann, pur felicissimo di stare a Roma, si lamenterà dell’ignoranza dei bibliotecari vaticani.
Mentre si è ancora in pieno illuminismo cosmopolita si pongono le basi ideologiche della supposta superiorità culturale tedesca basata sull’affinità con i Greci antichi, che avrà poi una lunga, posteriore e anche aberrante, storia.
Ma si tratta anche di un messaggio politico: la scienza è fatta di istituzioni, quindi di organizzazione, e in questa gli italiani in generale e la Chiesa cattolica mostrano tutta la loro incapacità, agli occhi di un dotto settentrionale e protestante. In effetti, nella redazione dei grandi corpora e di altre imprese collettive la Germania dal XIX secolo diventerà protagonista europea. Ma già Gesner intuisce che riuscire ad avere il controllo dei monumenti antichi del Mediteranneo è un affare che trascende l'amore per la scienza. Significa acquisire prestigio e fama, significa contrastare il mercato illegale della vendita dei reperti e soprattutto la contemporanea diffusione dei falsi, che intossicava il mercanto antiquario settentrionale.
L'incarico di direttore degli scavi di Ercolano non fu mai dato a un 'uomo tedesco'. Nel 1759, però, Carlo di Borbone in persona regalò alla Biblioteca di Göttingen il primo dei preziosi volumi illustrati Le Antichità di Ercolano esposte (1755-1792), un gesto di omaggio per quella università tedesca di grande valore e importanza, poiché i volumi erano stati confezionati come dono per altri Reali europei o per altissimi funzionari e non certo per scopi scientifici.
Così la biblioteca della cittadina tedesca disponeva di tutta la bibliografia del tempo sulle scoperte di Ercolano.
Anche commentando criticamente le tavole delle Antichità, e dubitando della loro precisione e verosimiglianza, il successore di Gesner sulla cattedra di Göttingen, Christian Gottlob Heyne (1729-1812), contribuì a fondare quella disciplina scientifica che oggi chiamiamo archeologia classica. Ma questa è ancora un’altra storia.
Ricordare il discorso di un’autorità accademica del XVIII secolo come Johann Matthias Gesner, oggi certo sconosciuto ai più, ci è servito piuttosto per riflettere su alcune costanti nella storia degli studi: da subito il mondo erudito ripose subito grandissime speranze, veri sogni o utopie, nelle nuove scoperte di Ercolano e Pompei, in grado di rivoluzionare quel che allora si intendeva per ‘scienza’.
Stupisce sempre e affascina l'erudizione di quegli antiquari, che dominavano le lingue antiche, compreso l'ebraico, e moderne, che non trascuravano le scoperte nel campo della matematica, della fisica, della biologia, della medicina, che avidamente leggevano tutto ciò che veniva dal Nuovo Mondo e dall'Oriente. E così, pur non muovendosi mai o quasi dalla loro scrivania, acquisivano orizzonti amplissimi.
Uomini dotati di una inimmaginabile capacità di lavoro, che scrivevano migliaia di lettere, per lo più in latino, rivolte ai dotti di tutti i paesi d'Europa, e verso l'Italia specialmente, alla ricerca soprattutto di libri per arricchire le loro magnifiche biblioteche (Gesner non era solo professore di eloquenza, ma anche responsabile della biblioteca e delle sue acquisizioni), e che quei libri leggevano e recensivano puntualmente nelle 'gazzette scientifiche'. E che nondimeno avevano anche un'intensa attività sociale, ricevendo visitatori da ogni dove, nobili, diplomatici e celebrando complessi riti collettivi nelle sedute ufficiali dell'Università e della correlata accademia. Quando si voleva ironizzare su di loro, li si descriveva come umbratili personaggi inadatti alla vita; ma per gli studenti, e non solo, si trattava di uomini dotati di grande carisma intellettuale, e avvezzi anche a trattare di politica e con i politici, a chiedere sovvenzioni e a ottenerle, vantando una nobiltà culturale che li emancipava da una condizione di partenza spesso disagiata e da origini in una classe sociale inferiore. I professori delle università tedesche rappresentarono spesso il possibile riscatto della media borghesia, se non addirittura degli strati sociali ancora più miseri e affamati.
Quel mondo colto e studioso non aveva certo le possibilità di comunicare oggi permesse dalla tecnologia; eppure riusciva a essere coeso e solidale nel nome degli studi e nel voler far circolare il sapere, specie quando questo era ritenuto utile sia per il prestigio e il lustro che concedeva sia per le sue conseguenze di immagine politica.
Infatti l’interesse per Ercolano e Pompei non fu mai solo scientifico, ma fu anche politico: gli scavi dovevano diventare la vetrina di una monarchia illuminata e di un eredità culturale significativa da gestire.
Sin da allora tuttavia trapela, da parte dei tedeschi, la sfiducia negli italiani, non tanto nella loro preparazione o capacità, ma nella loro organizzazione, e la paura della frequentazione dei luoghi delle inestimabili rovine da parte di truffatori, falsari o semplicemente scavatori poco accorti.
Qualche indicazione bibliografica: I documenti superstiti degli scavi del XVIII secolo sono stati studiati da Agnes Allroggen-Bedel, di cui qui citiamo solo uno degli ultimi contributi: I documenti settecenteschi come strumenti per lo studio degli scavi ercolanesi, 'Anabases', 2017, online. Sul ritardo di Carlo di Borbone nell'uso politico degli sacvi di Ercolano, vedi Paola D'Alconzo, Carlo di Borbone a Napoli: passioni archeologiche e immagine della monarchia, 2017, scaricabile qui. Sono poi fondamentali: F. Zevi, Gli scavi di Ercolano e le antichità, in Le Antichità di Ercolano 1988, pp. 9-38; Joachim Migl, Heyne über die „Herculanischen Entdeckungen“ – Archäologische Anmerkungen aus dem fernen Göttingen, in D. Graepler - J. Migl, Das Studium des schönen Altertums Christian Gottlob Heyne und die Entstehung der Klassischen Archäologie, 2007, disponibile open acces qui. S. Pisani, Die Entdeckung von Herkulaneum und Pompeji. Ihre politische Bedeutung für das Königreich Beider Sizilien, in Jenseits von Pompeji. Faszination und Rezeption, Kongressakten Saarbrücken 2007, hrsg. von C. Rheinsberg / F. Meynersen, Mainz 2012, pp. 22-32; C. Capaldi e M. Osanna (a cura di) La cultura dell’antico a Napoli nel secolo dei lumi Omaggio a Fausto Zevi nel dì genetliaco. Atti del Convegno Internazionale Napoli-Ercolano 14-16 novembre 2018, Roma, L’erma, 2020. Sul ruolo di Quirini nel transfert culturale con la Germania: G. Cantarutti, Gian Lodovico Bianconi und Gian Cristofano Amaduzzi in den Kulturbeziehungen zwischen Deutschland und Italien, in Gelehrsamkeit in Deutschland und Italien im 18. Jahrhundert, Berlin, de Gruyter, 2012; della stessa studiosa, si segnalano i numerosi contributi su Quirini e il transfert culturale con la Germania, alcuni scaricabili qui ; cfr. inoltre S. Ruzzenenti, Angelo Maria Querini e il transfert culturale fra Italia e Germania, Atti Acc. Rov. Agiati, a. 259 (2009), ser. VIII, vol. IX, fasc. I, on line qui. Vedi inoltre gli scritti open access raccolti in: https://www.horti-hesperidum.com/hh/descrizione-delle-prime-scoperte-della-citta-di-ercolano/ Sul Grand Tour verso il Sud, vedi i saggi raccolti da Rosanna Cioffi, Sebastiano Martelli, Imma Cecere, Giulio Brevetti, La Campania e il Grand Tour. Immagini, luoghi e racconti di viaggio tra Settecento e Ottocento, Roma, L'Erma, 2015, e lì il saggio introduttivo di G. Sodano, Il viaggio nel Mezzogiorno delletà moderna: stereotipi, ragioni e suggestioni. Il libro ormai classico sull'uso politico dell'archeologia da parte degli intellettuali tedeschi è quello di S. Marchand, Down from Olympus: Archaeology and Philhellenism in Germany, 1750-1970, la cui trattazione però comincia negli anni succesivi al discorso di Gesner, su cui qui abbiamo voluto richiamare l'attenzione. Sulla ricezione di Pompei, argomento, come dicevamo, infinito, vedi di recente Eric R.Moormann, Pompeii's Ashes: The Reception of the Cities Buried by Vesuvius in Literature, Music, and Drama, 2015. Inoltre il volume collettivo apparso per i tipi del Paul Getty Museum Antiquity Recovered: The Legacy of Pompeii and Herculaneum.
Sulle nuove scoperte di Pompei (escluso il recente termopolio): M. Osanna, Pompei. Il tempo ritrovato. Le nuove scoperte, Milano 2019.
Sull’antichistica in questo periodo storico si veda ora la Storia della filologia classica, a cura di D. Lanza e G. Ugolini, Carocci editore 20202. Per storia della ‘Villa dei papiri’ e in generale per la storia dei papiri ercolanensi si vedano i numerosi contributi di Mario Capasso, qui. Tradurremo il discorso latino di Gesner per un'altra pubblicazione.
Per coloro che vogliono sapere qualcosa sulla Göttingen del tempo, senza avere interessi particolari di studio, mi sento sempre di raccomandare la lettura del romanzo di Daniel Kehlmann, La misura del mondo , sebbene ambientato settant'anni dopo il discorso di cui abbiamo voluto rendere conto in questa nota.
Nelle immagini: le prime tre illustrazioni sono tratte dalle Antichità di Ercolano esposte ; la quinta, la sesta e l'ottava vengono da Jean Claude Richard De Saint-Non, Voyage Pittoresque Ou Description Des Royaumes De Naples Et De Sicile (1781-1786): tutte queste immagini sono tratte dal sito web dell' Accademia ercolanense. Inoltre: Ercolano, planimetria di Pierre Bardet (1744): insula al di sopra della ‘palestra’. Archivio di Stato Napoli, raccolta piante e disegni, cart. XXIV n. 3 (dettaglio), pubblicata nell'articolo di Agnes Allroggen-Bedel sopra citato. Un'immagine di Goettingen intorno al 1740: Das alte Grätzelhaus. Von Georg Daniel Heumann um 1740. Per la miniatura a colori centrale vd. questo sito (Istituto centrale per il catalogo unico delle Biblioteche italiane). L'immagine della Bibliotheca Brixiana è tratta dal sito della biblioteca Queriniana di Brescia: https://queriniana.comune.brescia.it/. Abbiamo poi un ritratto di Johannes Matthias Gesner e una foto di Massimo Osanna a Pompei (dal 'Corriere della sera' del 22.5.2019).