Riportiamo il primo paragrafo dell’introduzione alla nuova traduzione, edizione critica (la prima italiana) e commento dell’ Ifigenia in Aulide di Euripide, a cura di Valeria Andò, appendice metrica di Ester Cerbo. Il prezioso volume è apparso nella prestigiosa collana dei Supplementi di Lexis (vol. 4), ora pubblicata open-access dalle edizioni Cà Foscari di Venezia (https://edizionicafoscari.unive.it/en/edizioni/libri/978-88-6969-514-8/).
Ringraziamo Valeria Andò, che ha già collaborato al nostro blog (qui), per averci concesso il permesso di dare questa anticipazione.
Non è ancora l’alba in una notte stellata di piena estate. Tutto è silenzio nel campo greco, fermo in Aulide presso l’Euripo. Qui, in questa insenatura sabbiosa della Beozia, riparata dai venti dell’Egeo, si svolge l’intera azione drammatica di Ifigenia in Aulide (d’ora in poi IA), sulla riva del mare dunque, come per Ifigenia tra i Tauri e Ecuba.
Dalla sua tenda, al centro della scena, esce Agamennone, il comandante dell’esercito, che chiama con insistenza un vecchio servo. I primi versi tracciano, con rapide pennellate, il luogo, l’ora, la stagione, e soprattutto la quiete che domina la natura circostante: non si avverte nessun suono di uccelli, né il fragore del mare, né il sibilo dei venti, mentre il brillio delle stelle punteggia il cielo ancora scuro.
Al silenzio della natura corrisponde la calma sugli spalti: le sentinelle sono immobili al loro posto.
Questo splendido notturno apre la tragedia. Un inizio improvviso, metricamente inconsueto, che consente allo spettatore di cogliere il contrasto tra la quiete notturna e il conflitto interiore che sconvolge il cuore di Agamennone, elemento questo che contraddistingue il personaggio per tutto il corso del dramma.
Il re rivela quindi la sua ansia: prova invidia per il servo che nella sua umile condizione è al riparo dalle preoccupazioni riservate a chi ha onori e ricopre una carica importante. I disegni degli dei così come i giudizi degli uomini possono infatti sconvolgere del tutto la vita. La risposta del servo si colloca sul piano dell’etica comune e del buon senso: Agamennone è un mortale, dunque generato non soltanto in vista della felicità, ma, come tutti gli esseri umani, potrà avere sia gioie sia dolori, e la volontà divina si compie comunque. Ed è ancora il servo a segnalare il tormento del sovrano, che al lume di una lanterna ha scritto e riscritto il testo di una lettera. In quanto servitore fedele di Clitemestra, invita quindi il padrone a rivelargli il motivo di tanta agitazione.
E Agamennone inizia nel consueto metro giambico la narrazione dell’antefatto: narra quindi la gara dei pretendenti alla mano di Elena, il patto di mutuo soccorso fatto stringere loro da Tindaro, le nozze con Menelao, l’arrivo di Paride, il pastore arbitro nella gara di bellezza delle tre dee, l’innamoramento e il ratto di Elena, la preparazione della spedizione dei Greci contro Troia, la sua designazione a capo dell’esercito, la bonaccia che impedisce la partenza della flotta, il conseguente vaticinio di Calcante che richiede il sacrificio di Ifigenia; afferma quindi il suo orrore iniziale e il suo rifiuto di adempiere quanto richiesto dal vate, contrastato però dall’azione persuasiva di Menelao, che lo induce a scrivere alla moglie Clitemestra una prima lettera per attirare Ifigenia col pretesto di finte nozze con Achille, e poi il suo pentimento e il travaglio che lo hanno portato a scrivere una seconda lettera, di cui dà lettura al vecchio servo, riprendendo il ritmo anapestico, con la quale tenta di fermare il viaggio ad Aulide della figlia affermando che le nozze sono da rinviare. Raccomanda quindi al servo di fare presto, di stare attento lungo il cammino se per caso si imbatte nella scorta che conduce Ifigenia, che dovrà in questo caso fare rientrare a Micene.
Il servo parte con la lettera, Agamennone rientra nella tenda. I versi del prologo dunque immettono subito gli spettatori al livello emotivo del dramma: il pubblico, ben informato delle vicende della tradizione mitica, sa che deve compiersi il sacrificio della figlia del re capo dell’esercito per consentire l’inizio della guerra di Troia, assiste al tormento di Agamennone e al suo tentativo di stornare il sacrificio e dunque si pone in una situazione di sospensione nell’attesa dell’efficacia della lettera. La violenza imminente grava sui personaggi e sul pubblico da questi primi versi fino all’uscita di scena di Ifigenia verso la morte sull’altare.
Il Coro fa quindi il suo ingresso cantando la parodo, la più lunga tra le tragedie superstiti di Euripide, seconda soltanto alla parodo dei vecchi argivi nell’Agamennone di Eschilo. Sono giovani donne di Calcide, venute ad ammirare le armate greche riunite ad Aulide e guidate dai due Atridi al comando di mille navi, per riprendere Elena, dono di Afrodite a Paride. Collocandoli quindi alla distanza favolosa del mito, come il giudizio delle dee, e avvolgendoli in un’atmosfera diafana,nominano gli eroi celebri della tradizione, di cui descrivono i giochi e le gare atletiche: i due Aiaci, Protesilao e Palamede intenti a giocare a dadi, Diomede che si diletta a lanciare il disco, Merione, Odisseo e il bel Nireo, e tra tutti spicca Achille, il figlio della dea allevato da Chirone, impegnato in un corsa a piedi contro una quadriga, di cui descrivono con plastica vivezza i destrieri dai morsi d’oro e la pezzatura del mantello. Dopo gli eroi è la volta della flotta, una sorta di catalogo delle navi, trasposto dall’epica nella cornice tragica, passate in rassegna contingente per contingente, con i rostri e gli stemmi, dalla flotta dei Mirmidoni a quella di Aiace. E di fronte allo spettacolo di guerrieri, armi e navi, lo sguardo delle donne resta ammirato: a differenza di quanto affermava Saffo che la cosa più bella per lei non è un esercito di fanti o una flotta di navi ma l’oggetto del proprio amore, qui, le donne di Calcide palesemente e in forma esplicita si pongono come soggetti femminili che, avendo sentito a casa parlare degli armati, vogliono vedere e ammirare il mondo tutto maschile degli eroi. Per questo sono uscite da casa, nonostante il pudore di giovani donne che deriva dal trovarsi tra uomini, spinte dal desiderio di vedere, di riempirsi gli occhi di bellezza e trarne piacere. E il loro sguardo di donne, attraverso la parola poetica, disegna un vivido affresco i cui particolari balzano alla mente degli spettatori nei colori luminosi del bianco e dell’oro.
Una concitata sticomitia apre il primo episodio, tra il vecchio servo e Menelao che ha bloccato il servo con la lettera in mano e gliela strappa violentemente, minacciandolo di rompergli lo scettro in testa. Un’altra sticomitia in tetrametri trocaici segna l’inizio dell’agòn tra i due Atridi nella quale Menelao accusa duramente il fratello per la lettera appena intercettata, finché pronuncia in toni aspri la sua rhesis in cui, biasimando la mente instabile di Agamennone, ricostruisce gli eventi passati in modo antitetico a quanto aveva fatto il fratello: solo l’ambizione ha mosso infatti le sue azioni, come dimostra la campagna elettorale con la quale intendeva ottenere il comando supremo e soprattutto il volontario invio di una prima lettera alla moglie per attirare Ifigenia in Aulide, mentre il ripensamento che ne è seguito impedirebbe alla Grecia di compiere un’impresa gloriosa contro quelle nullità dei barbari; infine dichiara che un vero capo deve avere senno e intelligenza, quasi che la leggerezza di carattere e l’instabilità costituiscano seri impedimenti al comando. All’accusa di ambizione di Menelao, Agamennone non risponde controbattendo punto per punto, ma accusando a sua volta il fratello di essere mosso soltanto dal desiderio di riprendersi la sua bella moglie, ammettendo di avere sì cambiato idea, e di non essere più disposto a compiere un atto empio solo per vendicare una cattiva moglie come Elena. La Grecia, invocata da Menelao come artefice di una patriottica impresa di gloria, nelle parole di Agamennone è preda della stessa malattia che affligge il fratello.
Mentre l’agòn tra i due Atridi sta per concludersi aspramente, fa il suo ingresso un messaggero che con gioia anticipa al re la notizia dell’arrivo di Clitemestra, Ifigenia e del piccolo Oreste, e narra della curiosità eccitata che si è sparsa tra i soldati alla vista del corteo reale e per le nozze che potrebbero avere luogo. Alla agitazione festosa del messaggero fa da contrappunto, uscito questi di scena, la disperazione di Agamennone ormai stretto nella morsa della necessità, in quanto capisce che con l’arrivo della moglie e per la pressione della massa non potrà più sfuggire al sacrificio della figlia. È a questo punto che si verifica il vistoso e improvviso cambio di idea di Menelao, commosso in forma empatica di fronte alle lacrime del fratello, che invita a non commettere più l’uccisione della figlia per restituire a lui una cattiva moglie. Ma è troppo tardi. Agamennone,
il capo, si sente costretto dall’intero esercito greco e prefigura che Odisseo possa rivelare all’assemblea il suo voltafaccia, inducendo gli Argivi a uccidere comunque Ifigenia e loro stessi e a devastare la loro terra. Raccomanda soltanto a Menelao il silenzio con Clitemestra, per evitare che la sua azione criminale possa provocare un eccesso di lacrime e dolore.
Così, con la riappacificazione tra i due fratelli si conclude il primo lungo episodio, e Menelao non farà più ritorno in scena.
Il primo stasimo si apre con una considerazione sugli effetti rovinosi che gli eccessi in amore possono provocare, tanto che le donne del coro auspicano per sé desideri e piaceri misurati. Si soffermano quindi sugli effetti dell’educazione, che conduce alla virtù le nature buone e che si manifesta in comportamenti improntati all’aidòs, differenti per uomini e per donne, ma che producono vera saggezza.
Con questo ideale di vita virtuosa espresso da strofe e antistrofe contrasta nell’epodo la rievocazione del giudizio di Paride, che sulla sua zampogna modulava melodie tra le sue giovenche, cui ha fatto seguito l’innamoramento di Elena, causa prima della spedizione contro Troia. In modo spettacolare inizia quindi il secondo episodio, con l’ingresso in scena del carro reale con Clitemestra, Ifigenia e il piccolo Oreste, accompagnato dal canto del coro con formule di accoglienza ed espressioni di felicitazioni.
Il quadretto familiare che si delinea negli scambi che seguono, con Clitemestra madre felice di portare la figlia a nozze fortunate, il piccolo Oreste cullato dal rollio del carro, Ifigenia pronta con gioia infantile a gettarsi al collo del padre tanto amato, appare in stridente contrasto con l’evento luttuoso che grava sulla tragedia e di cui il tormento dissimulato di Agamennone è indizio. L’ironia tragica continua nella sticomitia tra padre e figlia, in cui viene sviluppato il motivo, già anticipato dal messaggero, dello scambio tra la cerimonia nuziale e il rito sacrificale, che costituisce motivo conduttore della tragedia, vistosamente presente anche nella sticomitia tra Agamennone e Clitemestra, che chiede appunto al marito notizie sul futuro genero e sui preparativi per le nozze. Invano il re cerca di allontanare la moglie dalla scena del sacrificio, rimandandola ad Argo, ad occuparsi della altre figlie, ma lei rifiuta con decisione rivendicando i doveri che comporta il suo ruolo di madre della sposa.
Il secondo stasimo prefigura in toni profetici l’arrivo a Troia dell’esercito e della flotta dei Greci e la disfatta della città, ma il pensiero delle donne di Calcide va subito alle donne di Troia cui è riservato un destino di schiavitù, quello che esse vogliono tenere lontano dalla loro esperienza di vita. Causa prima di tanto dolore è Elena, di cui le donne ricordano la nascita da Zeus trasformato in cigno, pur se aggiungono che questa è solo una delle favole vane costruite dai poeti, con una riflessione di natura metapoetica, non estranea a questa tragedia e alla poesia euripidea.
Con una scena da commedia degli equivoci si apre il terzo episodio, in quanto Achille, venuto a sollecitare Agamennone a intraprendere la spedizione, viene sorpreso da Clitemestra che lo tratta con la familiarità che si addice a un futuro genero. Quando entrambi capiscono di essere stati raggirati e stanno per allontanarsi, vengono bloccati dal vecchio servo che, con molta titubanza, rivela l’intrigo della false nozze e il sacrificio che attende Ifigenia. In preda a disperazione, Clitemestra rivolge la sua supplica all’eroe, facendo appello al suo ‘nome’, quello che è stato usato per attrarre Ifigenia, e che ora gli impone di intervenire in difesa della fanciulla ‘chiamata’ sua sposa. La risposta di Achille costituisce una sorta di autopresentazione fiera e orgogliosa del suo carattere schietto e libero, formatosi alla scuola di un educatore come Chirone, che lo rende capace di moderare, quando occorre, gli impulsi con la ragione, sicché proprio la sua natura gli impone di assumere la difesa della fanciulla, della cui morte sarebbe in certo modo responsabile.
Rifiuta poi che Ifigenia venga di persona a supplicarlo e infine prospetta a Clitemestra la possibilità che lei stessa usi la persuasione con Agamennone, evitando quindi il ricorso alla forza e alle armi.
Lo splendido terzo stasimo, denso di immagini luminose e di ricco cromatismo, rievoca le nozze di Peleo e Teti, celebrate alla presenza degli dei, mentre le Muse cantano melodiosi canti, percuotendo il suolo coi sandali dorati, le Nereidi volteggiano sulla sabbia bianchissima, Ganimede attinge il nettare dai crateri in coppe d’oro, i Centauri annunciano il vaticinio di Chirone relativo alla nascita di Achille, che distruggerà Troia con le sue armi d’oro. In contrasto con la gioia delle nozze divine, il Coro nell’epodo torna a Ifigenia, il cui sangue bagnerà l’altare, e conclude il suo canto con una riflessione di tipo gnomico sul prevalere della empietà e della illegalità sulla virtù e sulle leggi, ad indicare che il sacrificio che sta per compiersi, finora definito ‘follia’ o ‘malattia’, sia in realtà alterazione del sebas, la pietà verso gli dei, e del nomos, la legge che regola la convivenza umana. Nel quarto episodio si assiste allo smascheramento grazie al quale Clitemestra riesce a ottenere da Agamennone la terribile verità sul sacrificio che intende compiere, aggiungendo altri particolari inediti della sua storia coniugale col sovrano, come l’uccisione del primo marito e del bambino avuto da lui, nonostante i quali è stata una moglie devota e irreprensibile; prefigura inoltre l’inevitabile clima di sospetto e di odio con cui verrà accolto a casa di ritorno da Troia, anticipando quindi lo sviluppo futuro della vicenda mitica, ben nota agli spettatori, per concludere con il consueto argomento dell’ingiusto scambio tra il sacrificio di Ifigenia e l’adulterio di Elena, che avrebbe casomai richiesto il sacrificio di Ermione.
Segue la commovente supplica di Ifigenia al padre di salvarle la vita, nella quale tocca le corde più profonde dell’emotività, rievocando i gesti di affetto scambiati nella prima infanzia e coinvolgendo anche il fratellino Oreste nella supplica per accrescere il livello di commozione, affermando infine la bellezza della vita contro l’orrore dell’aldilà.
Ma la risposta di Agamennone non lascia alcuna speranza: l’intero esercito greco è in preda come a frenesia d’amore per la spedizione verso Troia, necessaria per liberare la Grecia ed evitare che i letti della donne greche siano violati dai barbari.
Di fronte alla ineluttabilità del suo destino, si leva il canto monodico di Ifigenia, che rievoca la causa prima del suo sacrificio, cioè il giudizio di Paride, la vittoria di Afrodite con la promessa di ottenere Elena, origine di tutti i mali.
Nel quinto episodio Achille comunica a Clitemestra l’agitazione nel campo acheo dei guerrieri e dei suoi Mirmidoni in particolare, smaniosi di salpare, tanto che egli stesso ha rischiato di essere lapidato per essersi opposto al sacrificio. Ormai solo la sua spada presso l’altare potrà proteggere Ifigenia, poiché è stato deciso che Odisseo in persona verrà a prenderla per condurla a morte. Mentre Clitemestra e Achille discutono quindi sull’azione di difesa, ecco che avviene il cambiamento di idea di Ifigenia: dopo averci ben riflettuto ha infatti deciso di andare volontariamente al sacrificio, senza esporre pertanto l’eroe al biasimo dell’esercito. Assumendo quindi le ragioni del padre, ecco che vuole rendere libera la Grecia con un atto che le dia gloria eterna, impedendo i ratti delle spose greche. E in un crescendo di autoesaltazione patriottica dichiara che la sua vita di donna, che vale ben poco, deve essere sacrificata per il bene dell’intera comunità greca. Questa morte gloriosa rappresenta per lei la vita di cui si priva, le nozze e i figli, e grazie a questa morte i Greci realizzeranno la loro natura di razza libera, affrancati da un destino di schiavitù, ben più adatto ai barbari.
Achille, ammirato dallo straordinario coraggio della fanciulla, rimpiange le nozze mancate e promette che comunque sarà con la sua spada presso l’altare se per caso dovesse cambiare idea. Ma Ifigenia non lo ascolta nemmeno. Rivolta alla madre in lacrime, le intima di non piangere e di non indossare gli abiti del lutto, perché sua tomba sarà l’altare della dea. Le raccomanda infine di non odiare il padre e di non seguirla fino all’altare dove vuole recarsi da sola.
Il congedo dalla madre, cui nega il conforto della lacrime e del lutto, segna per lei la totale assunzione dei valori maschili del padre, negando la genealogia femminile e materna.
Ifigenia ordina quindi di dare inizio ai gesti rituali del suo proprio sacrificio, quali la consacrazione dei canestri, l’accensione del fuoco sui grani d’orzo e, intonando un nuovo canto monodico, chiede che le si incoroni il capo e si eseguano volteggi attorno al tempio e all’altare. Saluta quindi la sua patria Micene e, prefigurando per sé gloria eterna, esce di scena dando addio alla luce.
Dopo un breve intermezzo corale, un peana in onore di Artemide, in cui le donne del coro scandiscono i momenti rituali che attendono la fanciulla e immaginano i fiotti di sangue che arrosseranno l’altare in un sacrificio grazie al quale la dea potrà concedere alla Grecia salvezza e gloria, inizia la parte finale della tragedia, testualmente dubbia.
Arriva in scena in uno stato di grande eccitazione emotiva un messaggero, che racconta nel dettaglio alla regina quanto avvenuto presso l’altare di Artemide, dall’arrivo di Ifigenia, al dolore di Agamennone che si copre il capo col mantello alla sua vista, alle parole della fanciulla al padre in cui offre se stessa e il suo corpo alla Grecia, fino alla successione dei momenti del rituale: l’araldo Taltibio ordina il silenzio rituale, Calcante depone nel canestro il coltello sacrificatore e incorona il capo della vittima, Achille compie un giro dell’altare con il canestro e le acque lustrali e prega la dea di accogliere con benevolenza il sacrificio e concedere il buon esito della spedizione, il sacerdote prende il coltello e osserva il collo della fanciulla per capire dove colpire, tutti i presenti abbassano lo sguardo a terra, sentono sferrare il colpo, ma ecco che, al posto di Ifigenia, vedono una bellissima cerva palpitante il cui sangue bagna l’altare. Di fronte a tale prodigio Calcante annuncia che la cerva è la vittima che Artemide gradisce di più della fanciulla di nobile sangue, e che dunque ormai è tempo di salpare. È stato il signore Agamennone a mandare il messaggero ad annunciare il prodigio alla moglie, e a dirle che la figlia è ormai volata tra gli dei. Ma Clitemestra rimane incredula, in dubbio che si tratti solo di una favola per consolarla, del tutto priva di fondamento. Queste, di incertezza e incredulità, sono le sue ultime parole, mentre Agamennone, sopraggiunto in scena, ribadisce la sorte beata della figlia, e dà addio alla moglie prevedendo un lungo periodo di separazione, mentre il coro augura il successo e la presa di Troia.
Le foto sono tratte da Iphigenia, di Mohammad Al Attar e Omar Abusaada, spettacolo in arabo prodotto nel 2017 dall’ AFAC (Arab European Creative Platform, vedi qui: https://www.arabculturefund.org/Projects/6582), in cui il testo dell’ Ifigenia in Aulide viene intervallato dalla testimonianza di nove ragazze siriane rifugiate in Germania. Le foto (di Gianmarco Bresadola) sono tratte dalla performance (in arabo, con i sottotitoli in inglese) tenuta alla Volksbühne di Berlino, su cui vedi tutte le informazioni qui: https://www.volksbuehne.berlin/de/programm/27/iphigenie. Da questa performance è scaturito anche il film documentario diretto da Reem Al-Ghazzi. Per altre informazioni: https://artmuseum.pl/en/wydarzenia/reem-al-ghazzi-ifigenia