default_mobilelogo

Newsletter

Vuoi ricevere una notifica quando sono disponibili nuovi contenuti sul nostro blog? clicca qui

Medea è ritornata al Teatro Greco di Siracusa. Ed è stato un ritorno in grande stile a giudicare dall’accoglienza calorosa del pubblico (tutto esaurito e applausi interminabili) la sera della première, lo scorso 12 maggio.

A partire dall’allestimento del 1927, curato da Ettore Romagnoli, il dramma euripideo è stato messo in scena più volte dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico con registi e interpreti di eccezionale spessore artistico. Nei panni di Medea si sono viste, tra le altre, Valeria Moriconi per due volte, nell’edizione del 1972 (regia di Franco Enriquez, traduzione di Carlo Diano) e in quella del 1996 (regia di Mario Missiroli, traduzione di Maria Grazia Ciani), Maddalena Crippa nell’edizione del 2004 (regia di Peter Stein, traduzione di Dario Del Corno), Elisabetta Pozzi nell’edizione del 2009 (regia di Krzysztof Zanussi, traduzione di Maria Grazia Ciani).

A indossare le vesti della principessa della Colchide è toccato quest’anno a Laura Marinoni, vera mattatrice dei cicli di rappresentazioni classiche siracusane degli ultimi anni, avendo interpretato prima Elena (2019) e poi Clitemnestra (2021 e 2022). La regia di Federico Tiezzi si fonda su una chiave interpretativa ben precisa, non tanto basata sulla tradizionale «rappresaglia individuale» compiuta dalla moglie ai danni dell’ex marito Giasone, bensì intesa «come uno scontro fra due diverse concezioni della forza, fra una società arcaica e una società postindustriale», come ha spiegato in sede di conferenza stampa il regista che nel 2015 aveva messo in scena, sempre a Siracusa, l’Ifigenia in Aulide di Euripide e che ha firmato anche altre regie di opere del teatro greco antico, quali gli Uccelli di Aristofane (2005-2006) e l’Antigone di Sofocle (2018). Tiezzi ha anche spiegato di aver voluto fare della Medea di Euripide «un dramma borghese», alla Ibsen o alla Strindberg, un’idea senz’altro originale, ma non scevra di rischi, a partire da quello di banalizzare la vicenda che Euripide collocava sullo sfondo mitico di una Corinto d’epoca indefinita. In realtà la messinscena intreccia vari spunti tematici, compreso quello del rapporto uomo/donna e della passione amorosa che per la delusione si trasforma in desiderio di vendetta implacabile.

La lettura nel senso di «dramma borghese» è percepibile soprattutto nella scenografia e nei costumi: sul vasto spazio circolare dell’orchestra sono tracciati interni d’abitazione moderna, disegnati da strutture geometriche di forma cubica, formate con neon dalla luce fioca. L’abitazione è arredata con tavoli, panche e sedie di colore bianco e nero, con corredo di statue classicheggianti su colonne di marmo. La casa di Medea non è quella spoglia e periferica che ci si immagina sulla base di Euripide, ma un appartamento tanto lussuoso quanto freddo.

Una bella trovata drammaturgica è la scena iniziale: entrano due semicori in abito bianco con al centro una donna il cui volto è coperto da una maschera di uccello e che si capisce essere Medea. Si esibiscono in rituali di preghiera e di supplica, pronunciando parole di una lingua incomprensibile (probabilmente quella della Colchide) che presagiscono la morte di creature innocenti. Si tratta di un’interpolazione senza riscontro nel testo euripideo, ma di grande efficacia. La scena allude ad un evento del passato, quando Medea si trovava ancora in Colchide e officiava riti religiosi. Ma non si tratta solo di caratterizzare così fin da principio la dimensione ‘barbara’ della protagonista. Quello che Tiezzi intende suggerire, con quel prologo che si svolge in una dimensione quasi onirica, è che la vicenda seguente potrebbe essere interpretata come un sogno di Medea, una produzione inconscia del personaggio, una sua “visione” per dirla con Pasolini[1].

La nutrice (Debora Zuin) parla con accento balcanico e si presenta con un grembiule da governante e una valigia bianca da cui estrae vecchi costumi della patria lontana. È un personaggio particolarmente azzeccato, simbolo non solo dell’affetto verso la padrona, ma dell’attaccamento alla Colchide e della condizione di esule. Con lei dialogano le donne corinzie che compongono il coro, rappresentate come donne delle pulizie, in tuta blu e cuffia sulla testa. I ritmi della danza sono sostituiti da quelli della pulizia di pavimenti e mobili.

L’entrata in scena di Medea è preparata dalle grida addolorate che lancia dallo spazio extra-scenico («Vorrei morire», «Non capite che soffro», «Possiate crepare voi e vostro padre»). Laura Marinoni entra in scena con portamento regale, indossando un abito piumato a tinte varie che oscillano dal nero al blu. Il volto è coperto all’inizio con quella stessa maschera a forma di uccello che si era vista nel prologo. L’uso di maschere della sfera zoomorfica è un Leitmotiv della messinscena: si tratta di maschere totemiche dal significato simbolico che si può provare a decifrare in questo modo: quella di Medea indica un universo inafferrabile, fatto di libertà e rapacità; le maschere di coniglietto dei bambini simboleggiano la predestinazione al sacrificio di vittime innocenti; quelle da coccodrillo di Creonte e dei suoi scagnozzi sono chiaramente emblema di potere e ferocia. L’espediente delle maschere potrebbe apparire qualcosa di sovrabbondante e superfluo, ma così non è, tanto più che vengono indossate dai personaggi solo per pochi istanti iniziali.

Creonte (Roberto Latini), in elegante completo nero, è uno spietato domatore che soggioga le sue guardie del corpo, ma nel dialogo con Medea finisce col concederle quanto da lei preteso: una proroga di 24 ore prima dell’esilio. Anche Giasone (Alessandro Averone) indossa abiti borghesi moderni, con cravatta e soprabito scuro. Ma sotto quei panni di un uomo apparentemente perbene si nasconde in lui una violenza lucida ed efferata, quella di chi antepone il denaro e il potere al sentimento; ma non sa che dovrà fare i conti con quell’altra violenza, quella di Medea, arcaica e istintiva, che sprigiona da una forza naturale e che prorompe in modo inarrestabile. Le scene dei dialoghi tra la moglie ripudiata e il novello consorte della principessa corinzia costituiscono momenti ben riusciti dello spettacolo: merito anche della traduzione di Massimo Fusillo che qui come altrove riesce a rendere il testo greco euripideo con un lessico e una sintassi comprensibili e scorrevoli, senza mai scadere nel banale e senza eccessive attualizzazioni. Colpisce la prossemica dei due protagonisti, certamente lontana dai moduli antichi: Medea e Giasone si toccano, si accarezzano, si palpano. Lei lo abbraccia e poi gli morde la mano e lo apostrofa con uno sferzante «Bastardo!». Lo bacia appassionatamente e poi la caccia via in malo modo. Certo, qualche spettatore tradizionalista avrà da ridire, ma nell’ottica di un «dramma borghese» queste soluzioni adottate da Tiezzi sono perfettamente congrue e funzionali.

Alla cupezza scura dei costumi borghesi di Creonte e Giasone, si oppone il bianco dell’abito indossato da Egeo (Luigi Tabita): la soluzione di presentarlo come un dandy, elegante e raffinato, con cappello panama sul capo, sinceramente preoccupato per la sorte di Medea, pare ben concepita. Rappresenta un punto di vista esterno e antitetico rispetto alle dinamiche utilitaristiche, ciniche e vigliacche degli altri maschi.

 

L’evento clou del dramma euripideo, l’infanticidio, costituisce il vertice artistico-drammaturgico di questa messinscena, senz’altro il momento più emozionante e spettacolare. L’atto violento non è rappresentato sulla scena, ma raccontato da un messaggero (qui una donna: Sandra Toffolatti), secondo il copione originale euripideo. Ma il racconto dell’evento è accompagnato da giochi di luce (con prevalenza del rosso) e da musiche sacre solenni (anche frammenti dei Kindertotenlieder di Mahler) che suscitano un’aurea di mistero attorno al sacrificio della madre assassina, dilaniata dal dilemma tra l’amore per i figli e la necessità di non essere disprezzata e derisa dai suoi nemici. Il finale assume i contorni di un sacro mistero, con i corpi dei bambini esposti al pubblico e il coro delle corinzie che pulisce i pavimenti muovendo ritmicamente panni sporchi di sangue. Medea, intanto, issata da una gru sopra un carrello (il carro del Sole) celebra con spietatezza il proprio trionfo.

 

C’è un aspetto che va sottolineato: la regia di Tiezzi e la traduzione di Fusillo mettono in risalto un elemento che il dramma euripideo certamente contiene, ma che spesso le interpretazioni e la messinscena tendono a trascurare: l’empatia che l’andamento drammaturgico suscita nel pubblico verso Medea, una empatia che cresce nel corso del dramma – nonostante i propositi di vendetta e nonostante l’infanticidio – per stemperarsi solo nel finale. Il pubblico è indotto a provare per la protagonista un sentimento di “empatia negativa”, secondo l’azzeccata formula di Fusillo[2], una sorta di ammirazione inconsapevole nei confronti di Medea, pur condannando i suoi pensieri e le sue azioni. In certi momenti, soprattutto nei celebri monologhi della protagonista, la modalità di recitazione della Marinoni sarebbe dovuta essere meno enfatica ed eccessiva, più sommessa, per raggiungere al meglio questo effetto di sintonia emotiva.

 

La Medea di Euripide per la regia di Federico Tiezzi, produzione INDA, ha esordito lo scorso 12 maggio e sarà replicata al Teatro Greco di Siracusa fino al 23 giugno. Verrà riproposto al Teatro Romano di Verona il 12-13 settembre.

 

Regia: Federico Tiezzi

Traduzione: Massimo Fusillo

Scene: Marco Rossi

Costumi: Giovanna Buzzi

Disegno luci: Gianni Pollini

Maestro del coro: Francesca Della Monica

Arrangiatore coro e voci: Ernani Maletta

Regista assistente: Giovanni Scandella

Musiche originali coro e prologo: Silvia Colasanti (con la collaborazione del Coro di voci bianche del Teatro dell’Opera di Roma)

Assistente scenografo: Francesca Sgariboldi

Assistente costumista: Ambra Schumacher

Assistenti arrangiamenti coro e voci: William Caruso

Direttore di scena: Nanni Ragusa

Assistente direttore di scena: Dario Castro

Personaggi e interpreti:

MEDEA: Laura Marinoni

GIASONE: Alessandro Averone

CREONTE: Roberto Latini

EGEO: Luigi Tabita

NUTRICE: Debora Zuin

PEDAGOGO: Riccardo Livermore

IL NUNZIO:| Sandra Toffolatti

PRIMA CORIFEA: Francesca Ciocchetti

PRIMA COREUTA:| Simonetta Cartia

CORO: Alessandra Gigli, Dario Guidi, Anna Charlotte Barbera, Valentina Corrao, Valentina Elia, Caterina Fontana, Francesca Gabucci, Irene Mori, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentini, Claudia Zappia

RESPONSABILE DEL CORO: Simonetta Cartia

FIGLI DI MEDEA: Matteo Paguni, Francesco Cutale

SEGUACI DI CREONTE: Jacopo Sarotti, Alberto Carbone Carlo Alberto Denoyè

PORTATORI DI MEDEA: Sebastiano Caruso, Moreno Mondì

CORO: Andrea Bassoli, Alberto Carbone, Sebastiano Caruso, Alessandra Cosentino, Gaia Cozzolino, Sara De Lauretis, Carlo Alberto Denoyè, Lorenzo Ficara, Leonardo Filoni, Ferdinando Iebba, Althea Mara Luana Iorio, Denise Kendall-Jones, Domenico Lamparelli, Federica Leuci, Emilio Lumastro, Arianna Martinelli, Moreno Mondì, Alice Pennino, Edoardo Pipitone, Jacopo Sarotti, Mariachiara Signorello.

 

 

[1] P. P. Pasolini, Visioni di Medea, in Per il cinema, a cura di W. Siti, F. Zabagli, vol. 1, Milano 2001, pp. 1207-1288.

[2] Cfr. M. Fusillo, S. Ercolino, Empatia negativa. Il punto di vista del male, Milano 2022.