Dopo un'intervista al regista svizzero Milo Rau in occasione della prima a Saliburgo di Everywoman, con attrice protagonista Ursina Lardi, pubblichiamo parte della recensione, lievemente rivista e ampliata, apparsa sull'influente nachtkritik.de, a firma di Reinhard Kriechbaum. L'attenzione a questo ultimo lavoro di Rau sul nostro blog non è giustificata solo dal nostro interesse per l'attività del regista, strettamente connessa alla re-visione della tragedia greca, e su cui torneremo in varie sedi, ma anche dal tema specifico di questa performance:
il confronto con la morte e la ricerca di forme di superamento della paura della morte, temi che determinano le 'visioni del tragico' di un mondo alle prese con il Covid 19, e con cui si stanno misurando anche riprese della tragedia greca, come I messaggeri di Emma Dante visti ieri al Festival di Spoleto. Cosa accade ad ogni uomo quando sa che è giunta la sua ora? Qual è la reazione di fronte all'inevitabilità della morte? Cosa resta dopo la morte? E quale posto trovano tali questioni in teatro? (S.F.)
Una donna forte sulla soglia
Due anni fa il Festival di Salisburgo ha chiesto a Milo Rau una nuova versione di ‘Ognuno’ di Hofmannstahl. Il regista prima ha rifiutato, poi si è lasciato convincere – e insieme alla meravigliosa Ursina Lardi ha creato con Everywoman qualcosa di lieve, convincente, duraturo. Hanno trovato la loro ‘Everywoman/Jederfrau’, la loro ‘donna qualsiasi’, in Helga Bedau. Avrebbe potuto essere anche un maschio, perché qui non si tratta affatto di un approccio femminista al dramma di Hofmannstahl. La donna ha 71 anni, ma è condannata dalla medicina. Cancro al pancreas, inoperabile. Dunque è sul serio, amaramente, alla fine.
Sul video c’è Helga Bedau. Seduta ad una tavola imbandita - una citazione diretta da Jedermann di Hofmannstahl -, che banchetta con altri, in un abito verde chiaro; si direbbe che sia la madre dello Jedermann di Hofmannstahl, ma non è così; la donna resta da sola [in posizione centrale a tavola, la stessa di Gesù nell' Ultima cena di Leonardo]. Totalmente sola. Comincia un monologo, che si trasforma a poco a poco in un dialogo sottovoce tra Ursina Lardi in scena e la donna sullo schermo. Un dialogo sulla morte, ma soprattutto sulla vita, sui ricordi di giovinezza, sui sogni. L'attrice racconta di sé stessa, ma parla anche a nome della donna che è sullo schermo. Oscillazioni della voce narrante che disorientano il pubblico, che l'attrice interpella, anche se nessuno, la sera della prima, risponde. Lardi chiede anche a Helga Bedau come si senta a interpretare nuovamente un ruolo in un pezzo di teatro. “Stranamente”, risponde la signora Bedau. “Soprattutto perché non so se ci sarò più il giorno della prima”. Si tira un respiro di sollievo durante l’applauso finale. Lei è ancora qui, porta come tutti la mascherina e fa un inchino (non solo per i Berliner Ensemble in tournée, ma per tutti gli artisti tedeschi, vigono a Salisburgo le misure anti Covid).
L’incerto niente.
Il teatro non è estraneo a Helga Bedau. Quando aveva vent’anni, lavorava come comparsa alla Freie Volksbühne di Berlino, l’apice della sua carriera fu un ruolo muto in Romeo e Giulietta. E ora, il suo ultimo ruolo: “La maggior parte dei malati come me muoiono dopo tre mesi, per me hanno previsto ancora, se ho fortuna con la chemio, due anni”. Essere o non essere, questo è ora il problema.
Recitare a teatro, sapendo della fine imminente? Milo Rau e Ursina Lardi, negli ultimi anni, si sono occupati di teatro politico impegnato, in Compassione (2016), frutto di ricerche in Congo, e in Lenin (2017), che si interroga sulle utopie del XX secolo, prendendo spunto dalle ultime settimane di vita del rivoluzionario russo. Ora i due artisti si rivolgono a un tema del tutto apolitico, si occupano di situazioni private, intime. Sono interessati a quell'indefinibile niente che sta dopo la vita, alla morte come condizione inevitabile dell'essere umano. Bisogna reagire alla morte? Sarebbe insensato. Perché Dio permetta la morte è una questione teologica, posta dalla teodicea: perché il male? perché la sofferenza? Quale giustificazione ha Dio rispetto allo scandalo della morte, da lui stesso permesso? Milo Rau scrive sul programma di sala: “Tutto il resto potrebbe andare diversamente, la morte no”. Lardi chiede en passant, rivolgendosi al pubblico: “Qualcuno tra voi, forse, ne sa più di me?”
Lieve, profondo e privato
Lardi pone questa domanda, pur sapendo che non riceverà risposta. E non mostra il minimo segno di commozione. Dialoga con Helga Bedau, le chiede della sua vita. Poi è l'attrice a sostituire la propria voce a quella della donna ammalata, a parlare a posto suo, a entrare nei suoi ricordi, a rievocare una vita pienamente vissuta e lo sconcerto di fronte all'irrevocabile diagnosi medica [che, tra l'altro, è uno dei documenti portati in scena, insieme ad altri oggetti che appartengono alla donna, una tecnica che ricorda Nachlass dei Rimini Protokoll]. Ursula Lardi tocca il vertice quando racconta di aver assistito ad una corsa di cavalli, di un cavallo caduto e ferito. In un monologo, parla quindi con calore di quel che resta. Per quanto il discorso sia emozionale, coinvolgente, non è mai scompostamente urlato. Ciò che in Hofmannsthal diventa una plateale allegoria, in Rau/Lardi è al massimo una metafora subliminale.
E Mammona [il demone della ricchezza, che compare come personaggio nel dramma di Hofmannstahl]? Helga Bedau chiede a Lardi su quale compenso possa contare come protagonista. Ha bisogno di seimila euro, dice la donna. Vuole trovare l’estremo riposo in Grecia, dove vive suo figlio. Il trasporto del feretro costa…
Chiarirsi con sé stessi.
Metafisica e materialità vanno di pari passo, senza pretese e meravigliosamente, durante questa serata. Per molto tempo si guarda dritto in viso la donna malata. Tratti dolci, teneri. Non c’è traccia di sofferenza. C’è invece un essere umano in pace con sé stesso, con la sua vita, con la sua fine. Ursina Lardi le chiede quando vuole morire. D’estate, dopo tuoni e fulmini, nella pioggia… E la pioggia è già qui, portata in scena nel video, e l’attrice si siede al pianoforte e suona un arrangiamento da un corale di Bach, mentre l'immagine di Helga Bedau sembra scomparire nella pioggia a poco a poco sullo schermo…
Si scivola dunque nel sentimentale? Assolutamente no. Quando le luci si vanno spegnendo, Lardi resta in scena, colma il vuoto tra la fine dello spettacolo e l'applauso finale. Un vuoto metaforico, misterioso, enigmatico. A questo punto Lardi mette una cassetta in un antiquato registratore, uno degli oggetti di scena, e sentiamo ancora una volta la voce di Helga Bedau: Berlino, quartiere di Charlottenburg. La pizzeria c’è ancora, anche la Kanstrasse. Così come allora, quando nel 1968 si trasferì lì da Lünen. “Si, era bello…”. Blackout.
Nella prima foto: Ursina Lardi durante le prove, il 17 agosto. Fonte: dpa. Seconda immagine: Le ultime cose, l'ultimo ruolo: Ursina Lardi in "Everywoman" di Milo Rau© Armin Smailovic; terza: il banchetto di Hoffmanstahl e un dialogo a due: l'attrice Ursina Lardi e la malata di cancro Helga Bedau © Armin Smailovic. Il video è il trailer di presentazione dello spettacolo.