«Ma ecco il re, che porta fra le braccia / la prova, se così è lecito dire, / che soltanto a se stesso / deve la disgrazia che l’ha colpito» (Sofocle, Antigone, vv. 1257-1260, trad. Giovanni Raboni). Nell’esodo dell’Antigone di Sofocle, il re di Tebe Creonte porta tra le braccia il cadavere del figlio Emone.
Il giovane si è suicidato di fronte al padre, colpevole di aver causato un altro suicidio: quello della fidanzata di Emone, Antigone. L’atto del padre di recare sulla scena il corpo del figlio morto per sua colpa ha conosciuto, a partire dalla tragedia di Sofocle, una straordinaria fortuna: è ad esempio ripreso da Shakespeare nel Re Lear, dove è il protagonista a farsi carico del cadavere della figlia Cordelia (Shakespeare, King Lear, vv. 3434 ss)
Una delle più recenti riproposizioni di tale straziante gesto si può trovare in un film presentato all’ultima edizione della Mostra Internazionale dell’Arte Cinematografica di Venezia, la settantanovesima: si tratta di Athena, del regista francese Romain Gavras (figlio del celebre regista franco-greco Costa-Gavras), al terzo lungometraggio (il film si può ora vedere su Netflix). Un’opera che si propone come una tragédie contemporanea, ponendo lo spirito del tragico antico e classico a servizio di una visione provocatoria dei problemi del presente.
Francia di oggi. Athena, immaginario multietnico conglomerato di case popolari, è in subbuglio: il giovanissimo Idir è morto e un video mostra alcuni poliziotti perpetrare il pestaggio divenuto omicidio. I tre fratelli maggiori del ragazzo si confrontano in modi diversi con l’accaduto. Karim, ventenne, reclama appassionatamente giustizia e si pone a capo di una ribellione sempre più violenta. Abdel, trentenne, militare dell’esercito francese, tenta di preservare la pace. Mokhtar, quarantenne, è in preda all’ansia tutta egoistica che il disordine danneggi i suoi affari poco leciti. Mentre la Francia è travolta da una guerra civile tra banlieues multietniche e forze dello Stato, le tre età della vita adulta di un uomo si confrontano con il lutto e cercano un posto nel conflitto in atto, fino a una distruzione cieca e inutile.
Il richiamo alla cultura greca antica, nel film, è molteplice. La locandina del film (sopra) mostra una figura di uomo che nel lanciare una molotov ripete la posa del bronzo del Poseidone (o Zeus) di Capo Artemisio, conservato al Museo Archeologico Nazionale di Atene. Nella presentazione del film pubblicata nel Catalogo ufficiale della 79a Mostra Internazionale dell’Arte cinematografica di Venezia[1], Romain Gavras ricollega la vicenda alle narrazioni della guerra di Troia, per lui momento iniziale di un’immaginaria catena di menzogne generatrici di conflitti che si snoda fino alla contemporaneità, riproponendo sempre gli stessi meccanismi. In Athena, la “bugia originale” (secondo la definizione del regista) – il cavallo di legno, insomma – è rappresentata proprio dal filmato che accusa la polizia della morte di Idir: il finale del film rivela infatti la verità, portando (per così dire) lo spettatore del ventre del cavallo, ossia nell’abitacolo dell’automobile in cui un gruppo di neonazisti si spoglia delle false divise di poliziotti usate nella ripresa. Come nel caso del cavallo di Troia, i protagonisti si lasciano ingannare dall’apparenza, anche se una sorta di moderno Laocoonte in divisa di poliziotto (lucido e inascoltato come il suo equivalente mitico, sebbene la corrispondenza sia del tutto inesplicita) sospetta che si tratti di una montatura volta a innescare la violenza. E se Athena vuole essere – anche – una riscrittura della guerra di Troia, il soldato Abdel potrebbe essere accostato a Enea: come l’eroe dell’Eneide, egli condivide la cecità dei concittadini di fronte all’inganno, per poi aggirarsi nella catastrofe, sordo ai richiami della madre, uomo di saldi principi che si perde nel disordine. Come Troia, Athena assediata brucia nel giro di una sola notte, lasciando nella luce livida dell’alba agli smarriti sopravvissuti il compito di ricostruire: un compito che per Abdel si rivelerà impossibile.
Ma accanto alla ripresa della vicenda di Troia, forte è la presenza della tragedia greca, l’altra fonte di ispirazione esplicitata dal regista nella presentazione del film. Peraltro, il lungometraggio è sottotitolato une tragédie anche nel poster ufficiale. Aristotelica è la struttura narrativa del film, incentrata sull’unità di tempo – e interessante l’annotazione del regista, proposta nel corso della conferenza stampa alla Mostra[2], che lega al mondo del tragico greco l’ambientazione del film dall’alba alla notte: essa pare richiamare la giornata teatrale degli agoni drammatici. Altro elemento che il regista stesso ha presentato come di ispirazione tragica greca è la colonna sonora, un aspetto molto caro alla sua personalità di autore (Romain Gavras si è imposto all’attenzione tramite la regia di videoclip musicali). In Athena, egli ha affermato di aver voluto tentare un arrangiamento “corale” delle musiche composte nell’ambito del progetto Gener8ion; ciò risulta chiaro in alcune scene chiave – quale l’inizio dell’assalto delle forze di polizia ad Athena – laddove l’escalation dell’azione è accompagnata dal canto (inarticolato) di un coro, omaggio all’importanza della dimensione corale nell’evento tragico antico. La musica e la continuità senza respiro dell’azione costituiscono anche le due componenti fondamentali dell’impatto emotivo e (apparentemente) catartico del film; parlare di una catarsi apparente appare necessario, in quanto la rivelazione finale della “bugia originale” grava retrospettivamente la vicenda dei protagonisti di un disilluso senso di inutilità.
Peraltro, la stessa scelta del nome di Athena per il conglomerato urbano, che diviene quasi un personaggio del film, e la sua ripresa come titolo appaiono indicative. Nelle parole del regista – che si rivolge, come è evidente, da non classicista a un pubblico di non classicisti, col quale nel suo orizzonte di attese condivide una visione piuttosto generica e forse anche stereotipata della città greca antica – il riferimento ad Atene diventa (oltre che un omaggio alle sue stesse origini e una fonte, come lui stesso ha ammesso, di piacere estetico) riferimento a una città avvertita come ‘tragica’ per antonomasia. Gavras stesso pare indicare, dunque, che il nome Athena sia stato scelto per invitare lo spettatore in un mondo le cui dinamiche sono regolate dalla dimensione del lutto, dalla centralità dei legami familiari, dal titanismo delle figure dei protagonisti e da una forte ricerca di pathos.
Al di là degli elementi strutturali che vogliono omaggiare la forma tragica greca in generale, vi sono nella trama, nella caratterizzazione dei personaggi, chiari rimandi a una specifica tragedia, tra le più note anche al grande pubblico: l’Antigone sofoclea. A dare l’avvio alla ribellione è un corpo fraterno, oltraggiato non perché insepolto ma perché invendicato. Karim si può considerare equivalente di Antigone nella sua opposizione orgogliosa e combattiva a tale oltraggio, che lo porta all’autoannientamento. Come Antigone, egli è sordo alla voce di donna – qui non della sorella Ismene, come in Sofocle, ma della madre, le cui continue telefonate accompagnano il muoversi concitato del giovane – che tenta di distoglierlo dal conflitto, così come alle istanze di pacificazione e razionalità che provengono dalla figura maschile e autorevole del fratello maggiore Abdel. La sua tragedia è quella di una vita sacrificata nel primo affacciarsi all’età adulta in nome dell’intransigenza.
Se Karim può essere visto come equivalente di Antigone, Abdel ricopre il ruolo assegnato nella tragedia antica a Creonte. Egli appare la prima volta – in divisa – pronunciando un discorso di uomo dello Stato, così come il Creonte sofocleo (vv. 162-210). Come Creonte, si confronta con un ‘coro’ di anziani concittadini (nel suo caso, i padri di famiglia di Athena, riuniti intorno all’imam locale), che in lui riconosce un leader. Simile a quello della controparte tragica appare il suo impegno perché le ragioni del sangue e della parentela non prevalgano sulla sua lealtà alla patria francese, sull’alto dovere del mantenimento dell’ordine (cfr. soprattutto i vv. 182-183, 187-190, 486-489, 658-665). Ma come per il personaggio sofocleo, la solidità delle sue convinzioni si fa sordità alle ragioni dell’altro esattamente come l’intransigenza postadolescenziale ed eroica di Karim/Antigone.
Athena è in primo luogo la tragedia di Abdel, che dovrà abbandonare ogni certezza e invertire la rotta dell’integrazione. Il culmine del percorso si celebra nella scena della morte di Karim, che assomma qui al ruolo di Antigone quello di Emone. Armato di una molotov accesa e incalzato da Abdel ad arrendersi, egli guarda il fratello con quello che – per chi conosce il testo antico – pare reinterpretare lo sguardo «fisso e muto» (vv. 1230-1231, trad. Giovanni Raboni) che il giovane fidanzato di Antigone rivolgeva al padre Creonte; dal canto suo, Abdel ripete il gesto di Creonte, prendendo tra le braccia il corpo suicida del congiunto che non ha potuto salvare con un tardivo rinsavimento. Immediatamente dopo, un ulteriore lutto colpiva, nel testo di Sofocle, la famiglia di Creonte: il suicidio della moglie Euridice (vv. 1278 ss.). Anche in Athena la catena del sangue non si interrompe con Karim: la morte del più anziano dei fratelli, Mokthar, segue immediatamente la sua. Nel film, più forte è la responsabilità di Abdel, che uccide Mokthar con le proprie mani in preda alla furia; ma è opportuno ricordare che Creonte, nel testo di Sofocle, si definiva a più riprese assassino, pur involontario, tanto del figlio quanto della moglie (vv. 1263-1264, 1317-1320, 1340-1341; cfr. anche vv. 1312-1313). Diversamente da Creonte, Adel è davvero un assassino ed in più un suicida. Se nella tragedia di Sofocle Creonte invoca la morte (vv. 1307-1309, 1328-1332), ma non la ottiene (vv. 1336-1337), Abdel invece la sceglie e la causa, consegnandosi all’esplosione di un intero blocco di alloggi di Athena.
Nella vicenda di Karim e Abdel si possono riconoscere temi narrativi e rapporti tra i personaggi che in diversi momenti si avvicinano a quelli dell’Antigone di Sofocle e in generale al mito dei figli della stirpe di Edipo. La capacità del film di mantenere la promessa di rileggere in chiave contemporanea lo spirito della tragedia greca è stata da più critici messa in discussione, anche con un confronto sfavorevole con la più raffinata riscrittura della Medea euripidea proposta, nella stessa Mostra, da Saint-Omer di Alice Diop (vedi qui il post di Gherardo Ugolini). Athena, film sconsolato, violento, caotico, provocatorio, conquista o respinge, ma resta una interessante riscrittura attualizzante di alcuni temi della tragedia greca e anche della tragedia ‘classica’ francese, ossia di quel genere tragico che si concentra sulla rappresentazione delle forti passioni degli individui e dei luttuosi destini individuali e familiari e in cui il sottofondo politico e sociale passa in secondo piano rispetto alle figure degli ‘eroi’.
[1] Fondazione La Biennale di Venezia (a cura di), Catalogo Ufficiale della 79a Mostra del Cinema di Venezia, Udine 2022, p. 83. La presentazione si può leggere anche sulla pagina web della Biennale dedicata alla selezione del concorso Venezia 79: https://www.labiennale.org/it/cinema/2022/venezia-79-concorso/athena
[2] L’intervento può essere recuperato al link https://www.raiplay.it/video/2022/08/Conferenza-stampa-del-film-Athena-Venezia-79-54961fd3-1658-482d-95dc-9347e95b9a0f.html