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Presentato alla festa del cinema di Roma nell’ottobre 2019 il film Antigone della regista canadese Sophie Deraspe uscirà prossimamente, pandemia permettendo, sugli schermi cinematografici.

È l’ultimo capitolo in ordine cronologico di film ispirati più o meno direttamente al personaggio sofocleo di Antigone, una delle figure del mito greco maggiormente presenti nelle rielaborazioni cinematografiche[1].

In questo caso il paradigma di Antigone è riferito alla più stretta attualità, ovvero alle problematiche che sollevano immigrati e rifugiati, e serve a denunciare le ingiustizie che il sistema sociale produce nelle situazioni più delicate e controverse in cui si scontrano valori e concezioni non facilmente conciliabili tra loro.

Nahéma Ricci interpreta Antigone

Antigone (interpretata da un’intensa Nahéma Ricci, dal volto innocente e dallo sguardo penetrante) vive a Montréal e ha solo 17 anni, più o meno l’età che potrebbe avere nell’omonimo dramma di Sofocle. È un’adolescente, una ragazzina inesperta del mondo. Abita in un sobborgo periferico con la sorella Ismene (Nour Belkhiria), con i due fratelli Ètéocle (Hakim Brahimi) e Polynice (Rawad El-Zein), e con la nonna Ménécée (Rachida Oussaada), detta Meni, un’anziana carismatica e affettuosa che, a differenza della nipote, non ha mai imparato il francese.

Sì, perché Antigone non è una cittadina canadese; pur essendo perfettamente integrata nella società occidentale; la sua identità è quella che si suole burocraticamente definire “con background migratorio”. Anni prima è emigrata dall’Algeria, sua patria d’origine, dopo il brutale omicidio dei genitori: un classico viaggio della speranza, come accade a migliaia di migranti e rifugiati che fuggono da guerre e miseria.

Antigone che si sostituisce al fratello

Il destino nefasto ha compattato il legame dei famigliari superstiti: i quattro fratelli e la nonna sono un tutt’uno, si amano profondamente, vivono quasi in simbiosi, sospesi tra fedeltà a tradizioni e costumi d’origine e rispetto per la società in cui si trovano. Antigone è il vero collante della famiglia, oltre che la figura più integrata e più coscienziosa: studentessa modello, da poco fidanzata con un ragazzo canadese di nome Hémon (Antoine DesRochers). Davanti a sé parrebbe avere un futuro promettente con la speranza di superare le strettezze della vita da immigrati, ai margini del benessere.

La situazione deflagra quando, in seguito a un incidente fortuito con la polizia, uno dei fratelli di Antigone (Ètéocle) viene ucciso per strada, mentre l’altro (Polynice), piccolo spacciatore di droga legato a una gang criminale, viene arrestato dalle forze dell’ordine con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Per Antigone lo scompenso affettivo e psicologico è totale.

Scena dal film 'Antigone'

Non si tratta qui di dare sepoltura al corpo di Polinice (che non muore, ma viene arrestato), bensì di liberarlo dalla prigionia. Spinta dal senso del dovere verso la famiglia e dal ricordo dei propri genitori, Antigone decide di mettere a repentaglio il suo futuro per proteggere quello della famiglia.

Il piano che la ragazza architetta e realizza, in assoluta solitudine, consiste nel sostituirsi, durante un colloquio in carcere, al fratello, consapevole che Polinice, a causa dei piccoli precedenti, sarebbe stato espulso dal Canada e rimpatriato in Algeria, mentre a lei questa punizione, grazie all’età, sarebbe stata risparmiata. Se la scena in cui fratello e sorella si scambiano velocemente i vestiti allude a quella celebre in cui Marianne e Julianne si scambiano i maglioni in Anni di piombo di Margarethe von Trotta, il sacrificio compiuto da Antigone in nome dell’amore fraterno consiste, in questa nuova versione del mito, nel “prendere il posto” del fratello. Una “sostituzione di corpi”, dunque, favorita dalla somiglianza fisica e dal taglio di capelli cui la protagonista si è sottoposta: un atto coraggioso e incosciente di sacrificio, un gesto di disobbedienza che non può restare impunito.

Antigone e PoliniceNaturalmente le cose non sono così semplici come ingenuamente se le immagina questa novella Antigone algerino-canadese. La macchina della giustizia si mette in moto subito e procede spedita schiacciando i più deboli.

Antigone viene sottoposta a processo per avere favorito l’evasione del fratello, e la giudice che presiede il tribunale non è disponibile a transigere neanche un poco sul rispetto della Legge, una legge con la elle maiuscola, scolpita nei codici e nelle sentenze, che pretende il rispetto di formule e rituali e non tiene in nessun conto le sfumature e le motivazioni particolari. Antigone si difende da sé, anche se non sa fare grandi discorsi; in fondo è una ragazzina. Si appella alle “leggi del cuore” che l’hanno spinta ad aiutare il fratello a scappare, benché Polinice non fosse certamente uno stinco di santo.

L'arresto di Polinice

In carcere, poi, Antigone diventa senza volerlo un simbolo di resistenza per le sue compagne di cella. Non solo: l’indignazione suscitata dal suo caso si amplifica fino a conquistare l’opinione pubblica. «Ho infranto la legge ma lo rifarei, il cuore mi dice di aiutare mio fratello», esclama Antigone e la frase è ripetuta dalla voce del coro, guidato dal fidanzato, che invade le strade e i social network in una sorta di rivolta generazionale in cui i giovani si riconoscono in Antigone, paladina dei diritti umani.

La regista canadese Sophie Deraspe parte per questo film (il suo quinto lungometraggio) da un fatto di cronaca reale per proporre una moderna rivisitazione della tragedia di Sofocle, ambientata nella contemporaneità sullo sfondo delle problematiche e delle ingiustizie che si producono nelle realtà multietniche.

Il riferimento alla tragedia greca è fin troppo scoperto e a tratti rischia la banalizzazione (si veda l’insistita contrapposizione tra la seriosa Antigone e la frivola Ismene, di professione parrucchiera, preoccupata quasi solo dello smalto sulle unghie e della tintura dei capelli).

Se i personaggi hanno tutti i nomi del mito antico, colpisce l’assenza di un Creonte: il padre di Hémon si chiama, infatti, Christian, ed è un politico influente, ma sta dalla parte di Antigone. La scelta non è certo casuale, e verosimilmente dettata dal desiderio di frantumare il modello del potere autoritario e tirannico di uno solo in un mosaico di figure detentrici e interpreti del potere (i poliziotti, le guardie carcerarie, i magistrati, la giudice, le istituzioni).

La condanna di Antigone

Non manca invece l’indovino Tiresia, che qui è sostituito ingegnosamente da una psicologa di nome Teresa, vecchia e cieca, chiamata ad eseguire una perizia psichiatrica sull’imputata. Il dialogo – che forse si svolge solo in sogno – costituisce un momento saliente della pellicola, perché segna il passaggio alla consapevolezza della protagonista; ora Antigone capisce qual è il suo dilemma: deve scegliere tra la fedeltà al fratello e la cittadinanza canadese, col rischio concreto di venire rimpatriata in Algeria.

Intrigante l’idea di sostituire il coro con i giovani sostenitori della causa di Antigone i quali, attraverso l’uso dei loro smartphone, fungono da commentatori della vicenda. Le sequenze che vengono prodotte e fatte girare in rete diventano le armi più micidiali per contestare i diritti calpestati di chi è privato della cittadinanza.

Il film decolla lentamente, ma dal momento in cui Antigone viene condotta in prigione, il ritmo si fa serrato e l’intensità cresce. L’apice è raggiunto nella scena del processo, quando la corte e i funzionari vengono ridicolizzati per la loro schematica durezza e inflessibilità da un pubblico di ragazzi che produce una pacifica azione collettiva di disturbo per cui a turno fanno partire una molesta suoneria del telefonino.

Primo piano di Antigone

 

Basta questo per mandare in tilt i rituali convenzionali di una giustizia che funziona in automatico senza mai chiedersi cosa sia veramente “giusto”.

La regista canadese riesce nella difficile operazione di riprende il modello Antigone dell’antica tragedia greca per rivitalizzarne il senso proponendo ancora una volta le mai risolte questioni che ci accompagnano dalla Tebe di Sofocle alla Montréal (e non solo) di oggi: quando una legge giusta diviene ingiusta? Quando è bene trasgredire una legge che confligge con altri valori supremi? Cosa fare quando la punizione inflitta da una legge è palesemente sproporzionata rispetto al gesto compiuto?

La giudice del processo

Nota.

Sophie Deraspe (nella prima immagine) è regista, sceneggiatrice e direttrice della fotografia. Antigone è il suo quinto lungometraggio. In precedenza ha diretto Missing Victor Pellerin (2006), Vital Signs (2009), Les Loups (2015, vincitore del premio FIPRESCI a Torino) e il documentario A Gay Girl in Damascus: The Amina Profile (2015), in concorso ufficiale al Sundance. Antigone è stato premiato al Toronto International Film Festival 2019 quale miglior film canadese ed è stato il candidato canadese agli Oscar 2020.

La sceneggiatura di Antigone, scritta dalla medesima regista, si ispira alla sparatoria del 9 agosto 2008 a Montréal, nella quale fu ucciso un immigrato onduregno di appena 18 anni, Fredy Villanueva, incensurato e arrivato in Québec nel 1998 con il fratello Dany e le tre sorelle (Patricia, Wendy e Lilian) per ricongiungersi ai genitori. Fredy si trovava con Dany e altre tre persone nel parcheggio dell’Henri-Bourassa Arena, quando due agenti della polizia, Jean-Loup Lapointe e Stéphanie Pilotte, hanno chiesto loro i documenti: i cinque stavano giocando a dadi sul marciapiede e la legge canadese proibisce il gioco d’azzardo nei luoghi pubblici. Al rifiuto di fornire le generalità è seguita una colluttazione e una sparatoria: ad avere la peggio è stato Fredy, colpito da due proiettili sparati dai poliziotti e morto in ospedale alle 21.45 di quello stesso giorno.

L'arresto di Polinice

[1] Si veda sul tema l’articolo di M. Fusillo, Antigone sullo schermo, «Maia» 54, 2002, pp. 515-526 e il volume di S. Fornaro, Antigone ai tempi del terrorismo. Letteratura, teatro, cinema, Pensa MultiMedia, Lecce 2016.