C’è qualcosa di teneramente infantile nello sguardo, nei gesti, nella maniera di camminare e recitare di Angela Winkler, l’attrice tedesca nata a Templin nel 1944, divenuta famosa soprattutto come attrice cinematografica negli anni Ottanta
e ancora attivissima sia sulle scene (nel 2019 nelle Tre sorelle di Checov al Deutsches Theater) che al cinema e in televisione (da ultimo nella serie Dark per Netflix).
Qualcosa di infinitamente bambino nella sua maniera di gestire la responsabilità di ruoli teatrali immensi, come Madre Coraggio oppure Amleto o Homunculus nel Faust goethiano: la necessità di vivere ingenuamente, di restare eternamente figlia e mai madre, nonostante quattro figli; l’incapacità di fare ordine, nelle cose e nei luoghi; il perdersi nel caos quotidiano; il bisogno di fuggire, di nascondersi, in un rifugio segreto; la rara virtù di sapersi sempre meravigliare davanti a cose semplici, un mazzo di fiori o uno stagno pieno di alghe; l’insaziata curiosità per gli oggetti di scena, con i quali parla e condivide emozioni; l’abitudine di avere un diario privato, scritto a mano, corredato di foto e disegni; il vezzo di tenere in borsa un orsacchiotto per amico; la voglia di solitudine, di raccogliersi in meditazione davanti agli spettacoli della natura, come i profili aspri delle scogliere sul mare profondo in Spagna, Italia, Francia.
Dell’infanzia la Winkler conserva anche l’insicurezza, lo scappare via dalla scena nel momento in cui non ci si crede all’altezza, il dimenticare le battute o il confondere il nome di Ifigenia con quello di Elettra, una sostanziale fragilità che il regista Klaus Michael Grüber la invitò a sconfiggere consigliandole una volta: “Devi essere così come sei! Semplice e fiera!”.
‘Semplice e fiera: l’attrice Angela Winkler’ (Einfach und stolz: Die Schauspielerin Angela Winkler) è diventato il titolo del film documentario del 2004 di Christoph Rüter, che la Schaubühne, il mitico teatro berlinese, nel suo programma on-line dovuto all’emergenza pandemica, ha mandato in streaming dal 14 al 17 febbraio, nella cornice di una serie di documentari che esplorano la storia dello stesso teatro e dei suoi protagonisti.
Il film inizia alla stazione di Berlino nel 2003, dove l’attrice arriva da Vienna per impersonare al Deutsches Theater Madre Coraggio di Brecht; porta con sé un mazzo di fiori, come a Berlino non se ne trovano, dice, e prima di andare alle prove esperisce la grande città splendente di primavera, a piedi (“quando si hanno le scarpe giuste si ha tutto”), in bicicletta, su e giù dalla metropolitana, cercando di operare un incantesimo su quel che vede, di trasformarne la bruttezza, di graffiarne la ruggine: Berlino, la città senza la quale comprendere e recitare Brecht è impossibile, e senza la quale impossibile diventa anche capire la storia del teatro del Novecento.
Berlino è la città che le ha dato tanto, da quando, nel lontano 1971, Peter Stein la invitò al suo teatro scrivendole e avvertendola: “Venga da noi … Ma non mi è chiaro se Lei abbia davvero capito cos’è che vogliamo fare qui. Noi vogliamo formarci come socialisti, se possibile come buoni comunisti”.
Seguirono alcune messe in scena leggendarie, solo ad esempio ‘Peter Gynt’ (1971) dello stesso Stein. La Winkler ha lavorato, a tutti imponendo la sua particolare fisicità che sembrava sempre sul punto di spezzarsi, e l’impressione di non voler davvero concedere tutta sé stessa alla scena, con i maggiori registi teatrali del secondo Novecento e oltre, dallo stesso Stein a Bob Wilson a Luc Bondy (1948-2015), da Peter Zadek (1926-2009) a Klaus Michael Grüber (1941-2008) al più giovane Thomas Ostermeier. “Recita come se camminasse sul ghiaccio sottile”, disse ancora di lei Grüber.
Separare vita e palcoscenico non è possibile. Nel caso di Angela Winkler recitare vivendo e il vivere recitando diventa una forma ambivalente di autodifesa e anche di inesorabile distruzione, perché il peso della vita ricade sul palcoscenico, così come la quintessenza dell’umanità di alcune figure teatrali, che siano Amleto o l’Ifigenia goethiana o i personaggi femminili di Brecht, ad esempio, ricade sulla limitatezza della vita individuale, e dà origine a una tensione indicibile, talora a un conflitto che diventa insostenibile. “Cerco di essere vera e semplice – ha dichiarato l’attrice –. Ma qualche volta non ho nulla che mi protegga”.
E allora la sfida diventa proprio ‘essere come si è’, e cercare innanzitutto di conoscere sé stessi. Il corpo e non la mente svolge un ruolo essenziale in questo processo di conoscenza: ossia la mano che trascrive i testi su un quaderno perché “passino attraverso le dita”; le braccia che sfidano la corrente del mare aperto e mosso; le dita che sfiorano timidamente quelle della madre centenaria; lo sguardo partecipe e l’abbraccio con la figlia Nele, nata nel 1982, affetta da sindrome di down che a sua volta fa l’attrice nella compagnia berlinese RambaZamba.
E proprio in Angela Winkler che piange assistendo ad una scena di Alice nel paese delle meraviglie in cui recita la figlia Nele, troviamo l’episodio più commovente, umano e insieme metaforico e teatrale del film documentario di Rüter. “La vita – ha dichiarato l’attrice nelle sue note autobiografiche pubblicate nel 2019 – per me è più importante. La vita è il mio teatro”.
Quando il teatro della vita e la vita del teatro diventa insostenibile, subentra una grande stanchezza: l’autoritratto privilegiato è una foto dell’attrice ripiegata su se stessa in posizione fetale, sotto alcuni disegni di Charlotte Salomon, l’artista berlinese uccisa ad Auschwitz. Ma a tale stanchezza, alla richiesta continua di una fonte di forza, di ispirazione e di amore, come sono per la Winkler il marito e la famiglia, segue una opposizione incrollabile, simboleggiata nel gesto di Madre Coraggio di trascinare da sola, con le braccia, il carro, gesto reso immortale da Helene Weigel. Alla vulnerabilità estrema si accompagna l’inflessibilità di Antigone.
Perché Antigone?
Per noi Angela Winkler, grande attrice di teatro, resta indissolubilmente legata al personaggio della protagonista del film L’onore perduto di Katharina Blum di Volker Schlöndorff e Margarethe von Trotta, liberamente ispirato dall’omonimo racconto del premio Nobel Heinrich Böll. Come si ricorderà, Katharina Blum è una donna sola, la cui unica colpa, nei giorni del carnevale, è aver conosciuto e amato per una notte uno sconosciuto senza sapere che si trattava di un pericoloso terrorista.
Siamo nel 1974, nel pieno dei cosiddetti ‘anni di piombo’: il clima di paura, sospetto, controllo, angoscia attanaglia la vita di tutti. Katharina non aveva idea di chi fosse lo sconosciuto che aveva dormito da lei: ma la mattina dopo, quando quello era già andato via, in casa sua fanno irruzione le forze speciali della polizia e un commissario la sottopone a interrogatori stringenti e umilianti. La stampa scandalistica intanto monta contro di lei una campagna diffamatoria, come donna dai facili costumi, ‘comunista’ e ‘amica dei terroristi’, una campagna che le distruggerà la vita e implicitamente causerà la morte della madre. In preda alla disperazione, la mite Katharina, vittima innocente dei nuovi media in cerca di sensazionalismi, troverà il coraggio di impugnare davvero una pistola e di uccidere il giornalista che, del tutto gratuitamente, l’ha perseguitata e infamata.
La Winkler è perfetta nel ruolo di Katharina, ruolo che originariamente doveva essere di Margarete von Trotta, poiché resta in bilico emotivo tra un amore incondizionato e puro e una ribellione tutto sommato inutile ma che la libera dalla vergogna e le restituisce la dignità. Il film di Schlöndorff, purtroppo ancora di stringente attualità per quel che riguarda la denuncia dell’implicita violenza che i media possono esercitare sulla vita dei singoli e su quanto contribuiscano a diffondere la paura, anticipa temi di riflessione che si ritrovano, tre anni dopo, nel film collettivo Germania in Autunno. E in questo film, Angela Winkler torna come Antigone.
L’episodio L’Antigone rinviata , per la regia dello stesso Schlöndorff e la sceneggiatura ancora di Böll, per quanto non universalmente conosciuto, svolge un ruolo molto importante nell’ambito della ricezione novecentesca della tragedia di Sofocle. L’interpretazione della Winkler, che riprende al limite dell’autocitazione il suo ruolo nel precedente film L’onore perduto di Katharina Blum, rispecchia il necessario distanziamento dal mito, la sua collocazione in un tempo e in uno spazio senza caratteristiche storiche e culturali, e contemporaneamente la sua dirompente forza comunicativa nel presente. I versi di Sofocle riescono a essere più incisivi di qualsiasi proclama politico, nella denuncia della violenza gratuita del potere e dell’irrispetto dell’umanità. La forza di Antigone sta proprio, come per Katharina Blum, nella sua apparente predestinazione ad essere vittima, nella sua debolezza rispetto a poteri soverchianti, nel principio non scritto dell’amore, su cui dovrebbe fondarsi ogni comunità umana e soprattutto ogni agire dell’uomo. Antigone non diventa così un simbolo politico o di una rivoluzione politica, ma il volto tranquillo e tuttavia inflessibile dell’amore resistente. L’unica possibilità per renderla inoffensiva è oscurarla, metterla a tacere, censurarla. Perciò il film su Antigone, nell’episodio di Germania in Autunno, viene rinviato a data da destinarsi.
Quest’Antigone, un’Antigone fanciulla e non un’Antigone virile ed eroizzata, un’Antigone che trova l’unica ragione del suo agire nel rispetto per la vita e nei legami familiari, che non accetta l’umiliazione e l’insepoltura del fratello, resta il personaggio da noi più amato di Angela Winkler, più ancora del personaggio di Agnes, madre di Oskar, in Tamburo di latta diretto dallo stesso Schlöndorff e premio Oscar nel 1980.
Un’Antigone la cui forza si ritrova negli schizzi autobiografici della Winkler specie quando parla della figlia Nele: “Ho imparato tantissimo da Nele, ho imparato ad aprire la bocca. A lottare. Senza di lei, farei teatro diversamente“.
Le note autobiografiche di Angela Winkler, raccolte insieme a Brigitte Landes, si intitolano La mia camera blu, e andrebbero tradotte in italiano. Il titolo esprime un desiderio: “Ho sempre nostalgia di una camera blu. Ma posseggo un intero paese” è la frase che apre libro. La ‘camera blu’ è il passato: ciò che di bello e brutto contiene non sempre dipende da noi. Il ‘paese’ è la vita intera, un ‘paese’ che è in ogni luogo e da nessuna parte, lì dove ci ha potuto portare il cuore.
Il titolo allude alla poesia e alla raccolta Il mio pianoforte blu (1943) con cui la poetessa ebrea Else Laske-Schüler volle congedarsi dal filo della vita, poetessa eccentrica, espressionista e dolorosa su cui la Winkler ha imbastito un recital. Nel blu privatissimo degli appunti di vita di Angela Winkler si ritrova la fragilità, la tenerezza, l’insicurezza bambina unita alla forza di confrontarsi con la morte che si avvicina. Vengono in mente i versi di Brecht che la Winkler ha cantato in una sua recente raccolta di chansons sull’amore: “… quando sarai vecchia, penserai a me, e io apparirò come adesso, e tu avrai un amore piccolino e ancora giovane …” (si può ascoltare qui).
L’amore di Antigone non conosce il tempo.
Nelle immagini: un ritratto recente di Angela Winkler; nelle 'Tre sorelle' di Checov, Deutsches Theater, Berlino 2019 @Arno Declair; la Winkler nel 2004, quando è stato girato il film 'Einfach und stolz' di cui parliamo in questa pagina; come Amleto, regia di Peter Zadek (1999); Come Madre Coraggio (2004), in parallelo, una famosa immagine di Helene Weigel nello stesso ruolo; la locandina del film 'Il perduto onore di Katharina Blum'; due immagini dall'episodio 'Die verschobene Antigone', in 'Germania in Autunno' (1977); con Charles Aznavour in 'Tamburo di latta' (1979); un'immagine dal primo film della Winkler ('Scene di caccia in bassa Baviera', 1969).