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Nel marzo 2020  i teatri del mondo sono stati chiusi. A un anno di distanza, siamo ancora nella morsa della pandemia e suoi ostaggi.

I teatri, ma non solo i teatri, restano chiusi. Con il nostro blog e le nostre ricerche sin da subito abbiamo cercato di dare una piccola risposta all’assenza di teatro, un’istituzione morale e vitale per gli individui e le società al pari di tutte le altre istituzioni culturali e educative. Il teatro, sin dalla sua fondazione nella storia occidentale, nasce e si alimenta solo dall’interazione tra scena e città, tra arte e comunità, tra emozione e razionalità. Ripeterlo, da studiosi, e da studiosi di teatro antico in particolare, non sarà mai superfluo. Pensare che la digitalizzazione sia più necessaria della diffusione del teatro (e delle arti) è un errore fatale; e si spera non lo pensino  coloro che progettano a tavolino le possibilità e le prospettve della Next Generation, non solo europea.

Oggi è una di quelle giornate commemorative, la giornata mondiale del teatro, di cui non è facile, come per tutte le occasioni del genere, condividere la retorica rituale. Da parte nostra, di chi studia il teatro antico e i modi della sua presenza nel mondo contemporaneo,  continuiamo il nostro lavoro, e presentiamo proprio oggi, nella nostra ‘Biblioteca’, due estratti da un libro apparso a cura del vulcanico Milo Rau, un regista su cui siamo già intervenuti spesso in queste pagine, e di Kaatje de Geest, Carmen Hornbostel  del NT Theatre di Gent. Lo facciamo proprio oggi perché il libro si intitola ‘Perché il teatro?’. Un libro figlio dell’emergenza pandemica, come altri, anche in Italia. Comunque un tentativo di ripensare il teatro, il concetto di teatro, la sua funzione, le sue pratiche.

 

 La domanda ‘perché il teatro’, la più facile e insieme la più difficile che ci sia, è stata rivolta da Milo Rau a 100 artisti e intellettuali di tutto il mondo (tra cui gli italiani il Teatro delle Albe di Marco Martinelli e Ermanna Montanari e i Motus  di Daniela Nicolò e Enrico Casagrande). Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice Verbrecher di Berlino e si può acquistare ad esempio qui. Vedi anche il sito dell’ International Institute of Political Murder per il video di un dibattito tenuto su questo volume nel settembre 2020. Ne abbiamo tradotto due interventi, il numero 4 e il numero 97, qui di seguito. Una traduzione italiana, a cura di Andrea Porcheddu e Giacomo Bisordi, è in uscita presso l'editore  CUE press
(S.F.)

 

“Migliaia di anni fa, il primo uomo ha scoperto come accendere il fuoco. Probabilmente fu bruciato sul rogo che aveva insegnato ad accendere ai suoi fratelli. Fu considerato un criminale che aveva stretto un patto con un demone che l'umanità temeva. Ma da allora in poi gli uomini ebbero il fuoco per restare al caldo, per cucinare il cibo, per illuminare le caverne. Nel corso della storia, ci sono stati uomini che hanno mosso i primi passi su nuove strade. Il loro è stato il primo passo, la strada era nuova e sono stati ricambiati con l’odio. Ma gli uomini dalla visione originale sono andati avanti ".

Queste parole sono pronunciate da Howard Roark, l' intransigente architetto del romanzo La fonte meravigliosa di Ayn Rand. Il personaggio rispecchia Prometeo, il primo che portò il fuoco agli uomini e per questo fu terribilmente punito. Una storia che è diventata un mito, e che è ancora presente nel nostro immaginario dopo migliaia di anni.

Storie come queste ci danno un’identità sia a livello individuale che sociale. Ne abbiamo bisogno per comprendere la nostra stessa esistenza e per dare ad essa un senso. Tutte le storie mitologiche antiche possono esprimere la nostra stessa immagine, la nostra identità attuale.

Chi è l’odiato Prometeo dei nostri giorni, chi è il visionario? Oggi, Prometeo il visionario sembra essere non solo lo scienziato che ci obbliga a confrontarci con fatti terribili, con le conseguenze del nostro comportamento consumistico, ma anche l’artista. Qualche tempo fa ero ad Epidauro, dove si trova uno dei teatri più antichi al mondo. Un teatro all’aperto, dove più di diecimila persone hanno assistito agli spettacoli dal IV sec. a.C. in poi. Mettevamo in scena l’Elettra e l’Oreste di Euripide.

Per due ore, un pubblico di un migliaio di persone guardò due tragedie che, nella mia interpretazione, parlano della  radicalizzazione violenta dei giovani. Quegli spettatori riconoscevano, nei problemi trattati dalle storie greche, problemi comuni al mondo contemporaneo.  Si è creato il travolgente sentimento travolgente di costituire una comunità. La performance era davvero importante.

Perché? Perché come esseri umani abbiamo bisogno di appartenere a qualcosa. I miti ci forniscono caratteri nei quali ci riconosciamo, in cui riconosciamo quel che accade nelle nostre relazioni, nelle nostre famiglie, nei nostri paesi o città, nelle nostre nazioni, nel nostro mondo. Queste storie sono per chiunque, a disposizione di chiunque. Penetrano nel grande scorrere della vita. Posseggono il potere della reazione ritardata. Non riflettono quel che sta accadendo, non sono storie politiche. Rispecchiano temi urgenti, importanti, in una realtà sempre diversa.

Le storie non sono fatti obiettivi, possono essere interpretate in modi diversi. Possono guidare e cambiare una società. Una storia offre una verità soggettiva, non assoluta. L’artista fa da cassa di risonanza per il genere umano, la società, l’umanità e noi possiamo cambiare la nostra esistenza, il nostro futuro, ancora e ancora e sempre. Per questo c’è sempre stata l’arte. Per questo non possiamo fare a meno dell’arte.

E l’arte è anche un vaso di Pandora nel quale  sono contenuti i mali e le sventure che possono capitare agli uomini. Un vaso pieno di ira, paura, frustrazioni, desideri proibiti. Un vaso che preferiremmo restasse chiuso. Ma se non diamo un posto alle emozioni, anche alle emozioni negative, malvagie – sia nelle nostre piccole vite che nelle società – queste vanno in putrefazione, puzzano, si infettano e diventano batteri patogeni.

Alla fine dell’ Orestea di Eschilo, la dea Atena non solo stabilisce un sistema legale democratico per porre fine a un ciclo ininterrotto di violenze; ma dà anche alle Furie assetate di sangue un posto nella nuova società democratica ateniese. E questo è notevole perché le Furie sono distruttrici e sono guidate dalla rabbia e dal desiderio di vendetta. Eschilo dunque, migliaia di anni fa, comprese che scacciare il male da una società non è una soluzione.

L’artista è un terrorista necessario, positivo e costruttivo, dei nostri pensieri e sentimenti.

Torno quando sono stato in Grecia. Una visita ad Atene è impensabile senza una passeggiata sull’Acropoli. L’itinerario inizia con il teatro di Dioniso. Passi sugli scavi archeologici e dall’alto puoi vedere l’agorà, uno spazio aperto pubblico dove la gente si incontrava per discutere temi importanti per la società (oggi lo chiameremmo un parlamento). Vicino all’agorà, a destra, c’è l’areopago, una roccia enorme dove c’era il tribunale. In alto sta il Partenone, il tempo dedicato agli dei. Impressiona il fatto che la città di Atene sia costruita attorno a questo sito unico e visionario. I Greci sapevano bene che arte, politica, scienza, religione e giustizia danno un’identità alla società. E invece noi mettiamo costantemente in discussione il diritto dell’arte di esistere e l’abbiamo respinta fuori dal centro della società. Un errore tragico, epocale.

Come è possibile continuare a porre la questione dell’importanza dell’arte nella nostra società? Perché gli artisti sono sempre spinti sulla difensiva? Prendiamo il caso dell’Olanda: nel 2019 il settore culturale e creativo ha contribuito per il 3,7 per cento al prodotto interno lordo olandese. 3,7% vuol dire più del doppio dell’agricoltura e un po’ meno del turismo. Inoltre il settore culturale conta 320.000 addetti, cioè il 4,5% dei lavoratori in Olanda.

L’arte dunque è vitale, in primo luogo e soprattutto per la salute delle nostre vite emozionali e intellettuali; ma lo è anche per l’economia. È  necessaria come la politica, la religione, la giustizia o la scienza. Benjamin Barber, uno scienziato molto autorevole e un buon amico, ha scritto: ‘L’economia urbana beneficia delle arti perché è un bene per l’economia se la società è fiorente e la comunità è coesa, ed è un bene quando si crea uno spazio pubblico. Ma né gli artisti né i politici possono essere forzati a strumentalizzare questi argomenti solo quando devono difendere la cultura”. Il problema con la nostra politica materialistica e con la nostra società guidata da ragioni economiche e consumista è che con l’energia creativa dei miti non si può fare nulla.

L’arte non può essere legittimata solo da argomenti economici. L’arte non è importante perché produce qualcosa di calcolabile. È importante perché è un bisogno umano basilare. È un diritto umano.

  

Ivo van Hove è un regista e produttore belga dalla fama mondiale. Ha tra l’altro diretto il teatro internazionale di Amsterdam (https://tga.nl/en).

Tutte le immagini sono tratte dal sito del Teatro di Epidauro e si riferiscono all' 'Elettra' e all' 'Oreste' per la regia di van Hove: http://greekfestival.gr/press/view-press-kit/?lang=en&id=58596