«Molto ti canteranno i poeti / sulla cetra a sette corde / e con inni senza lira, / a Sparta – quando al volgere delle stagioni / torna il mese delle feste Carnee / e la luna sta alta in cielo tutta la notte – / e nella splendida, felice Atene / perché grande materia di canto hai lasciato, / morendo, ai poeti» (Euripide, Alcesti, 445-455).
L’immortalità data dalla poesia, che con la sua forza lieve e incantatrice riesce a giungere in ogni luogo vanificando barriere e confini, è l’augurio profetico che il Coro dei cittadini tessali rivolge alla regina Alcesti che ha da poco smesso di vivere. Gli sviluppi teatrali e letterari del dramma di Euripide, rappresentato nel 438 a.C. ad Atene, hanno in effetti valicato i confini dell’Attica e sono stati numerosi e durevoli, dall’antichità al XXI secolo: dal testo poetico latino noto come Alcesti di Barcellona alla tragedia per musica Alceste di Christoph W. Gluck-Ranieri de’ Calzabigi (1767) a L’Alcesti o La recita dell’esilio di Giovanni Raboni (2002); e ancora, dalla Alcesti di Samuele di Alberto Savinio (1949), diretta da Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano (1950), alla «commedia» Le Mystère d’Alceste di Marguerite Yourcenar, scritta durante la seconda guerra mondiale.
Il lungo e sfaccettato percorso di riscritture legate ad Alcesti e delle relative messe in scena – che comprende molto più di quanto ricordato – deve essere stato in parte presente a Viola Lucio, autrice di Alcesti: è ancora buio?, in scena al Teatro Franco Parenti di Milano, con la regia di Zoe Pernici, supervisione di Moni Ovadia, e l’interpretazione di Serena Ferraiuolo.
Lucio si è misurata con il mito teatrale dell’eroina il cui nome è legato soprattutto al sacrificio più alto, al dono della propria vita per salvare la vita di chi si ama, e ha proposto una ‘variazione’ originale, soprattutto nel ri-pensare e ri-teatralizzare il tema di Alcesti moglie paradigmatica e della sua relazione con il vivere e il morire, con le ragioni della scelta di una via che non concede ritorno.
È noto che nell’Alcesti di Euripide la morte è presente fin dal prologo: il dramma si apre e si chiude sotto il segno della morte il cui trionfo è ineluttabile ma Euripide, nell’epilogo, rovescia questo dogma. Alcesti, dopo aver rinunciato alla sua vita permettendo al marito Admeto di vivere ancora, grazie a Eracle riesce a compiere l’impossibile ritorno: l’eroe semidio, vincendo in un corpo a corpo Thanatos – la Morte personificata –, sottrae alla sua presa Alcesti che è così di nuovo viva e può tornare accanto ad Admeto. Un ‘lieto fine’, si legge spesso a proposito di questo finale, anche se non meno spesso ci si chiede se nello straniante epilogo euripideo le inquietudini e gli strappi del dramma vengano del tutto sanati e se trovino in effetti piena e armonica conciliazione.
La morte, insieme a tutte le questioni che solleva la scelta drastica dello scambio della vita con il suo contrario, della rinuncia a vivere a beneficio della persona amata, continua a essere il pilastro anche delle altre Alcesti, fin dalle più antiche come quella dell’anonimo autore della Alcesti di Barcellona.
In un verso, il poeta latino fa dire ad Alcesti: «la morte, questa morte, mi piace». Alcesti pronuncia queste parole con il tono di chi giunge a una scelta drammatica e irreversibile non per costrizione ma per volontà e con lucida consapevolezza. Un pensiero simile torna, a distanza di secoli, nella mente di un’altra Alcesti, quella di Marguerite Yourcenar.
Ormai nel regno della Morte, dialogando con Ercole, questa Alcesti del Novecento dice: «Io non mi sono sacrificata ... Io volevo morire ... [...] Fa bene il freddo della notte… Fa bene non dover più sollevare il proprio corpo tanto pesante, inerte particella del peso della terra, dello scuro peso degli astri… Fa bene non dover più opporre il proprio calore umano al freddo del marmo, marmo noi stessi».
Il buio cui allude fin dal titolo l’Alcesti di Lucio-Pernici-Ferraiuolo è sì quello della morte ma anche quello che avvolge la vita, vita che può essere altrettanto buia e fredda. Questa Alcesti sembra in parte vicina alla protagonista di Le Mystère e l’affinità si coglie soprattutto nel carattere, illuminato da lampi di ironia, e nel rapporto di Alcesti con il marito.
In una delle scene più memorabili e ironiche della Yourcenar (XV. Alcesti, Ercole, la Morte invisibile), Alcesti, parlando con Ercole dello sposo, dice:
«lui è la mia morte [...] e il freddo della morte è quello che provavo nei giorni in cui Admeto non mi amava… Tu però, mio salvatore, sei forte, hai occhi buoni da cane, e le tue zampone sulle mie spalle danno sicurezza… Avvicinati… Scaldami col tuo fiato… [...] Ah, uomo, semplice uomo sano, uomo dai muscoli forti, così diverso dall’uomo che mi ha uccisa… [...] Voglio essere la donna di Ercole, la sua serva, la sua amante [...] Ti confiderò un segreto: la musica mi annoia… E pensare che ho passato sei anni della mia esistenza ad ascoltare Admeto che accordava la sua lira… Ah!... Per fortuna è finita… Vieni, Ercole mio, siediti qui, vicino a me… Lasciami rannicchiare qui al calduccio sotto il tuo cappottone da soldato».
In Alcesti: è ancora buio? la protagonista, ripercorrendo in modo tragicomico la sua vita nel giorno che sta per cedere alla notte più lunga, rivive momenti della relazione coniugale che le fanno desiderare di andare altrove e ricorda che, per qualche attimo, ha voluto davvero andare in un altro luogo, tra le braccia del commesso di un negozio di scarpe, l’opposto di suo marito.
L’uomo che ha sposato è uno scrittore che si è rivelato un maniaco perfezionista e un depresso, ‘guarito’ d’un tratto grazie alla grande popolarità ottenuta con una commedia. Ma per un marito che metaforicamente torna alla vita c’è una Alcesti che va verso la morte: quella commedia ha ispirato rivolte popolari e in un paese sotto dittatura, come quello dove vivono lei e lo scrittore, istigazioni simili si pagano con una condanna a morte.
L’astuto avvocato di famiglia trova un modo fraudolento per aggirare la pena: qualcuno deve essere disposto a dichiararsi – mentendo – il vero autore della commedia e di conseguenza a morire al posto di chi, in realtà, l’ha scritta. Chi altri se non Alcesti? E così, l’ultimo incontro della donna è con l’avvocato che esige da lei un impegno formale, la sua firma su un “contratto di morte”.
Nella stanza semibuia dove si svolge questo incontro, ci sono solo Alcesti e l’avvocato invisibile, come la Morte nella XV scena de Le Mystère d’Alceste. Questa assenza fisica è efficace, e ben gestita in scena da Serena Ferraiuolo, perché fa visualizzare meglio il dramma di Alcesti e la sua irriducibile solitudine e introduce a quel mondo di ombre che la donna sta per raggiungere.
Nella stanza delle ore finali non c’è un letto matrimoniale come nell’Alcesti di Euripide ma una tavola apparecchiata per due. La sedia però è una sola: un’ultima cena per una Alcesti sola, che mangia spaghetti al pomodoro e beve vino rosso con compostezza, all’inizio, e poi in modo sempre più voluttuoso, famelico, poi scomposto, perché sempre più voluttuosa, famelica e scomposta è la sua relazione con la vita, di cui cibo e vino sono facile metafora.
Nello svelarsi e lasciar cadere con libertà parole, e parolacce, emozioni, pensieri, anche i più inconfessabili e scorretti – perché in fondo cosa c’è da perdere a un passo dalla morte? –, Alcesti si guarda allo specchio e libera i capelli imbrigliati in una stretta acconciatura. Si libera delle scarpe e dà il via a una ritualità di gesti e movimenti che la preparano e avvicinano sempre più alla morte. Si toglie la fede.
Riprende in questi passaggi e atti rituali alcuni momenti e azioni dell’Alcesti di Euripide, naturalmente variandoli, ma a differenza della ‘prima’ Alcesti non piange il distacco dal letto matrimoniale. Rimpiange invece la gioiosa spensieratezza che prova quando rincorre il gatto con l’aspirapolvere, il momento più felice della giornata, e chiede allora in modo retorico all’avvocato se un simile divertimento valga più di una commedia, se si debba rinunciare a una simile felicità, piccola certo ma felicità, per delle parole, pericolose. Quelle parole appartengono però a un uomo per il quale Alcesti è disposta a sacrificarsi: e il sacrificio per un essere speciale fa parte del gioco della vita. Per Alcesti suo marito lo è, anzi, lo ‘era’. E allora perché alla fine non recede dal contratto? Perché in fondo Alcesti pensa che il buio sia proprio lì, nella vita con un marito compreso nei suoi «pensieri alti» e distanti da lei, con la «faccia di un dio punitore», un uomo che nel momento della separazione estrema non fa nulla per cambiare il corso degli eventi ma resta immobile, stretto in un gelido silenzio.
Questa Alcesti del 2023 a tratti nevrotica e un po’ volgare – pure per questo diversa dalle altre Alcesti – spietata, amareggiata, inquieta, ma anche perspicace, ironica e malinconica, toglie l’abito bianco da sposa, relitto di un ‘c’eravamo tanto amati’, e resta in sottoveste nera. È pronta a morire e a dire, senza parole, che quel colore scuro che copre il suo corpo è stato il vero compagno di una vita in due. Intorno c’è il buio di una dittatura, dove si è costretti a cantare «inni» invece che «Edith Piaf». E viene da pensare, o sperare, che sia «la morte» a essere «azzurra» e che lì Alcesti potrà trovare l’Alcesti smarrita nella vita.
La traduzione dei versi 445-455 di Alcesti è di Maria Pia Pattoni, Alcesti. Euripide. Traduzione, Collezione INDA Teatro. 52º Ciclo di Rappresentazioni Classiche. Teatro greco di Siracusa 2016.
Il verso citato della Alcesti di Barcellona è l’81; la traduzione è mia.
Gli altri virgolettati sono battute di Alcesti: è ancora buio?
Sulla lunga vita teatrale e letteraria di Alcesti:
M.P. Pattoni, R. Carpani (a cura di), Sacrifici al femminile. Alcesti in scena da Euripide a Raboni, «Comunicazioni sociali» 26 n.s. 3, 2004.
M.P. Pattoni (a cura di), Euripide, Wieland, Rilke, Yourcenar, Raboni. Alcesti. Variazioni sul mito, Venezia 2006.
Sulla Alcesti di Barcellona: Raffaella Viccei, L’immagine fuggente. Riflessioni teatrali sulla Alcesti di Barcellona, Bari 2020.
Le Mystère d’Alceste di Marguerite Yourcenar (pubblicato nel 1963), preceduto dall’importante introduzione l’Examen d’Alceste in cui la Yourcenar definisce la sua opera «commedia» con tratti da «dramma sacro», è pubblicato in traduzione italiana in L. Coppola, G. Prati, Marguerite Yourcenar, Tutto il teatro, Milano 1988, pp. 239-306. In questo articolo sono state citate le pagine 297-299.
Per riferimenti, anche bibliografici, ad Alcesti euripidee in scena nel XX e XXI secolo, tra le quali Alcestis di Martha Graham (1960), Ferai di Eugenio Barba (1969), Alcestis/Alceste di Robert Wilson (1986; 1987), Alcesti di Massimiliano Civica (2014); Alcesti di Cesare Lievi (2016 INDA), Viccei 2020 cit..