La Tebe del mito antico come la Kiev di oggi? Le baccanti che assediano la città di Cadmo brandendo minacciose le loro armi (i tirsi) come i soldati russi che accerchiano la capitale ucraina? Penteo vittima designata e votata al sacrificio come il presidente Zelensky?
E ancora: il prepotente Dioniso, crudele e ben consapevole della sua forza superiore con la quale si vuole riprendere un territorio su cui rivendica il potere, come l’invasore Vladimir Putin? Impossibile, quando ci si siede in platea per assistere alla Baccanti euripidee allestite da Laura Sicignano, non far scattare nella mente il gioco delle coincidenze e analogie tra mito antico e attualità politica. La tragedia greca, del resto, serve anche a questo; e se si continua a mettere in scena drammi del V secolo a.C. è proprio perché hanno qualcosa da dirci sulle catastrofi della nostra contemporaneità.
A facilitare la sovrapposizione Tebe/Kiev, per altro, è lo spettacolo stesso. Nella versione andata in scena dal 2 al 6 marzo al Teatro Sociale di Brescia, all’inizio, prima che il sipario si sollevi, nel buio della sala, si leva il grido stridulo e terrifico di una sirena d’allarme, come se si annunciassero imminenti bombardamenti. E la scritta “No war” compare alla fine nelle mani degli attori che si congedano dopo la rappresentazione. Termini e immagini belliche, del resto, non mancano nel testo di Euripide quando si parla delle menadi orientali che sono giunte in Grecia al seguito del loro dio. «E qualora la città dei Tebani con rabbia di armi cerchi di ricondurre le baccanti giù dal monte, io attaccherò battaglia, al comando di un esercito di menadi (ξυνάψω μαινάσι στρατηλατῶν)»: così minaccia Dioniso nel prologo, ai vv. 50-52 (traduzione di V. Di Benedetto). E al v. 117 le baccanti sono definite un «esercito femminile» (θηλυγενὴς ὄχλος).
L’associazione con la guerra in corso poteva essere una chiave di lettura illuminante e stimolante delle Baccanti. Ma nella regia di Laura Sicignano ne compaiono solo vaghi e sporadici accenni. Del resto, è la voce di uno speaker esterno a fornire immediatamente al pubblico una didascalia fin troppo esplicita che dice «In Europa sono tornate a risuonare le sirene d’allarme. Un suono sinistro che parla di guerra, di emergenze, di bombe e rifugi. Un suono che interrompe all’improvviso la normalità della vita quotidiana e la sostituisce con la paura della morte, con il terrore della distruzione. Un suono che richiama le pagine più tristi di una storia che non avremmo mai più voluto rivivere». Cosicché, dopo questo effetto di Entfremdung brechtiana, il dramma di Euripide torna a proporre i temi canonici: caos e ordine, distruzione e rinascita, impulso e razionalità, follia e normalità. E la funzione civile che il teatro – questo tipo di teatro – dovrebbe esercitare, si limita ad un generico ammonimento alla pace confinato al di fuori della scena.
La regia di Laura Sicignano (che insieme con Alessandra Vannucci ha curato anche la traduzione del testo greco e il suo adattamento) punta a fare della Baccanti euripidee una pièce multisensoriale, in cui parole, corporeità, musica elettronica, luci e immagini, contribuiscono a catapultare lo spettatore nell’ebbrezza delle giovani donne convertite al culto dionisiaco, che si muovono con gesti sensuali. Dioniso è interpretato da un’attrice donna (Manuela Ventura), il che non costituisce certo una novità nella storia delle messinscene di quest’opera. Lo aveva fatto Ingmar Bergman in un allestimento del 1991 a Stoccolma, e lo ha fatto il catalano Carlus Padrissa con la Fura dels Baus al Teatro greco di Siracusa nell’estate del 2021. Questo Dioniso si presenta, dunque, come entità androgina ed eversiva che – come un cecchino – gioca ai dadi la vita degli uomini divertendosi festosamente insieme alle sue baccanti (sono solo tre sul palco). Ma il modo in cui Manuela Ventura dà corpo al dio dell’ebrezza non arriva a trasmettere fino in fondo l’inquietudine che dovrebbe, né quando compare in abito nero sopra una scala (moderno theologeion) al centro del palcoscenico muovendo le sue seguaci (Egle Doria, Lydia Giordano, Silvia Napoletano) come marionette appese ai fili da lui saldamente tenuti, né quando si libera magicamente dalla prigione (un armadio a vetri) in cui era stato rinchiuso dalle guardie del sovrano di Tebe.
Penteo (Aldo Ottobrino) si presenta in giacca e cravatta, contrasta come può l’attacco del rivale (uno straniero della Lidia, ma in realtà proprio il dio Dioniso), ma non assurge in nessun momento alla dimensione di eroe tragico, neppure quando si convince a vestirsi da donna per poter osservare da vicino i rituali delle menadi. La cifra del grottesco e dell’umoristico (non assenti in Euripide) vengono troppo accentuate a scapito della drammaticità patetica degli eventi. Questo accade soprattutto nella scena di Cadmo e Tiresia, agghindati come due stralunati clochard più che come baccanti. L’indovino tebano (interpretato da Antonio Alveario), che nel testo euripideo svolge un’importante funzione perché spiega in termini fin troppo razionali le ragioni per cui è bene accogliere in città il nuovo culto, qui è ridotto ad una macchietta priva di forza intellettuale e morale, con la trovata spettacolare di togliersi la benda dagli occhi e palesarsi un finto cieco.
Tra gli elementi più convincenti vale la pena di citare lo scenario distopico che fa da sfondo alla rappresentazione, ovvero la reggia di Penteo che appare fin dall’inizio distrutta e ammuffita, sospesa in una dimensione onirica. Sembra un museo abbandonato o una villa liberty disabitata da decenni. Questo spazio malandato potrebbe rappresentare simbolicamente la mente del re Penteo, strutturata in modo rigorosamente razionale, ma turbata da inquietudini, desideri repressi e pulsioni inconfessabili. Oltre alla scenografia di Guido Fiorato, è piaciuta la recitazione del messaggero (Silvio Laviano), che appare in scena con addosso degli occhiali da saldatore e un guanto rosso nella mano destra, ed è bravo nel raccontare all’esterrefatto Penteo gli eventi prodigiosi cui ha assistito sul Citerone. Singolare, ma apprezzabile, l’idea di far recitare fuori scena a Penteo la seconda lunga rhesis del messaggero, quella in cui descrive la morte del sovrano di Tebe. Intensa e conturbante, infine, l’interpretazione di Alessandra Fazzino nei panni di Agave che riprende conoscenza e piano piano si rende conto dell’azione compiuta (l’omicidio del figlio). L’attrice esprime il suo dolore indicibile in modo misurato e raccolto, con una corporeità ripiegata su sé stessa, senza indulgere in grida di lamento retoriche ed eccessive.
Le Baccanti di Sicignano rientrano in un progetto dedicato alle «figure femminili eversive della tradizione tragica», come spiega la regista, per la quale «se da un lato Antigone è una tragedia politica, Baccanti guarda all’inconscio: in essa è contenuta in nuce una visione dell’interiorità degli individui, insieme a quello che poi verrà definito inconscio collettivo. La cosa che continua a stupire è la dialettica, ci parla in quanto individui e collettività. Nella figura di Dioniso troviamo la natura che si ribella all’uomo che la vuole domare, ma anche la forza prepotente della guerra, oggi particolarmente attuale. I classici riescono a vedere tutta la nostra storia passata e il nostro presente».
Baccanti di Euripide
regia: Laura Sicignano
Riduzione e adattamento: Laura Sicignano e Alessandra Vannucci
Musiche originali eseguite dal vivo: Edmondo Romano
Scene e costumi: Guido Fiorato.
Movimenti di scena: Ilenia Romano
Luci: Gaetano La Mela
Video e suono: Luca Serra
Regista assistente: Nicola Alberto Orofino
Produzione: Teatro Stabile di Catania
Foto: Antonio Parrinello
Interpreti: Manuela Ventura (Dioniso), Egle Doria (baccante), Lydia Giordano (baccante), Silvia Napoletano (baccante), Alessandra Fazzino (Agave), Antonio Alveario (Tiresia), Franco Mirabella (Cadmo), Aldo Ottobrino (Penteo), Silvio Laviano (messaggero).
Dopo la prima nazionale al Teatro Vittorio Emanuele di Messina (7-9 gennaio 2022) lo spettacolo Baccanti di Laura Sicignano è andato in scena al Teatro Stabile di Catania (11-23 gennaio), al Teatro Nazionale e al Teatro della Corte di Genova (26-30 gennaio), al Teatro Biondo di Palermo (1-6 febbraio), al Teatro Elfo Puccini di Milano (8-13 febbraio), al Teatro Nuovo di Verona (15-20 febbraio), al Teatro Politeama Rossetti di Trieste (24-27) febbraio, al Teatro Sociale di Brescia (2-6 marzo) e sarà al Teatro Sannazaro di Napoli (8-13 marzo).