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Ci sono classici grandiosi che non tramontano mai, come l’Edipo re di Sofocle, continuamente oggetto di messinscene e adattamenti. E ci sono classici un po’ meno autorevoli, ma che reggono benissimo all’usura del tempo.

È il caso di Alla Greca (titolo originale Greek), pezzo teatrale in versi scritto e messo in scena quarant’anni orsono dal drammaturgo inglese Steven Berkoff. La première ebbe luogo a Londra sul palcoscenico dell’Half Monn Theatre l’11 febbraio del 1980. Il protagonista Eddy (nome che per assonanza richiama ovviamente quello di Edipo) è un adolescente problematico ed emarginato che vive le sue disavventure sullo sfondo sociale della gran Bretagna anni Ottanta del secolo scorso, all’epoca del governo conservatore di Margaret Thatcher.

Con la sua irruente violenza verbale, con la sua ingenua aggressività e col suo stile dissacrante, Eddy si fa strada nei sobborghi degradati di Londa, nelle periferie proletarie e squallide in cui regnano la violenza degli hooligans, l’emarginazione rabbiosa, la delinquenza diffusa, gli scioperi rabbiosi, le manganellate della polizia, l’individualismo sfrenato e il consumismo smodato, in un quadro generale di crisi morale e spirituale. L’Inghilterra thatcheriana, con le sue perverse dinamiche sociali, è la peste da cui Eddy vorrebbe fuggire nella speranza di fondare un nuovo ordine del mondo ispirato all’amore, salvo scoprirsi alla fine un parricida incestuoso, vittima di un destino increscioso.

 

La riscrittura del mito edipico di Berkoff ha avuto una discreta fortuna e ha conosciuto vari allestimenti nel corso del tempo. Tra i più significativi si segnala quello di Elio Capitani del 1993, portato in scena al milanese Teatro dell’Elfo (così si chiamava allora quello che oggi è Teatro Elfo Puccini), con Ferdinando Bruni nella parte di Eddy, Elio De Capitani come padre, Anna Coppola come madre e Cristina Crippa come moglie incestuosa.

Ebbene, a distanza di quasi tre decenni Elio De Capitani è tornato a quel vecchio spettacolo ‘cult’ dei primi anni Novanta, per riproporlo con qualche adattamento e nuovi interpreti, ma senza modifiche sostanziali (anche la scenografia di Thalia Istikopoulou è stata mantenuta). Lo ha fatto dapprima al Campania Teatro Festival e poi per una serie di repliche all’Elfo Puccini, dal 21 ottobre al 13 novembre. E l’operazione è stata un bel successo, sia per la partecipazione del pubblico, sia per la qualità intrinseca della performance, capace di suscitare emozioni e di coinvolgere anche i giovani di oggi che dell’Inghilterra thatcheriana verosimilmente sanno poco o nulla. Merito degli attori, naturalmente, e merito dell’intreccio sofocleo che secoli dopo l’Edipo re continua ad imporsi sui palcoscenici di tutto il modo.

Ma andiamo con ordine. La scena di Alla greca è articolata su tre livelli, tre piani sovrapposti collegati tra di loro con scale in legno. Corrispondono ai diversi piani narrativi dello spettacolo. Sul piano superiore un’orchestrina suona musica dal vivo a mo’ di commento e contrappunto ironico dell’azione scenica. Sul piano di mezzo vive la coppia di genitori (Elio De Capitani e Cristina Crippa) che adorano il piccolo Eddy, benché turbati dalla fosca profezia di un vecchio zingaro indovino che durante una fiera di paese aveva predetto il parricidio e l’incesto.

Sul piano più basso staziona Eddy, interpretato da un notevole Marco Bonadei, punk coi jeans scuciti alle ginocchia, giubbotto di cuoio nero, cintura con borchie, tatuaggi sulle braccia. È un giovane impetuoso e aggressivo, tanto sboccato quanto insofferente verso il mondo in cui vive, desideroso di viaggiare e di conoscere. In un pub londinese di infimo rango resta coinvolto in una rissa (più verbale che altro) e a colpi di improperi ed insulti uccide il proprietario, per poi fidanzarsi con l’ancora avvenente vedova (Sara Borsarelli) e sposarla.

La sfida con la sfinge è una scena particolarmente riuscita. Cristina Crippa, l’attrice che recita il ruolo della madre adottiva, compare avvolta in vesti etniche e pelliccia, per incarnare una sfinge dark, un po’ decadente, aggressiva e radicalmente femminista, desiderosa di sottomettere i maschi. Dopo essersi scambiati una raffica di epiteti ingiuriosi, il mostro si decide a porre al malcapitato Eddy l’indovinello che tutti si aspettano. Eddy risponde con la risolutezza di chi ha studiato e affronta l’interrogazione consapevole della propria preparazione. Senza la minima incertezza risponde «l’uomo!» e poi spiega con didascalica sicumera la questione delle gambe che dapprima sono quattro, poi due, infine tre. La variatio oscena sul tema è data dal fatto che la “terza gamba” non è il bastone della vecchiaia, bensì il fallo in erezione.

In seguito al matrimonio l’Eddy punk, emarginato ed esacerbato, lascia il posto a un Eddy borghese, che si è arricchito come imprenditore di fast food. Ma si tratta di un benessere effimero, perché il pericolo della catastrofe è sempre dietro l’angolo. Quando i vecchi genitori, dieci anni dopo le nozze, vengono in visita, tra una chiacchiera e l’altra, salta fuori la verità: il padre aveva raccolto il piccolo Eddy dal Tamigi, dove era caduto in seguito all’esplosione di un’imbarcazione su cui viaggiava con i suoi veri genitori che lo pensavano morto. Il copione è quello classico dell’Edipo re sofocleo, ma il finale spiazza lo spettatore. Eddy smette quasi subito di autocommiserarsi e assume i panni del cinico esclamando con aria svagata, quasi che la funesta agnizione non riguardasse proprio lui: «Perché dovrei strapparmi fuori gli occhi a mo’ dei Greci) E tu perché dovresti appenderti ad un laccio ed impiccarti? Sì, ecco cosa voglio: arrampicarmi ancora dentro alla mia mamma. Che c’è di male a farlo?».

Eddy rifiuta, dunque, quello che in teoria era un finale predeterminato. Rifiuta di pagare per i suoi errori e per il suo destino. Esprime una coscienza incapace di cercare redenzione nella punizione di sé stesso. E con un pizzico di cinismo spavaldo, sceglie di vivere fino in fondo l’amore che ha trovato, sia pure un amore incestuoso. Ma nonostante questa scelta dissacrante di accettare vitalisticamente la realtà così com’è, contro la tradizione del mito, la sensazione è che la tragedia non scada mai nella farsa pura e semplice.

 

La cifra stilistica di Alla greca, al di là della fisicità estrema richiesta agli attori, è data da linguaggio iperbolicamente osceno e volgare, condito di pesanti allusioni sessuali che creano nel pubblico un voluto effetto di straniamento. L’esito di tale sboccataggine irriverente e a tratti pornografica, che fluisce anarchicamente dalle bocche dei personaggi, è attutito ironicamente dalle musiche di Mario Arcari e dalle movenze clownesche degli attori. Ecco, la dimensione circense che assume la recitazione, soprattutto quella di De Capitani (interprete dei due padri di Eddy, quello adottivo e quello biologico), è la chiave di volta su cui si regge la messinscena offrendo allo spettatore uno sguardo parallelo sulla vicenda, uno spazio per riflettere brechtianamente sul senso di quello cui sta assistendo. Alla greca è la dissacrazione di ogni fatalismo tragico in nome dell’espressione libera e anarchica delle pulsioni individuali.

 

ALLA GRECA

di Steven Berkoff

traduzione: Carlotta Clerici e Giuseppe Manfridi

regia: Elio De Capitani

con Cristina Crippa, Elio De Capitani, Sara Borsarelli, Marco Bonadei

costumi: Andrea Taddei

scene: Thalia Istikopoulou (riprogettate e realizzate da Roberta Monopoli)

musiche: Mario Arcari

esecuzione musicale dal vivo: Mario Arcari, Tommaso Frigerio, Giosuè Pugnale

luci: Nando Frigerio

suono: Marco Sorasio

assistente alla regia: Alessandro Frigerio

assistente ai costumi: Elena Rossi

produzione: Teatro dell’Elfo e Campania Teatro Festival

Foto: @Laila Pozzo