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Edipo Re. Una favola nera è il titolo dello spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, curatori della regia e dell’allestimento, in scena al teatro milanese Elfo Puccini dallo scorso 15 marzo fino al 14 aprile. È uno spettacolo intelligente e affascinante, per certi aspetti anche spiazzante, frutto di un lungo lavoro di ricerca preparatorio, testimoniato tra l’altro dal precedente Verso Tebe, andato in scena sempre all’Elfo Puccini nel febbraio 2020 e presentato come «indagine sul mito».

Di etichette per caratterizzare l’Edipo re di Sofocle ne sono state proposte in grande quantità nel corso dei secoli: tragedia esistenziale, dramma del conoscere, detective story (il primo “giallo” della storia), “analisi tragica” (così lo definiva Schiller), “macchina infernale” che stritola protagonista e spettatore, rappresentazione delle pulsioni istintuali e così via. La tragedia che Aristotele nella Poetica indicava come esemplare ha conosciuto decine e decine di interpretazioni e conseguenti etichettature. Ma finora, almeno per quanto risulta, nessuno ne aveva parlato come di una “favola nera”. O meglio: che dietro la trama ci sia una fabula archetipica (il bambino abbandonato che dopo varie peripezie sconfigge il mostro, sposa una regina e diventa sovrano) lo ha chiarito tempo fa il grande linguista e antropologo russo Vladimir Propp in un memorabile saggio tradotto in italiano da Clara Strada (Edipo alla luce del folclore, Torino 1975).

 

Ma perché “nera”? In che senso “favola nera”? La spiegazione dell’aggettivo sta nell’oscurità segreta dei processi mentali che guidano il protagonista, negli abissi dell’inconscio e delle pulsioni inconfessabili. La vicenda di Edipo è dark nella misura in cui non c’è nessun lieto fine; e quando scopre di essere un mostro per le azioni compiute, il sovrano di Tebe si cava gli occhi trasformando sé stesso fisicamente in un mostro. Tebe è una dark room in cui può accadere di tutto, perfino che i propri desideri inconsci si realizzino.

Diciamo subito, a scanso di equivoci, che lo spettacolo di Bruni e Frongia non è una messinscena dell’Edipo re sofocleo. Nel programma di sala, giustamente, non compare nessuna indicazione del tipo “di Sofocle” o “da Sofocle”. Il testo presentato è piuttosto un mosaico di tanti Edipi della traduzione letteraria e drammaturgica europea. C’è molto Oedipus di Seneca (la scena di Manto, figlia di Tiresia; il fantasma di Laio), ma anche molto Dryden e Lee, un po’ di Hofmannsthal (Oidipus und die Sphinx), e non mancano riferimenti a Cocteau (La Machine infernale) e alla psicanalisi freudiana. Detto così potrebbe sembrare una fredda e ambiziosa operazione intellettualistica, buona per un seminario in università più che per una platea teatrale. Ma lo spettatore non deve necessariamente cadere nel trabocchetto di cogliere qua e là riferimenti e citazioni. Anzi, farebbe un errore a perseguire quella strada. Molto meglio abbandonarsi allo spettacolo e lasciarsi travolgere dagli eventi che prima esaltano e poi annientano lo sventurato Edipo.

La dimensione visuale dell’allestimento è notevole e coinvolgente. Sullo sfondo una staccionata lignea, ovunque sabbia e sassi, bastoni conficcati nel suolo, corde penzolanti dall’alto e legate a pietre. È uno scenario primitivo e straniante quello in cui i quattro attori dello spettacolo (tutti maschi) danno corpo e voce ai personaggi del dramma moltiplicando le loro sembianze grazie alle maschere di Elena Rossi e ai costumi di Antonio Marras. Questi ultimi sono davvero notevoli per la ricercatezza dei dettagli e la ricchezza simbolica, e il teatro Elfo Puccini ospita nel foyer un’interessante mostra con esposti i bozzetti preparatori di Marras (Vestire il mito - Disegni e studi preparatori di Antonio Marras per Edipo Re) (https://www.elfo.org/eventi/2021-2022/vestire-il-mito.htm)

All’inizio Edipo (Valentino Mannias) appare come un clochard vestito di stracci, che trascina a fatica una carrozzina pesante. Potrebbe essere una scena dell’Edipo a Colono; ma qui il protagonista si addormenta ed inizia un viaggio fra incubo e sogno. Lo spettacolo è precisamente il viaggio visionario compiuto da Edipo, il quale con il massimo candore racconta di avere sognato l’incesto con la madre. E alla fine lo si ritroverà, in una perfetta Ringkomposition, di nuovo a trascinare il carretto, cieco e solo. Nel mezzo si susseguono le tappe della sua “carriera”. Tra le scene più riuscite vi è quella dell’incontro con la Sfinge. Marras l’ha immaginata come una signora in kilt scozzese con cresta e unghie da uccello, guanti con artigli e un fascio di arbusti sulla schiena. Anche il matrimonio di Giocasta (Mauro Lamantia) e Edipo è notevole: due enormi mantelli che sembrano gabbie calano dall’alto sui novelli sposi e li imprigionano dentro i ruoli che finiranno col distruggerli, schiacciati oltretutto da due corone di dimensioni spropositate che incombono sulle loro teste come spade di Damocle.

L’Edipo proposto da Bruni e Frongia ha come filo conduttore il tema del destino e della libertà individuale. Nulla di nuovo sotto il sole per gli studiosi del mito edipico. Ma è merito dello spettacolo riproporre la questione in una cornice che alterna continuamente coinvolgimento e straniamento. Concludiamo lasciando la parola ai due registi Bruni e Frongia i quali nel programma di scena così spiegano il loro intendimento e il senso della tragedia greca come chiave di lettura dell’attualità:

 «La tragedia dà voce ai complessi rapporti che intercorrono fra libertà e necessità, che sono tra i valori fondativi del nostro essere uomini e rappresenta per noi, creature del ventunesimo secolo, una sfida che ci mette di fronte a tutto quello che non riusciamo a controllare con le armi della ragione, grande mito della modernità […] Anche se la tragedia ci arriva da un mondo lontano, anche se le sue storie prendono ispirazione da narrazioni ancora più remote, è difficile immaginare qualcosa di più adatto alla nostra epoca di questa forma d’arte che descrive la transizione tra un vecchio mondo che sta scomparendo e un nuovo mondo di cui ancora sappiamo molto poco».

 

Edipo Re. Una favola nera

Regia: Francesco Frongia e Ferdinando Bruni

Costumi: Antonio Marras

Maschere: Elena Rossi

Luci: Nando Frigerio

Suono: Giuseppe Marzoli

Foto: Lorenzo Palmieri

 

Interpreti: Edoardo Barbone (Creonte, Manto, Messaggero), Ferdinando Bruni (Laio, Tiresia, Sfinge, pastore corinzio), Mauro Lamantia (Giocasta) e Valentino Mannias (Edipo).

 

In scena al Teatro Elfo Puccini di Milano dal 15 marzo al 14 aprile