Il Prometeo, tragedia attribuita a Eschilo, doveva andare in scena, per la regia di Gabriele Vacis, in prima nazionale per tre serate (29, 30 settembre e 1° ottobre) nell’ambito del 75° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza, diretto da Giancarlo Marinelli, quest’anno intitolato “Domani nella battaglia pensa a me”.
Gabriele Vacis ne aveva curato la regia e la drammaturgia in collaborazione con Roberto Tarasco per la scenofonia, con Riccardo Di Gianni per il suono, e con interpreti i bravissimi giovani attori diplomati alla Scuola del Teatro Stabile di Torino, il gruppo PEM (Potenziali Evocati Multimediali). «Doveva andare in scena», ho scritto, perché alla vigilia del debutto, il maledetto virus che da tre anni tormenta l’umanità, ha colpito nel cast impedendo ad alcuni attori e al fonico responsabile della sonorizzazione di esibirsi sul palcoscenico.
Sono cose che succedono in epoca di pandemia o post pandemia. Ma Prometeo si è rivelato più forte del Covid-19. Vacis aveva due strade davanti a sé: annullare lo spettacolo rimandandolo a data e luogo da stabilirsi, oppure onorare l’impegno con il pubblico del Teatro Olimpico che attendeva con curiosità e interesse la sua messinscena del dramma eschileo. Ebbene, Vacis, in pieno accordo col direttore artistico Marinelli, ha compiuto la scelta giusta; una scelta rischiosa, ma che si è rivelata vincente. Ha deciso di portare comunque in scena lo spettacolo, con un numero di attori ridotto, adattandolo in un format diverso da quello originariamente previsto. Ne è uscito uno spettacolo emozionante e coinvolgente, paradossalmente forse anche migliore di quello che sarebbe stato in condizioni normali.
La scommessa di Vacis è stata quella di fare di sé stesso il protagonista del suo Prometeo. È lui a dominare la scena dell’Olimpico di Vicenza, seduto su una sedia a luci accese, vestito con un elegante dolcevita nero, barba brizzolata e aria da intellettuale saggio, con un tablet in mano da cui recita e commenta i versi di Eschilo.
La messinscena del dramma eschileo si trasforma così in un’esplorazione affascinante dentro il laboratorio creativo del regista, il quale introduce e spiega, con voce profonda e suadente, il senso della tragedia del titano incatenato per volontà di Zeus su una rupe della Scizia («una regione che si trova più o meno dalle pari dell’Ucraina»). Soprattutto illustra al pubblico quello che ha voluto fare lui con la sua interpretazione registica. Esaltare il tema del conflitto generazionale, per esempio, o anche focalizzare quello del progresso tecnologico, della giustizia e del tradimento, e specialmente riflettere sulle forme della temporalità, poiché la vicenda dei Titani e della loro lotta perdente contro Zeus e i nuovi dèi padroni dell’Olimpo si colloca in un tempo remoto che sta prima del tempo stesso («Il Prometeo parla del mondo degli inizi, un mondo giovanissimo, in cui gli dèi sono giovani e gli uomini sono appena nati»). Un tempo non umano, dunque, un pre-tempo che tuttavia è quanto mai contemporaneo, al punto che possiamo proiettarvi i nostri problemi e i nostri conflitti («Le parole di Eschilo servono a comprendere; questo è il ruolo dei classici: ricordarsi che quello che viviamo lo abbiano quasi sempre già vissuto»).
Vacis è uomo di vasta cultura, oltre che regista e drammaturgo di grande talento. Per parlare della sua interpretazione di Prometeo parte da lontano. Non solo da Esiodo, che sarebbe fin troppo scontato. Parte dal romanzo Pyncher Martin di William Golding, scrittore britannico vincitore del Nobel nel 1983, o più precisamente da una recensione che Luigi Meneghello scrisse di quell’opera riflettendo sul tempo, sulla durata infinita al di fuori e al di sopra del tempo di certi momenti. Ma la riflessione teorico-filosofica resta solo un abbozzo. Al regista preme spiegare come ha inteso dare forma concreta al suo Prometeo, al coro delle oceanine, ai vari personaggi che nel corso dell’azione incontrano l’eroe sofferente. Non si tratta, dunque, di una lezione ex cathedra di Vacis, perché di continuo egli cede la parola ai suoi attori che recitano alcune scene e sono bravissimi. Si tratta - come anticipato - dei ragazzi e delle ragazze del PEM, acronimo che sta per Potenziali Evocati Multimediali, compagnia costituita da neodiplomati della scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino. Tutti bravissimi e tutti giovanissimi: il più giovane deve compiere 22 anni e il più anziano non ne ha ancora 27.
Suggestiva, in particolare, la scena dell’incatenamento di Prometeo eseguita con un balletto ritmato e una musica assai espressiva. Gli attori danno vita – sotto lo sguardo vigile di Vacis che controlla dà indicazioni – a varie danze accompagnate dal canto; talora sembrano alludere a danze primitive che esprimono attraverso il ritmo e la mimica facciale vari stati d’animo. La sensazione dello spettatore è di assistere a delle prove preparatorie. Il titano che pronuncia l’elogio delle tecniche si mostra a torso nudo con vistose fasce rosso sul torace, sulle braccia, sulla schiena, cicatrici incancellabili della sua sofferenza. Le scene che non possono essere rappresentate per mancanza degli attori sono riassunte dallo stesso Vacis, il quale non esita per altro a interpretare lui stesso dei personaggi recitando, per esempio, la profezia relativa all’arrivo di Eracle.
La sensazione degli spettatori al calare del sipario è quella di avere vissuto una pagina formidabile della recente storia teatrale. Un’esperienza tanto inattesa quanto istruttiva e affascinante. Il riadattamento della messinscena è stato un clamoroso successo e la capacità affabulatoria di Vacis non solo ha supplito egregiamente all’assenza di alcuni attori e all’impossibilità di realizzare certe scene; in effetti ha contribuito a produrre uno spettacolo unico, fondato sulla mescolanza di recital vocale, dramma, danza, canto e musica. Il tutto in nome di Prometeo «archetipo della conoscenza tecnologica e scientifica, liberata dalle catene della superstizione e dell’ignoranza».
Non sappiamo se Vacis prossimamente tornerà sul suo Prometeo per metterlo in scena altrove o se l’esperienza dell’Olimpico di Vicenza sia definitiva. Di certo il regista torinese ha messo un altro tassello in una nutrita serie di regie di drammi classici dell’antico teatro greco: mi riferisco ai Sette a Tebe da Eschilo del 1992 (Laboratorio Teatro Settimo - Centro per la Ricerca e la Sperimentazione Teatrale di Pontedera, Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano), agli Uccelli da Aristofane del 1996 (Laboratorio Teatro Settimo e Festival dei Due Mondi di Spoleto), alle Fenicie di Euripide del 2000 (Laboratorio Teatro Settimo e Teatro Stabile Torino). Per il 2023 è in cantiere Antigone e i suoi fratelli da Sofocle, con gli attori della compagnia PEM. Non è un caso che a lui sia andato, fra i tanti riconoscimenti ricevuti, il Premio Dioniso per l’innovazione della cultura classica attraverso il teatro (2011).
Prometeo da Eschilo
Regia di Gabriele Vacis
Con Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Chiara Dello Iacovo, Pietro Maccabei, Eva Meskhi, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti,Letizia Russo, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera
Scenografia di Roberto Tarasco
Assistente alla regia Daniel Santantonio
Suono di Riccardo di Gianni
Cori a cura di Enrica Rebaudo
Produzione KHORAteatro, CMC/Nidodiragno
PEM Potenziali Evocatori Multimediali
Foto di Roberto De Biasio (si ringrazia l'Ufficio Stampa del Teatro per aver concesso la pubblicazione delle foto)