Nel week-end elettorale, in un settembre dai colori stranamente opachi, in Alta Irpinia arriva la Sikionìa Skinì di Kiato (nella prefettura di Korinthìa, nel territorio dell’antica Sicione, a distanza di pochi chilometri).[1]
Dopo circa trent’anni la compagnia greca torna a rappresentare nello stesso luogo lo stesso dramma, le Troadi di Euripide. Trent’anni che hanno visto molteplici trasformazioni collettive e individuali, evoluzioni ed involuzioni storiche, fino agli ultimi drammatici eventi che coinvolgono i territori europei. Un re-enactment che invita al ripensamento e alla riflessione tutti su ciò che è cambiato, in noi e fuori di noi.
Anche la Sikionìa Skinì è cambiata, perché quando le compagnie teatrali sono collettivi sociali e attirano bambini, giovani, adulti, sono organismi fluidi a cui pezzi si aggregano e da cui altri si disgregano, disperdendosi per varie strade della vita. L’epicentro animatore della squadra resta sempre il “dàskalos” e regista Jorgos Karvountzis, contadino e drammaturgo, formatosi alla scuola di Teatro nazionale della Grecia, instancabile distillatore di amore per il teatro. Il suo più grande attivismo civile e politico è proprio questo, costruire ruoli, affidarli e scommettere sulla performance, insistendo su fragilità, paure e insicurezze. Jorgos sa che il teatro è per ogni comunità, soprattutto per quelle periferiche, oggi come secoli fa, l’officina dell’impegno civile, il laboratorio delle idee politiche, la palestra delle relazioni interpersonali e transgenerazionali, l’investimento di ogni progetto sociale e culturale. Nella composizione attuale ancora qualche nome storico della compagnia, uomini e donne a cui la vita non ha sottratto dolori e portato gioie come ad ogni essere umano, che sul volto rispecchiano lo stupore di aver subito crisi economiche, pericoli epidemiologici, drammi migratori ed ora l’eco di timori bellici.
La Sikionìa Skinì si presenta come un variegato mosaico di vite diverse, che armonicamente mette insieme una Cassandra 15enne ed un’Ecuba 80enne, un Menelao pensionato ed un giovane professionista elettrotecnico nei panni di Taltibio, una mamma nei panni di Andromaca ed un’altra in quelli di Elena. A noi occidentali che del teatro abbiamo forse un’idea un po' ingessata, troppo elitaria sia culturalmente che socialmente, stupisce una partecipazione tanto eterogenea. Eppure proprio questa umanità così vera, questa pluralità di vite e storie si configura come la forza delle Troadi della Sikionìa Skinì.
La traduzione nel greco moderno, nella vivacità della dimotikì, è opera di Olympia Karaghiorgia, studiosa di teatro e traduttrice di opere delle letterature anglofone moderne e, tra gli antichi, di Euripide. Il registro linguistico della rappresentazione ha preferito alle formule convenzionali quelle più affettive, perché fosse sempre più intensa l’immanenza umana del destino di dolore e più autentica la testimonianza della tragedia di un popolo intero, costretto a lasciare la terra che “ha sepolto il corpo ed il sangue dei figli”.
Dal testo euripideo l’adattamento scenico ha conservato la struttura in tre episodi, che alternano il tono lirico dell’imeneo della straordinaria Cassandra, folle di invasamento, quello del dibattimento oratorio, nell’agone fra Menelao-Ecuba ed Elena, ed infine il femminile lamento trenodico guidato da Ecuba sul corpo di Astianatte.
A livello scenico, come più volte ho potuto apprezzare nelle drammaturgie di Karvountzis, predominano nudità ed essenzialità, sulla scena dominano i corpi, soprattutto mani e occhi. Poche colonnine, nascoste da drappi consunti, funzionali a delimitare lo spazio scenico per i membri del coro, donne della comunità odierna che incarnano le prigioniere, donne della città di Troia, appena conquistata dai terribili Achei. Il continuo flusso antico/moderno si snoda fino al canto dell’epitafio, in cui la matriarca Ecuba, che da imponente regina si rimpicciolisce sempre più nel corso del dramma, compone il corpicino del nipote, deposto sullo scudo di Ettore. Sulla vendetta nei confronti di un bambino si innalza alla massima potenza la ferocia degli Achei, degni della più alta testimonianza di disumanità, immortalata come perpetuo paradigma di condanna nel grido disperato di Andromaca “Βάρβαροι Ελληνες”, Greci Barbari!
Semplici anche i costumi di Soterias Zisi, che ha scelto per le tuniche del coro un rosso spento, segno di un’antica nobiltà sfiorita, il bianco, intramontabile indice di innocenza per Cassandra, il blu zaffiro di un soprabito raffinato per Ecuba, portato un po' dimessamente su indumenti quotidiani neri, ed un classico abito succinto adorno di particolari in oro per la seducente Elena.
Poche luci, anzi uno spettacolo illuminato da qualche candela, dalle torce di Cassandra e da quelle dei soldati achei, cromaticamente in sintonia con lo sfondo di rogo perpetuo, una soluzione improvvisata eppur non dissonante. Una scelta che rende ancor più rilievo alle voci, ai lamenti, ai movimenti di un coro che procede lento, appesantito da un dolore lungo, da un destino incerto.
L’esodo lento delle troiane lascia il posto all’immobilità del corpicino di Astianatte, amorevolmente composto dalla nonna, i lamenti strazianti si disperdono in lontananza ed il regista ha affidato a me il compito di chiudere il sipario rivolgendo un messaggio al pubblico “il corpo assassinato del piccolo Astianatte conclude la tragedia delle Troiane! Ringraziamo gli spettatori per aver condiviso l’eternità della poesia di Euripide. Con quest’opera con protesta riflettiamo su quanti avvenimenti preoccupanti sconvolgono l’umanità, mettendo a rischio l’esistenza del pianeta!”
Ha dominato ogni scena la magistrale interpretazione di Liza Anagnostopoulou nel ruolo di Ecuba, che come un’icona ha narrato tutta la tragica grandezza di un’eroina decaduta nella distruzione, nell’esilio e nell’annientamento. Intensa nella sua dimensione tragica, alienata e irrisolta l’esecuzione della giovanissima Cassandra; particolarmente degna di nota l’esibizione coreutica del coro, che, con naturalezza e spontaneità, ha dato forma a quell’insieme di umanità che in ogni guerra si muove disperatamente alla ricerca di un equilibrio impossibile, traducendo in unità il molteplice. Un brivido commosso ha percosso tutti gli studenti adolescenti del liceo classico “Francesco De Sanctis” di Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino), che hanno assistito alla rappresentazione di queste Troadi in tanti casi con occhi bagnati di lacrime, in tutti i casi con rispettosa compostezza dinanzi all’eterno dolore di uomini e donne.
[1] La città di Kiato, nella regione della Korinthìa, ubicata nel Peloponneso settentrionale, è gemellata con la città di Sant'Angelo dei Lombardi dal 1993. Nell'occasione della stipula dell'atto del gemellaggio fra le due città è stato siglato anche un partenariato fra l'I.I.S.S. "Francesco De Sanctis" ed il Centro Culturale di Kiato, quindi fra il Laboratorio del Dramma Antico della a scuola e la compagnia teatrale Sikyonia Skini. Da allora per diversi anni la compagnia teatrale greca ha rappresentato molte opere nell’ Auditorium ed il gruppo teatrale della scuola a Kiato e nell'area archeologica dell'antica Sicione. La presenza della Sikyonia skinì nel 2022 ha avuto molti significati, primo fra tutti celebrare 30 anni di gemellaggio con la rappresentazione dello stesso spettacolo portato in Italia ovvero “Le Troiane di Euripide” Le donne contro la guerra, un'opera teatrale che condanna la guerra ed esalta la pace. L’evento si è svolto a Sant’Angelo dei Lombardi sabato 24 settembre.
Nelle prime due foto, tratte dalla rete, l'abbazia del Goleto di Sant'Angelo dei Lombardi. Nella terza foto particolare del teatro antico di Sicione (da Wikipedia). le altre foto sono state scattate durante la rappresentazione a Sant'Angelo dei Lombardi, per cui si ringrazia l'autrice del post.