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La scenografia è richiesta già in una fase preliminare creativa, ha il compito di restituire il suo apporto drammaturgico partecipando attivamente anche alla partitura dei movimenti […]; nei nostri lavori non arriva alla prova generale, quando ormai è tardi per lavorare ad una sua integrazione […] (Carmine Maringola)

 

Carmine Maringola nella scena contemporanea è un esempio di contaminazione virtuosa tra le tre componenti che ne animano la ricerca: architetto, attore, scenografo. Alla formazione di architetto associa la vocazione di performer impegnato in una “cellula napoletana” del Living Theatre, perseguendone la visione rivoluzionaria; un periodo post-laurea di residenza a New York costituisce la sua vera iniziazione artistica. Tornato in Italia, si trasferisce a Palermo ingaggiato in un teatro dove, nel tempo libero dalla “professione” attorica, studia la “macchina scenica”, recuperando dall’esperienza pratica la manualità e l’artigianalità del teatro sette-ottocentesco, guidato dalla consapevolezza degli spazi, propria ad un architetto.

Dall’incontro con Emma Dante si genera un lungo e resistente sodalizio di vita e lavoro che «[…] a partire dall’innesto partenopeo nel corpus geneticamente palermitano della Sud Costa Occidentale […]» lo vede impegnato nella ricerca delle relazioni tra azione performativa e segni drammaturgico-scenici (A. Barsotti).

Così sulla quarta di copertina del libro, appena pubblicato, di Vittorio Fiore: Carmine Maringola, scenografo/attore. La scena recitante per Emma Dante, con saggio introduttivo di Anna Barsotti e saggio critico di Simona Scattina. Il libro è il numero 9 della bella Collana Periactoi | Esercizi di architettura per il teatro, ideata e diretta da Vittorio Fiore, pubblicata da LetteraVentidue Edizioni di Siracusa. 

Il libro delinea un ritratto dell'artista, attraverso gli spettacoli a cui partecipa come attore – guidato dalla Dante con cui firma le scene – e le opere liriche di cui è artefice delle scenografie.

Ringraziamo Vittorio Fiore e l’Editore per averci concesso di pubblicare in questo blog le pagine relative al lavoro di Carmine Maringola per la messa in scena dell’Eracle di Euripide nel teatro antico di Siracusa (INDA 2018).

Copertina del libro

 

Eracle di Euripide:

una necropoli al Teatro Greco

L’Eracle viene dopo alcune prove di Emma Dante sui miti e sul repertorio tragico antico, che rivisita, mescolando il comico e il tragico con innovazione di linguaggi e modalità espressive, i temi della famiglia, della donna, pieni della commedia dell’arte, dei costumi e delle tradizioni religiose dell’Italia Meridionale.

La regista si era confrontata con la Medea per due volte, ri-affidando nella seconda ad Elena  Borgogni e a Carmine Maringola nel 2012 (Verso Medea, Teatro Olimpico, Vicenza) i ruoli di Medea e Giasone, che erano stati di Iaia Forte e Tommaso Ragno nel 2004 (Teatro Mercadante

Napoli), «ambientandolo nei rioni popolari di Palermo, con un coro di donne del quartiere della Vucciria (interpretato da maschi come nelle tragedie antiche)»[1].

Un’occasione desiderata dalla regista e l’incontro con Alkesti, tragedia a lei cara (dichiaro di essere un suo desiderio affrontarla per il teatro greco[2]) “sulla paura di invecchiare e di morire”[3], arrivata dalla lontana Svizzera, dal Teatro di Lucerna: qui tra attori di lingua straniera, Carmine Maringola e Sabino Civilleri, Apollo e Thanathos, combattono con le movenze dei pupi siciliani su un tavolo che diventa altare, letto di morte, tavola da banchetto, una impostazione scenica tipica della regista, che pone Alcesti su un’altalena, che la allontana e la ri-avvicina alla vita[4].

Io, Nessuno e Polifemo. Intervista impossibile (la Dante partecipa anche come attrice, con  Maringola e Salvatore D’Onofrio) e un testo meta-teatrale, che gioca tra gli stereotipi del suo teatro e dei miti, nella cornice dell’Olimpico di Vicenza (Cfr. Simona Scattina in questo libro): “faccio teatro, la vostra diversita mi attrae” dice al ciclope[5], che chiede verità sulla sua storia. «Emma […] ci mette dalla parte di Polifemo, […] gli toglie tutti i sostrati di condanna che la storia gli ha cucito addosso» ed il pubblico non lo guarda più come “un gigante pauroso” ma come un “suo simile”; ed Ulisse «e poco o nulla senza il ciclope»[6].

In Odissea A/R la Dante attinge «episodi e battute dai primi cinque e dagli ultimi libri [...] del poema omerico», sottoponendolo, fin dal titolo, a una “prospettiva tragicomica”, e quanto ai personaggi eroicomica: [...] «A/R, la sigla postale, richiama e al tempo stesso demitizza i due movimenti», andata di Telemaco/ritorno di Ulisse. Cosi nel «linguaggio verbale – che conserva i moduli formulari, oralizzanti, dell’originale poetico – si mescolano alto e basso, quest’ultimo infarcito di dialetto siculo nelle battute di Proci»[7]. Su un palco privo di scena, tra corpi in costume da bagno, ventagli e cambi d’abito a vista, in linea con la cifra stilistica della regista, gli allievi della “Scuola dei Mestieri dello Spettacolo” del Teatro Biondo di Palermo, in un ‘sermo corporis’[8] in cui gli dei e gli eroi mostrano un ‘modus vivendi’ che assorbe la quotidianità degli uomini mortali.

Infine con Eracle (2018), «dopo le due Medea e l’Odissea A/R, Emma Dante “riattiva” (Meldolesi) le proprie radici greco-sicule attraverso una riscrittura performativa del testo, già tradotto (mediante

molti deittici) in chiave fisicamente teatrale da Ieranò. Si assiste quindi a una fantasmagorica trasduzione spettacolare che riscopre nella tarda opera euripidea peculiari caratteri tematici e stilistici del teatro dantiano: dal perturbante legame fra la vita e la morte (e il sesso) a quello, spesso sovvertitore, fra le generazioni»[9]. Nella mitologica cornice del Teatro Greco di Siracusa l’architettura scenica dell’Eracle si innesta sulle vestigia in forma di necropoli.

 

[1] Cfr. Medea di Emma Dante, in Teatri on line, 3/10/2012.

[2] Cfr. L’incontro di Emma Dante con il pubblico avvenuto al Teatro Vittorio Emanuele di Noto nel 2009, in occasione della messa in scena di Acquasanta.

[3] Cfr. Urs Bugmann, Ich Habe es mir einfacher vorgestellt, in Neuer Luzerner Zeitung, 12/5/2007.

[4] Cfr. P. Muller, Alkestis, Dante, strak, in Tages-Anzeiger, 25/5/2007.

[5] Cfr. G. Manzella, La versione di Emma, in E. Dante, “Io, Nessuno e Polifemo. Intervista impossibile”, Glifo Edizioni, Palermo, 2014, p. 16.

[6] Cfr. V. Pirotta, Riflessioni di uno spettatore privilegiato, in ivi, p. 82.

[7] A. Barsotti, Prefazione in E. Dante, “Odissea A/R. Viaggio in due movimenti”, Glifo, Palermo, 2016, pp. 17 e 22.

[8] La “quotidianizzazione del mito”. Cfr. ivi, pp. 12-13.

[9] A. Barsotti, Ti racconto Eracle per Emma Dante, in “Vivre sa vie”. Centosei lettere di affetto, vita vissuta, teatro, cultura per Luigi Allegri, a cura di M. Bambozzi, A. Bentoglio e M. Guerra, Parma, Diabasis, 2018.

 

Eracle di Euripide

Teatro Greco di Siracusa, 2018

 Giorgio Ieranò — Traduzione

Abbiamo una casa al mare nella Riserva di Montecofano a Custonaci, da cui si vedono delle cave. È un’immagine che rivedo per tutta l’estate, e che ormai è entrata nel mio immaginario.

Questa e la prima cosa che Carmine mi racconta per introdurre il progetto della scenografia per Eracle di Euripide al Teatro Greco di Siracusa. Pensa ad una cava di marmo, al Perlato di Sicilia. «La pietra grezza e i blocchi che si estraggono, evocano il cimitero, il luogo della morte, ma il marmo e soprattutto roccia forte, di eterna durata»[1]. E uno spazio architettonico, metaforico, affascinante, ottenuto per sottrazione. E l’impronta di uno scavo, come del resto lo è il teatro greco a Siracusa, ornata da 254 piccoli ritratti che testimoniano i riti funebri: «sono le storie che solo il ricordo può salvare dall’oblio»[2].

«Tale spazio si configura mediante l’innesco d’una architettura che richiama i simboli d’una religione non mitologica, più vicina al nostro tempo eppure mediterranea. Sul fondo, il muro scalinato, praticabile, d’un cimitero cattolico, marmoreo, costellato da foto (in bianco e nero) dei defunti, con croci di legno in perenne, ma discontinuo, movimento girevole. Quelle croci dalle pale periclitanti, come sghembi mulini a vento, suggeriscono non soltanto l’aggiornata sacralità del  luogo ma oscillando, ora lente ora rapide, al soffio d’un alito che sembra, e non e, naturale, nel corso dell’opera assumono sensi diversi, finanche a simulare i mulini fantasmagorici contro cui combatte Don Chisciotte. Solo che qui non si tratta d’un cavaliere dalla triste figura, ma d’un tristo potente, nella sua smodata follia portatore di morte»[3].

In basso verso l’orchestra una grande vasca d’acqua per lavacri purificatori, offre il gioco, gli schizzi e le ultime risate[4] prima del pianto, diventando l’occasione per rendere l’acqua protagonista della tragedia, come avviene in molte opere della regista; una «gebbia siciliana, da cui attingeranno i Vecchi coreuti per alimentare vasche/tombe più piccole, e nella quale Megara (come Carmen della stessa Dante) s’immergerà con i figli per vestirsi e vestirli con l’abito a lutto del sacrificio»[5].

Il percorso superiore del fronte di cava, e le vasche vuote – dove i coreuti cammineranno con dei teschi sul capo e dove Eracle «si materializza, discendendo i gradoni dell’alto del muro cimiteriale con pesanti balzi»[6] – praticabili e ancora non scenografati, sono stati da subito forniti per le prove; il laboratorio avvisato ha dato precedenza a questi elementi.

Questo fa la differenza: portiamo il nostro mondo di “cantina” nell’opera. Anche le modalità per scenografare il marmo sono state di difficile intesa. Nei laboratori scenografici si tende a ‘decorare’, io volevo raccontare altro, volevo la cava, non le venature.

La tragedia sarà ricordata per una scelta anche qui rivoluzionaria della regista che opta per un cast al femminile, dove Eracle mostra la sua “inquieta fragilità borderline[7].

 

[1] C. Maringola, La follia omicida nella città di marmo, in “54 festival del Teatro Greco di Siracusa”, Siracusa, INDA Fondazione, 2018, pubblicazione di sala, p. 26.

[2] Ivi, p. 27. «[…] La parete di marmo intarsiata di foto rinvia alla placida “corrispondenza di amorosi sensi” dei cimiteri», cfr. S. Rimini, Gli abbracci spezzati, in «Fata Morgana», 27/05/2018, https://www.fatamorganaweb.it/index.php/2018/05/27/gli-abbracci-spezzati-emma-dante/.

[3] A. Barsotti, Fra eccesso di potenza e fragilità: Eracle di Euripide per Emma Dante, in «Fata Morgana», n. 38/2020, p. 112.

[4] «Un riso-pianto che sprigionava anche in MPalermu, durante lo scialo d’acqua in un una Sicilia che ne e priva; un riso-pianto che nelle Macaluso riviveva nel racconto della prima gita al mare delle sorelle, ove il gioco d’acqua si tramutava in gioco di morte, come nell’Eracle: dalla stessa vasca la moglie e le tre figlie usciranno avvolte in drappi bianchi, al termine della tragedia, uccise dal proprio stesso coniuge/padre/madre», cfr. Ibidem.

[5] A. Barsotti, Fra eccesso di potenza e fragilità ..., cit., p. 112.

[6] Cfr. ibidem. «La mobilità del coro segue traiettorie precise che annoverano la consueta attenzione a stilemi figurativi, già sperimentata nel tormentato disegno vettoriale di Bestie di scena ispirato a Masaccio e qui modellata su topoi di estrazione fiamminga; una esplicita vocazione coreografica, che combina la vertiginosa geometria del ballo dei Derviscicon l’espressività della Danza serpentina di Loie Fuller, senza rinunciare alla paradossale fissità dei tableaux vivants che in questa occasione recupera una stretta analogia con i gruppi statuari di matrice classica», in S. Rimini, op.cit.

[7] Cfr. G. Montemagno, Siracusa, eroi al crepuscolo tra follie e profezie, in «Hystrio» n. 3, 2018. Cfr. M. Sciancalepore, Eracle,l’indicibile dolore attraverso i millenni, in Avvenire.it, 19/5/2018, https://www.avvenire.it/agora/pagine/eracle.

Le foto dall' 'Eracle' (2018) sono di Franca Centaro. In questo blog, su Emma Dante e Carmine Maringola si veda I messaggeri di Emma Dante. Dalla tragedia greca messaggi per un mondo malato; su Emma Dante, Le sorelle di Emma Dante.